Racconto di Liliana Vastano

(20 dicembre 2020)

 

 

C’era un’aria strana quel giorno nel Purgatorio dei re, la stessa aria che si respirava ogni qualvolta si prevedeva un trasferimento nell’anticamera del Paradiso. Proprio così, l’anticamera del Paradiso, un luogo sospeso tra cielo e terra dove il futuro beato si liberava gradualmente di tutte le voglie che lo avevano tormentato nel lungo periodo di penitenza. Nostro Signore Dio Onnipotente aveva stabilito che i re, data la loro posizione, dovessero essere giudicati più severamente dei comuni mortali e che il loro soggiorno nel regno dei penitenti dovesse essere calcolato moltiplicando per tre gli anni di regno. La pena, uguale per tutti, consisteva nel provare i desideri   più svariati senza avere la possibilità di soddisfarli. Nel giorno di cui stiamo parlando, doveva uscire Ferdinando IV re di Napoli, diventato successivamente Ferdinando I delle due Sicilie. Sua moglie, Maria Carolina d’Asburgo, già fuori da tempo, stava aspettando pazientemente la fine della sua penitenza che, a causa dei quaranta e più anni di regno era durata abbondantemente oltre un secolo. In tutto questo tempo, Ferdinando aveva sofferto essenzialmente per la mancanza di donne, per la mancanza delle battute di caccia a San Leucio e a Carditello e dei banchetti che ne seguivano. Ferdinando era una buona forchetta e il profumo del cibo che lo aveva accompagnato nel corso della sua lunga penitenza lo aveva fatto soffrire moltissimo. In particolare delirava per i polipetti alla Luciana, il coniglio all’ischitana, la trippa al sugo con le patate, il soffritto di maiale, il cinghiale alla brace e, in ultimo, i paccheri alla genovese che gli preparava Nanninella di San Leucio alla fine delle sue numerose battute di caccia. Possiamo affermare tranquillamente che Nanninella rappresentasse la sintesi di tutte le sue voglie: sesso, cibo e caccia.

L’arrivo di un Cherubino proveniente dal Paradiso rese chiaro a tutti che la porta del Purgatorio stava per aprirsi e così avvenne: Ferdinando, accompagnato dal suo compagno alato si trovò, per incanto, nell’anticamera del Paradiso e, disteso su una comoda poltrona, cominciò, pian piano a liberarsi delle sue voglie e a trovare la pace dei sensi. Il Cherubino, ogni tanto, gli faceva qualche domanda per accertarsi che il processo di beatificazione procedesse regolarmente: un secolo di voglie da smaltire richiedeva tempo e pazienza e lui era lì per questo. L’ultima voglia, quella della genovese, stentava a scomparire: andava via, poi tornava, a volte solo per un attimo, altre per lunghi minuti. Quando trascorsero tre settimane senza alcuna voglia, il Cherubino decise che fosse arrivato il momento del passaggio definitivo in Paradiso e si adoperò affinchè fosse rispettato il consueto cerimoniale: tappeto rosso, banda e coro degli Arcangeli. L’incontro con Carolina fu emozionante così come con tutti gli altri beati del suo rango. Si meravigliò di non vedere né il cardinale Ruffo né il boia di piazza Mercato collocati nel profondo dell’Inferno senza possibilità di salvezza, insieme a tanta altra gentaglia che gli aveva fatto compagnia nelle sue scorribande notturne. Il lavoro del Cherubino, però, non poteva considerarsi ancora concluso: egli sarebbe rimasto costantemente al fianco del suo assistito per stroncare sul nascere qualsiasi voglia che, improvvisamente si fosse manifestata, un’eventualità molto remota ma possibile.

