Racconto di Seton Kolb
(17 febbraio 2021)
Era la tarda mattinata di un sabato di fine aprile, Il sole era più che tiepido, le finestre dell’aula erano aperte ma non volava una mosca, non una.
<La cosa importante è cercare un contatto fisico con la persona amata, pur senza mancarle mai di rispetto. È sufficiente sederle vicino, non importa quale sia la scusa, anche un semplice sorriso può bastare>.
Aveva gli occhi chiusi e parlava con il suo dolce accento del sud, lo faceva gradevolmente, insieme a una lieve gestualità da direttore d’orchestra che dà il via all’oboe. Il suo era quasi un sussurro, che arrivava limpido a tutti noi che eravamo ad ascoltarla.
Ci parlava di Ovidio, leggeva dal primo volume dell’Ars Amatoria dove spiegava ai giovani uomini come conquistare la fanciulla desiderata.
Lei era Rosaria F. supplente di Italiano e Storia. Era alla sua terza lezione ma già la prima era stata sufficiente per conquistare un po’ tutti, ragazze comprese.
Era bella? Non una bellezza appariscente ma sì, lo era. Era affascinante? Sì, lo era. Era provocante? Con naturalezza sì, lo era. Era brava? Considerando come catturava l’attenzione con il suo modo di porsi e come sviluppava le sue lezioni sì, lo era. Passando per la sala professori, si notava subito che in pochi giorni era balzata al centro dell’attenzione. Le colleghe scambiavano volentieri opinioni con lei. I colleghi, i più coglioni, sembravano ringalluzziti e le sbavavano tutti dietro.
Il suono della campanella distolse i miei pensieri.
<Fermi! Non ho terminato, lasciate ancora un po’ il sederino sulla sedia>.
Nessuno fiatò e tantomeno si alzò.
<Ovidio diceva che seduttori non si nasce, ma si diventa! Comunque avremo modo di riprendere l’argomento>.
Cominciammo a muoverci con un leggero tramestio.
<Ancora un momento…>
Tutti fermi.
<Carlo, gli ultimi minuti ti ho visto assente, puoi dirmi cosa ne pensi?>
Guardarono tutti dalla mia parte. Non riuscivo a capire come, se mentre spiegava aveva gli occhi chiusi, fosse riuscita a notare la mia distrazione momentanea.
Non ebbi esitazioni:
<l’ultima frase di Ovidio non mi trova in sintonia>.
<No?>
<No!>
<Perché?>
<Non sono convinto che…>
<Va bene va bene Carlo, riprenderemo l’argomento lunedì. Liberi! Buon fine settimana a tutti.>
Fui uno degli ultimi a uscire, passandole accanto. Lei, a braccia conserte, mi disse:
<Ciao signor no>, con un sorriso che mi scombussolò.
Fuori da scuola dovetti subire la presa in giro di Caterina:
<Poverino, come stai?! Quando la prof si è rivolta a te, sei diventato rosso come un peperone maturo>
<Caterina, per favore>
<Va bene, stai calmo! Ora vado, è venuta a prendermi mia madre. Ci si sente oggi pomeriggio?>
<Certo…chiama quando vuoi>
Rosso come un peperone, ma per favore! Possibile? Era stata questa la mia reazione? Caterina era molto attenta a ciò che facevo e non facevo, dicevo e non dicevo, anche un po’ troppo. Andava bene così, mi piaceva, insieme stavamo “sviluppando” con soddisfazione di entrambi le nostre prime esperienze extrascolastiche.
Camminando verso casa i volti di entrambe si sovrapponevano, quello della prof e quello di Caterina. Provai ad immaginare Rosaria, la prof, a sedici anni; mi chiedevo se il suo modo di essere fosse stato uguale anche a quell’età, l’età di Caterina e anche la mia.
No! La differenza era netta, ne ero sicuro. Se si è in un modo si rimane tali; certo, gli anni ci cambiano, ma la “base” rimane invariata.
Caterina sapeva catturare con uno sguardo? Sapeva avvolgere con le sue parole o, al contrario, coinvolgere con la sua gestualità e comunicazione non verbale?
No, Caterina, pur con tutte le sue positività, non sarebbe mai stata Rosaria.
Il linguaggio della sensualità non si impara: si ha o non si ha.
Sensualità… non è che mi fossi mai soffermato su questo lato della personalità individuale che accende l’interesse e l’attrazione che gli altri sentono.
Ancora oggi, quando mi chiedo cos’è, se non la vedo indossata inconsapevolmente da qualcuno, non riesco a definirla: è corporea e incorporea, se c’è si nota, si sente, se non c’è è meglio non cercarla.
In classe si tornò sull’argomento, mi guardò, mi sorrise e nulla di più.
Quell’anno in italiano fui superlativo.
La incontrai in libreria un tardo pomeriggio di fine giugno. Mi invitò al bar per prendere una caffè.
<Anzi, no> disse, accompagnando le parole con un sorriso sornione <per te va meglio un’aranciata>
Ci accomodammo a un tavolino poi le si alzò scusandosi.
<Torno subito, intanto tu ordina>
Cullami, accarezzami, fammi sentire il tuo profumo, portami dentro di te…
Era quello che stavo pensando, prima di essere interrotto da lei:
<Carlo!?>
<Sì?>
<Tutto bene?>
<Certo, pensavo>
<Ho visto, sembravi assente>
Si mise a sedere di fronte a me.
<Allora, signor no, visto che siamo qui, vuoi dirmi in cosa eri in disaccordo con Ovidio quando diceva che seduttori non si nasce, ma si diventa?>
<Prof, la seduzione, quella naturale, quella innata, è collegata a qualcosa che abbiamo dentro di noi, non si studia, certo, volendo affinarla è possibile, ma si ha o non si ha.>
<Dici…>
<Si, è quello che penso.>
<Un esempio?>
<Un esempio sei tu… è lei, prof…>
Forse in quel momento non ero diventato rosso come un peperone, probabilmente bordeaux, ma non m’importava.
<Caarlooo…>
Dopo un po’ tirò fuori dalla borsa un pacchetto e me lo diede.
<Domani torno in Sicilia, questo è per te, perché sei stato un buon allievo e perché sei tu.>
Si ravvivò i capelli, si mise più comoda con un lento accavallamento delle gambe e mi sorrise dolcemente.
Era tornata in libreria.
Il pacchetto conteneva La donna che mi insegnò il respiro di Ayad Akhtar.
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