Racconto di Paolo Marco Durante

“RaccontiContinuaTu”

 

Scendeva le scale, aveva fretta, il taxi lo aspettava. Stava chiudendo, finalmente, quella porta.

Lasciarsi dietro tutto, i problemi, le preoccupazioni, le noie, i fastidi, le incazzature. Chiuderla quella porta, una volta per tutte. E ricominciare. Domani sarebbero tornati quelli della ditta di traslochi, avrebbero fatto l’ultimo carico, e sarebbe cominciata la vita nella casa nuova, un’altra vita, diversa se non altro. Aveva sceso i tre piani di scale, non prendeva mai l’ascensore, e aveva aperto il portone.

Il taxi non c’era. Guardò meglio. No, non c’era proprio. Tirò fuori il cellulare e chiamò lo 0077. Era nero. Non il telefonino, non lo 0077, lui era nero, incazzato nero.

Occupato, logicamente, “vi preghiamo di attendere in linea…” e giù una musichetta assordante e ritmata come quella dei film porno. Finalmente avevano risposto.

– Avevo chiesto un taxi – spiegò – mi avete mandato Ulan Bator 73, cinque minuti, ne sono passati dieci ma qui non c’è nessuno!

– Un momento…

– Mmm…

– Guardi che Ulan Bator 73 è venuto, ha aspettato più di dieci minuti, ci ha detto che non c’era nessuno, noi abbiamo richiamato ma lei non ha risposto. A venti minuti Ulan Bator 73 è andato via. E adesso sono passate due ore!

– Ma che cosa dice! Ho chiamato al massimo un quarto d’ora fa, controlli, non mi piace essere preso in giro!

– Neanche a noi, la prego di non urlare e provi a ripensare a cosa è successo. Se adesso le serve ancora un taxi, possiamo mandarglielo, ma stavolta si faccia trovare lì… e mi riconfermi indirizzo e telefono.

– Andate a farvi fottere, voi e i vostri taxi!

Chiuse la comunicazione e si infilò il cellulare in tasca. S’incamminò a piedi. Ma guarda se uno, in pieno trasloco e a una settimana da Natale, deve stare a discutere con quei deficienti del taxicall! E soprattutto per andare dal dentista! A Natale! Questo stava pensando, camminando a lunghi passi in una direzione che non sapeva neanche se fosse quella giusta. Sempre più nero aveva dato un calcio a un pacchetto di sigarette  che qualche “zozzone” aveva gettato per terra, sul marciapiedi. Era nervoso, oltre che per il dentista, per il fatto che il giornale gli aveva chiesto un racconto di Natale di dieci cartelle e domani scadeva il tempo. Non aveva scritto nemmeno una riga, neanche il titolo, magari provvisorio. Non gli era venuto in mente niente che valesse la pena neanche di appuntare. E poi quelle mielose storie natalizie! Lui era uno di quelli che odiano il Natale, che è diventata una specie di condizione esistenziale, come quella degli altri, che invece lo adorano. Due squadre, due eserciti, due visioni del mondo opposte, inconciliabili.

Eccolo un taxi, gli era sembrato libero, aveva fatto un gesto di richiamo, troppo tardi!… Il taxi era passato veloce, ma aveva accostato, dieci metri più avanti. Aveva fatto una corsetta per raggiungerlo prima che qualcun altro lo prendesse ma, niente da fare, una ragazza giovane e anche piuttosto attraente si era precipitata ad aprire la portiera. Adesso lui osservava, sconsolato. Si era meravigliato vedendo che la ragazza, dopo un breve conciliabolo con l’autista, non era salita e si era allontanata rapidamente, anche lei di certo incazzata. Lui era rimasto lì, senza sapere che fare, quando aveva notato che il taxista si era sporto dal finestrino e aveva fatto un gesto nella sua direzione come a dire Vieni, vieni. Sempre più stupito si era avvicinato a portata di voce, ma senza dire a.

Fu l’autista a parlare.

– Avevo visto il suo cenno, non ero riuscito a fermarmi subito, ho spiegato alla signorina che non ero più libero… salga pure!

– Ma la signorina mi era sembrata molto carina…

– Lo era infatti, l’ho notato anch’io, ma la correttezza mi imponeva…

– La ringrazio, io non so se l’avrei fatto – disse salendo.

