Racconto di Maria Teresa Innocente
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Avevo sei anni la prima volta che sono entrato in una piscina, ricordo ancora il senso di leggerezza che mi dava galleggiare e muovermi senza fatica. Nella mia mente di bambino ero come Nemo, m’immaginavo grandi avventure, anche se la piscina non era il mare, era per me un grande spazio da esplorare.
La passione per il nuoto venne dopo, crescendo.
Iniziò verso gli undici anni, quando frequentavo le scuole medie, mi allenavo tutti i giorni, di pomeriggio. Mi piaceva, mi sembrava di pensare come un pesce, anche se non credo che i pesci pensino.
Con la costanza e la dedizione arrivarono i primi risultati, vincevo le gare dei raduni organizzati dalla mia società sportiva. Ricordo l’emozione della prima medaglia al collo. Salii sul podio, guardai i miei genitori e quelli degli altri, e immaginai di vedere migliaia di persone che mi applaudivano. Non avevo idea che quelle competizioni fossero soprattutto motivazionali, per tenere insieme i partecipanti e i soci, per farli socializzare.
Io volevo diventare un campione, i miei modelli erano Rosolino e Magnini.
«Mamma, voglio vincere le olimpiadi, farò tutto quello che serve».
Mia madre mi abbracciava e mi incoraggiava, forse pensando che la passione si sarebbe affievolita di fronte alle difficoltà.
Non era così per me.
Mi confrontai con uno dei miei allenatori, non mi sembrò particolarmente convinto delle mie qualità, soprattutto fisiche, comunque mi diede alcuni consigli, il principale di iscrivermi alla scuola di nuoto di una città a trenta chilometri da casa, dove seguivano dei giovani atleti promettenti.
«Matteo, qui da noi siamo a un livello dilettantistico, non è l’ambiente adatto per arrivare ai risultati che vuoi tu».
Per raggiungere la nuova piscina avrei dovuto servirmi dei mezzi pubblici e affrontare ogni giorno oltre un’ora di viaggio. Non fu facile convincere i miei genitori.
«Sei sicuro di voler andare Matteo? Cambierai tutti i compagni, gli allenatori, e poi il viaggio ti farà perdere tempo, come farai con la scuola?».
«Mamma, non potete impedirmi di realizzare il mio sogno» le dissi.
Così affrontai un contesto nuovo, compagni di squadra che non conoscevo e istruttori esigenti. Gli allenamenti erano molto impegnativi, alla fatica fisica si aggiunse la difficoltà di mantenere un buon rendimento scolastico e l’isolamento sociale, i miei amici non mi capivano.
«Matteo, vieni con noi questa sera? Si va in disco!». Mi invitavano a trascorrere serate da sballo. Come potevo? Dovevo allenarmi, nulla poteva distrarmi dal migliorare i miei tempi in gara.
«Mi dispiace, non posso, devo andare in piscina». Rispondevo timidamente.
«Sei proprio fissato con la storia del nuoto!».
Alcuni degli atleti che si allenavano con me erano molto bravi, in particolare una ragazza, Barbara, era considerata una promessa dello stile libero, anche se a un certo punto non si vide più agli allenamenti.
«È da un po’ che non si vede Barbara» chiesi a un ragazzo del mio turno in sala pesi e aggiunsi:
«Saranno alcune settimane che non viene in piscina».
«Ho sentito che ha avuto un incidente» mi rispose. «Non so se tornerà».
Mi dispiacque, era l’unica con cui avevo un po’ legato. Anche se aveva ottenuto dei risultati molto interessanti, e vinto alcune competizioni della sua categoria, non si vantava, era disponibile al confronto, quasi incoraggiante.
«Matteo, sei così determinato che a volte mi intimorisci» mi disse un giorno. Lo disse con leggerezza, non con ironia, come facevano altri.
Non ci pensai più, avevo in testa solo nuotare, nuotare, nuotare. Contavo le bracciate anche la notte. A casa guardavo in continuazione i video delle gare dei migliori, dei miei idoli. In internet cercavo le informazioni sulla biografia di tutti i grandi campioni, cercando di scoprire i segreti del loro successo. Dovevo farcela.
Tutti quegli anni di sacrificio mi passano ora davanti agli occhi come un film che non mi riguarda, che non mi appartiene.
Dopo mesi di allenamenti durissimi, di diete, di sessioni con il mental coach, di focus totale, in cui ho pensato solo a nuotare, a migliorare le virate, ad allungare la mano per toccare prima la piastra, dopo migliaia di misurazioni, ieri, nell’ultima gara per qualificarmi ai campionati italiani, ho fatto il peggior tempo della stagione, molto lontano da quello necessario per la qualifica.
Sono un fallito, non solo non andrò alle olimpiadi, non farò neanche i campionati italiani. La società mi ha invitato a riconsiderare la nostra collaborazione. Sono inadeguato, come forse aveva previsto il mio primo allenatore.
«Sei sicuro Matteo di intraprendere la carriera d’agonista? È un percorso lungo, per super dotati…». Mi disse allora.
Sono sul ponte più alto del fiume della città, mi affaccio e lo guardo scorrere. È piovuto per una settimana, il livello si è alzato, la corrente trascina pezzi di rami e altri detriti che sbattono sull’argine spinti con forza dalla potenza dell’acqua. L’acqua che io amo tanto, o forse ho amato tanto, non è come questa, è calma, azzurra, accogliente. Oggi però sono attratto da quest’ acqua, come se il liquido che mi ha accolto in tutti questi anni debba essere lo stesso che mi rifiuta, che mi sbatte via, che mi annienta.
Sono qui perché ho visto la mia fine.
La fine del sogno, la fine di Nemo, la fine di tutto.
Guardo il fiume e mi chiedo cosa si prova a lanciarsi sotto, l’istinto ti salva oppure il dolore ti fa affondare?
«Ciao Matteo, che fai?».
Mi giro, faccio un passo indietro, scuoto la testa incredulo, Barbara, la giovane promessa dello stile libero è a due passi da me. Non l’avevo più vista in piscina, aveva subito un incidente d’auto, come mi aveva detto un compagno di allenamenti. Mi guarda sorridente, il volto leggermente inclinato per ripararsi dal riflesso della luce del sole. Si avvicina trascinando la gamba destra, zoppicando.
«Ciao Barbara, io… guardo il fiume».
«Posso restare qui a guardarlo con te?».
Forse anche lei ha visto la sua fine, penso.
«Certo, resta con me».
Siamo vicini, appoggiati sul parapetto del ponte, ci sfioriamo appena.
Sento un nodo alla gola, volgo lo sguardo verso di lei, trattengo le lacrime e le sorrido.
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https://www.ibs.it/come-fiori-liberi-libro-maria-teresa-innocente/e/9791220347846
Prende il cuore.. Bellissimo
Molto intenso
Anche nei momenti piu difficili può esserci una nuova opportunità, o almeno possiamo pensare che sia possibile.
Brava M. Teresa
Un progetto che dà speranza in tutti i sensi: per la ricerca, per chi lo realizza e per chi lo vive. Grazie
Molto bello e Coinvolgente
La tua sensibilità, Maria Teresa, offre descrizioni di ambienti e di personaggi sempre molto calzanti. Chapeau!!!
Ti conosco da tanto tempo e ogni volta, quando leggo ciò che scrivi, mi sento vicina a te.
Sai cogliere aspetti della vita, con la tua grande sensibilità, che coinvolgono tutti coloro che, questa vita, la vivono ogni giorno intensamente.
racconto molto sensibile e profondo.