Dopo alcuni giorni di soave beatitudine, Ferdinando cominciò ad essere nervoso: dimenticava di recitare le glorie al Signore, non accompagnava volentieri Maria Carolina a passeggio nei giardini del Paradiso, si svegliava di soprassalto durante la celeste pennichella ed evitava lo sguardo del Cherubino. Era successo quello che non doveva succedere: gli era ritornata una voglia, la voglia per eccellenza, la voglia di genovese il cui profumo gli penetrava nel nasone e lo inebetiva. La genovese, per chi non la conoscesse, è un sugo che si prepara facendo cuocere le cipolle tagliate finemente insieme a un pezzo di carne di manzo precedentemente rosolato con carote e altri odori. E’ un piatto tipico della cucina napoletana. Con questa bontà si condiscono i paccheri, le mafalde oppure le pennette. Ferdinando ne era ghiotto e, come sappiamo, apprezzava in particolar modo quella che gli preparava Nanninella. Il Re non sapeva come fare, era in profondo imbarazzo, temeva che lo rimandassero in Purgatorio perciò si decise a parlare con il Cherubino: – Cherubino mio, mi è ritornata prepotentemente la voglia di genovese, aiutami, io non voglio tornare in Purgatorio! –Maestà – rispose il Cherubino – io avevo capito da un po’ che qualcosa non andava per il verso giusto ma aspettavo il vostro atto di umiltà. Ormai siete in Paradiso, indietro non si torna, il problema si risolverà definitivamente soltanto quando avrete soddisfatto questa voglia, quindi, non c’è tempo da perdere: domani torneremo insieme sulla terra, voi mangerete una bella genovese e poi di nuovo in Paradiso. Adesso andatevi a preparare e mettete la sveglia “dindondan” perché domattina si parte presto.

La celeste accoppiata formata da Ferdinando e dal Cherubino si avviò di buon ora dall’eliporto di Paradiso Sud a bordo di una comoda nuvoletta biposto. Su consiglio del Re si puntò direttamente su San Leucio. Non è che Ferdinando sperasse di rivedere Nanninella, ormai defunta da oltre un secolo, ma si augurava che ci fosse almeno qualche bettola, come ai suoi tempi, dove si diceva sicuro di assaggiare un’ottima genovese. La delusione fu grande, di bettole nemmeno l’ombra, soltanto pizzerie, bracerie, street food e altre diavolerie del genere. Poiché stavano nei paraggi, si diressero alla Reggia di Caserta ma le cucine reali erano scomparse, si erano trasformate in uffici, stessa cosa per il Palazzo Reale di Napoli, la Reggia di Capodimonte e quella di Portici. Ormai queste residenze erano destinate a tutt’altro, erano diventate musei, per la genovese bisognava andare soltanto nel cuore pulsante di Napoli: i Decumani. Si fermarono sul tetto di San Domenico Maggiore, la chiesa dei re aragonesi, e scesero in piazza. Appena cominciarono a girare furono travolti da mille colori e inebriati da mille profumi, anche quello della genovese. Il RE era a proprio agio, il Cherubino, invece, ondeggiava, non era abituato perchè originario del Nord ma, comunque, si sentiva profondamente attratto dall’esperienza che stava vivendo. Continuarono a camminare fino alla statua del Nilo e lì seguirono il loro olfatto. Approdarono in una trattoria molto accogliente, con cucina a vista, dove si stava preparando proprio la genovese. Ma non solo genovese, anche polipetti alla Luciana, coniglio all’ischitana, carne alla brace. Ferdinando a questo punto esclamò: – Cherubino mio, qui è il mio Paradiso, io nel Paradiso tuo non ci torno più! – Dopo quest’attimo di smarrimento si sedettero entrambi, mangiarono prima la genovese, poi i polipetti affogati, salsiccia alla brace e chiusero con un babà che, secondo Ferdinando, era più buono di quello che gli preparava il monsù di Palermo quando stava in esilio.

Finito il pranzo, bisognava rientrare. Se Ferdinando non lo avesse fatto, Nostro Signore Dio Onnipotente lo avrebbe spedito dritto all’Inferno senza più nessuna speranza di salvezza. Gli sarebbe piaciuto portare in Paradiso due sfogliatelle per Maria Carolina ma il Cherubino gli fece notare che lassù nessuno desidera nulla se non stare con Dio e sarebbe stato così anche per lui una volta messo piede sulla nuvoletta che lo avrebbe riportato su. Quel giorno a Capodichino c’era lo sciopero dei controllori di volo, nessun aereo poteva decollare ma il velivolo celeste viaggiava su una rotta speciale e partì lo stesso dopo uno sberleffo di Ferdinando rivolto ai numerosi passeggeri in attesa. Man mano che salivano verso il Paradiso, Ferdinando si rilassò e si lasciò cullare dalle nuvole fino ad addormentarsi, Quando si svegliò si trovò nel letto a baldacchino vicino alla Regina e tutto frastornato le disse: – Carolì, che bel sogno che ho fatto! Un Paradiso all’improvviso!