– Anch’io mi sono meravigliato di me stesso – rispose quello voltandosi e poggiando il braccio destro sulla spalliera del sedile, – ma, lei lo sa bene, il dovere… –

Aveva una faccia simpatica, anche ironica però, e sorrideva in modo piacevole anche se pareva disegnato, su quel volto, un innocuo divertente sfottò. La bocca era grande e arcuata, gli occhi obliqui da gatto furbo, le sopracciglia arruffate e le orecchie si facevano notare per essere troppo grandi, un po’ a sventola, rese curiose da un leggero arco acuto nella parte alta.

– Beh, grazie… della cortesia e della correttezza – si dilungò lui, che non era abituato a farlo – devo andare a via xyw, numero zk.

– Pronti! Saremo là in un lampo, traffico permettendo…

Anche la voce era piacevole, ricordava quella dei vecchietti beoni dei film western di seconda categoria. Anche in quella voce si poteva intendere però, volendo, una leggerissima inflessione di bonaria presa in giro.

Quello si era voltato ed era partito con un certo brio. Non lo vedeva più in viso adesso, ma era sicuro che stesse ancora sorridendo. A quel punto decise di controllare l’ora. Rimase di sasso. Era passata un’enormità di tempo e lui non se ne era reso conto. Era in ritardo di un’ora e mezza all’appuntamento con il dentista. Gli uscì, trovando un passaggio tra le labbra, un’imprecazione, più sonora di quanto avrebbe voluto. Il tutto corredato da un gesto di disappunto, una pacca, piuttosto violenta, sulla coscia destra.

– Problemi? – si era permesso di chiedere l’autista.

– Niente, niente – aveva risposto con una appena percettibile malagrazia, lui che non era mai disposto a condividere (come si dice oggi, abusandone) i suoi fatti personali con gli altri.

– Eppure – insisté quello – sembrerebbe che qualcosa non vada per il verso giusto… con me si può confidare, a questo serve il taxista, oltre che a portarvi da una certa parte… a sfogarsi, sì… tanto sarà molto difficile incontrarsi di nuovo…

– Niente di che – rispose, di malavoglia, – le solite cose e oltretutto non mi ero reso conto di essere in ritardo, tanto ritardo, per cui…

– Per cui corro, non si preoccupi, corro… Ma le solite cose… posso permettermi di chiederle quali sono?

Il tono della voce era gentile, delicato, e lui si trovò, suo malgrado, a rispondere.

– Mah, un taxi che non è venuto, un trasloco, e il mal di denti: andare dal dentista la settimana di Natale non è il massimo…

– Ah, stiamo andando dal dentista, bene… cioè, male! … E dove le sarebbe piaciuto andare, invece che dal dentista?

– Non so, dovunque… a fare una passeggiata magari…

– E non la stiamo facendo una passeggiata, in taxi, e anche una bella chiacchierata? … La veda così…

– Mmm…

– Non c’è altro? Sicuro?

– Beh sì, il lavoro… dovrei scrivere un pezzo per il mio giornale, sul Natale, capisce? Ma io lo detesto il Natale…

– Ah, uno scrittore! Tanto piacere, davvero, anche a me piacciono molto le storie… ma non quelle banali come, mi scusi sa, dire di odiare il Natale… È banale infatti, no? È una moda anche questa, da non seguire, come tutte le mode…

– Mah…

– E poi che storia dovrebbe scrivere?

– Non so, forse vorrebbero una storia di quelle sdolcinate che girano in questo periodo ma non mi viene in mente niente, proprio niente… Entro domani dovrei inviarla…

– Mi permette un consiglio? Modesto, si intende…

– Faccia pure, tanto ormai…

– Scriva una storia su questa giornata, che oltretutto non è ancora finita: andare dal dentista e traslocare, a Natale… la trovo una bella storia, curiosa se non altro… Non le pare una buona idea?

– Boh, chissà…  magari sì… vedremo…

– Guardi però che intanto siamo arrivati, ha visto che abbiamo volato?

– Bene, grazie… Quanto le devo?

– Quello che segna il tassametro: la chiacchierata e il consiglio sono gratis.

– Ok, grazie ancora…

– Buon Natale!

