Racconto di Maria Grazia Torracca

(Pubblicazione 24 ottobre 2019)

 

 

È domenica, guardo l’ora e come al solito è ancora molto presto, la mia mente scorre al passato, al nostro primo incontro, dove mi stavi anche un po’ antipatico, le tue giornate a studiare, le tue ansie per i prossimi esami, i tuoi allenamenti per arrivare sempre primo.

Poi ce l’abbiamo fatta, ci siamo sposati, la nostra casa e la nostra camera, il nostro grande letto che profumava di te, la nostra alcova tanto desiderata. 

Ti guardo in questo letto ormai troppo grande, non ci sono più effusioni e toccatine sfuggenti, non ci sono più richieste particolari.

Stai dormendo, anche stanotte sei stato sveglio, questa malattia ci sta uccidendo, non ci sono più ricordi nella tua mente inerenti al presente o ad un passato recente, non c’è più niente se non il tuo sguardo assente con tanta richiesta di aiuto.

Le nostre risate, le nostre litigate che finivano sempre in questo letto, ricominciavano al mattino come se niente fosse successo e ci amavamo tanto.

Ti amo tanto ancora e la mia disperazione nascosta nell’ animo mi lascia ogni giorno sempre più sconvolta. 

Come ogni giorno ti sveglierai, ti aiuterò a fare colazione e poi un’altra giornata maledetta su quella poltrona. Mi chiederai dove siamo, che giorno è, mi chiederai di andare a casa, magari con la moto, mi chiederai se hai già cenato, ma sono appena le otto del mattino e te non lo sai. 

Vado in camera tolgo i lenzuoli e vedo quel letto grande, sempre più grande che ormai non mi racconta più niente, non è mai stato cosi silenzioso; mi ci siedo sopra e silenziosamente piango.