Racconto di Annarita Campagnolo

(Sesta pubblicazione – 29 maggio 2020)

 

Che poi, il tempo meteorologico non aiuta.

La mattina il sole lascia intendere che presto tutto finirà. Il suo tepore infonde ottimismo (pare che il nemico tema il calore).

Allora comincio a respirare con più regolarità e ogni pretesto diventa buono per poter sostare in balcone.

Il polline è arrivato, gli alberi sotto casa mia sembrano stiano per esplodere.

Ogni superficie esterna è coperta da una polvere giallastra.

È diventato quasi un rituale alzarsi presto e armarsi di spugna e disinfettante, per detergere con cura ciò che è esposto ai ritmi della natura.

Il mio gatto mi osserva curioso. Non sopporta l’odore del disinfettante a base alcolica.

Gli dico che è meglio anche per lui zampettare su un pavimento igienizzato. Mi guarda schifato e insegue un raggio di sole sotto cui stendersi.

Ogni tanto viene ad annusarmi le pantofole. Non si spiega perché, da un po’ di tempo, indosso solo quelle. Lui capisce che sto per uscire dalle scarpe che metto, e questa cosa di vedermi sempre in versione casalinga, credo lo destabilizzi.

Ha i suoi non tempi, il mio gatto. Un continuo presente fatto di sonnellini, spuntini, indolente e pacifica caccia alla malcapitata mosca.

Pare che i gatti, e forse la maggior parte degli animali, non abbiano il senso del tempo che scorre. Credo sia una prerogativa esclusiva dell’essere umano.

Lo invidio per questo.

Sono chiusa in casa da due settimane e, probabilmente, ci resterò per altrettante. Siamo in attesa del picco dei contagi. Da noi, al sud, il malefico Covid è arrivato un po’ più tardi. Perché qui i treni arrivano sempre in ritardo. Gli aerei fanno scali strani e le auto, con le strade che ci ritroviamo, non consentono un viaggio veloce e sicuro.

Dunque abbiamo atteso che tutti i cervelli in fuga si ricongiungessero con le famiglie d’origine. Ora possiamo cominciare a contare i contagi, le vittime, gli asintomatici, i paranoici, gli ipocondriaci e gli ansiosi-depressi (che scoprono di essere soggetti a rischio a causa delle basse difese immunitarie decimate dalla paura).

Il mio gatto non sa di tutto questo, ma la sera mi cerca per impastare fusando (si dice così?) a tutto spiano.

Capisce che sono tesa. Mi osserva mentre a volte piango al telefono e viene a strusciarsi.

Di là dal mio mondo, fatto d’incertezze e improvvise tachicardie, c’è mio figlio, chiuso nel sarcofago della noncuranza, che lo preserva dalla pazzia del momento. Parliamo poco, ma c’intendiamo molto.

“A vent’anni si è stupidi davvero” diceva uno dei miei tempi – ma vorrei che godesse in pieno del diritto alla stupidità.

Intanto, anche lui in tenuta da casa, una doccia sì e una no, barba incolta e unghie lunghe, e tiritere scocciate e scoccianti tipo “che studio a fare, tanto gli atenei sono chiusi, e poi a che serve?” – si sfoga suonando: pianoforte, basso, chitarra elettrica attaccata a un adeguato amplificatore…

Mi sveglio dal torpore. Non ce la posso fare… ma a furia di provarci, magari ce la faccio.

Ecco la sera! Mio marito, costretto a lavorare comunque, è finalmente rientrato. Tiro un sospiro di sollievo e mi preparo ad ascoltare il suo borbottio che tradotto in gergo famigliare vuol dire “Ho fame – Oggi mi hanno rotto il c… – Questo mese niente stipendio, tutto bloccato”.

Cena, film, tisana, gocce di xanax e sigaretta.

In effetti, Il tempo meteorologico non aiuta. Fuori, nel balcone, fa ancora freschetto e maggio sembra lontano, ma grazie a Dio anche questo giorno è andato.

Dal fronte è tutto. Buonanotte!