– Anche a lei…

Era sceso, rapidamente. E adesso si guardava intorno, non riconoscendo il luogo. Controllò di nuovo l’ora, adesso il ritardo si avvicinava alle due ore tonde. Chissà se l’avrebbero ricevuto ugualmente. Il dente però non gli faceva più tanto male, appena la sensazione di un gonfiore, come una leggera tumefazione, non dolorosa però. Aveva passato una notte tremenda per quel dolore e adesso, adesso che era lì, puff, tutto andato via…

Ma poi, dove si trovava? Che strada era quella con quelle piccole case a villette, come nei vecchi quartieri delle cooperative dei ferrovieri, degli impiegati pubblici di una volta? Dove cavolo lo aveva portato quel chiacchierone imbecille (e simpatico)? Cercò il numero civico e si rese conto di esserci proprio davanti, ma davanti c’era, invece della elegante palazzina dove aveva studio il suo dentista, una vecchia casa singola, a due piani, circondata da una striscia di giardinetto e da un muretto basso a calce, di un antico ocra sbiadito e scrostato. Al piano terra due finestre illuminate. Si era avvicinato al muretto e da sopra cercò di guardare dentro. Vide un soggiorno arredato all’antica. Al tavolo un ragazzetto di undici, dodici anni stava scrivendo su un quaderno tra due pile di libri. Poco distante dal ragazzino un signore di mezz’età coi capelli brizzolati e una vecchia giacca da camera annodata in vita, indaffarato davanti a un vecchio scranno, di quelli scuri con le zampe ferine, stava allestendo un presepio. Sul fondo della stanza, vicino al muro, un alberello di Natale, modesto, ma con tante lucine. Si spostò leggermente per guardare dall’altra finestra: era una cucina in cui una signora, ancora piacente, dai capelli color mogano, stava impastando, preparando qualcosa, forse una torta. Giungeva lì fuori, molto attutita, una musichetta irriconoscibile, da una radio o forse dal televisore. Chissà perché quella scena domestica, pacata e banale, lo aveva incuriosito, e anche turbato. Aveva esagerato forse a entrare in quell’ intimità, a impicciarsi. Ma era stato bello, in un certo senso. Ne era valsa la pena.

Si allontanò velocemente. Ormai era troppo tardi per il dentista, per tutto. Era ora di tornare a casa, l’ultima volta in quella casa. Da domani, vita nuova.

Oggi però era fortunato, almeno con i trasporti. Un altro taxi libero, preso al volo. Stavolta il taxista era poco loquace, silenzioso addirittura. Forse avrebbe voluto parlare lui, raccontare cosa gli era capitato, che strana giornata fosse stata, quella. Magari la colpa era dei troppi antidolorifici presi la notte scorsa, che gli avevano tolto il dolore ma anche la lucidità mentale, che gli avevano provocato quella inspiegabile confusione.

Anche stavolta il tragitto fu rapido, un lampo.

Era a casa, seduto al tavolino nell’appartamento quasi completamente vuoto di mobili ma ancora ingombro di scatoloni serrati con lo scotch. Lì, al computer, a scrivere la storia per il giornale.

Ecco, adesso era finita anche la storia: l’aveva conclusa con una frase apparentemente normale ma, in realtà, sufficientemente bizzarra: questa storia me l’ha suggerita un taxista dello 0077.  Dunque l’aveva scritto, finalmente, il suo racconto di Natale e ora stava premendo il tasto per l’invio. Era riuscito a essere né smielato né acido, normale insomma, come si dovrebbe essere tutti i giorni, forse anche a Natale.

Si alzò dalla sedia, andò a togliersi il pigiama. Si sciacquò il viso e si vestì per uscire. Era presto, mancavano più di due ore all’appuntamento con il dentista, ma il dente non gli doleva più, per niente. Telefonò allo studio. Una signorina rispose quasi subito. Le raccontò, mentendo, che un inconveniente improvviso gli impediva di andare all’appuntamento. La signorina rispose va bene ma si dilungò in spiegazioni … Richiami quando potrà venire ma ormai sarà dopo Natale, il dottore ha gli appuntamenti completi fino al ventiquattro. Lo studio riapre il ventisette ma bisognerà vedere se ci sarà posto

–  Grazie, buon Natale troncò la conversazione lui.

Era abbastanza soddisfatto. Trasloco praticamente concluso, l’ascesso che si era sgonfiato del tutto, il racconto scritto e inviato. Prese soprabito e cappello e scese giù in strada, per una passeggiata. A piedi. Aveva molto tempo a disposizione. Tutto il pomeriggio. E poi mancava ancora una settimana a Natale.