Racconto di Anna Maria Tagliamonte

(14 settembre 2020)

 

Se ne andò più in fretta che poteva. L’autobus passava alle 17 e 40 e lei era in tremendo ritardo. Di corsa raggiunse la fermata, aveva il fiatone e il cuore che le batteva a mille. Un secondo ancora e l’avrebbe perso. E invece riuscì a salire in tempo e a trovare anche posto. Le andò di lusso: si accomodò in prima fila, lato finestrino, vista mare.

Il pullman ripartì e lei iniziò a rilassarsi. Strada facendo pensò a quello che gli avrebbe detto, ripassò tutto il discorso parola per parola. Sfogliò una rivista. Guardò il cellulare. Lesse gli ultimi messaggi.

Poi si addormentò. Si svegliò una mezz’oretta più tardi con una voglia indicibile di fare pipì. Per fortuna mancava poco all’arrivo: solo pochi minuti.

Scese di corsa così come era salita: questa volta però alla ricerca di una toilette.

Entrò in un bar, quello più vicino, e chiese contemporaneamente un caffè e di usare i servizi.

Fu una liberazione: era diventato un peso insopportabile da trattenere.

Bevve il caffè, mentre stava per pagare, i suoi occhi si incrociarono con quelli di lui che era appena entrato nel bar. Non era solo: era in compagnia di una donna di cui lei ignorava completamente l’esistenza e che lo teneva per mano. Lui, sorpreso di incontrarla, staccò la mano, guardò nervosamente l’orologio e balbettò – che ci fai qui? –

Nulla! Non ci faccio nulla!

Rispose e, senza neanche guardarlo in faccia, uscì.

Iniziò a correre senza voltarsi.

Corse più forte che poteva. Non aveva una direzione

precisa, tranne quella di allontanarsi da lui. E lo fece, finalmente!

Fu per lei una liberazione. Non ne poteva più di tutti quei discorsi inconcludenti: parole ormai logore, segno di un amore svanito. E quando l’amore non c’è più, c’è poco da sistemare.

Se ne rese conto in un lampo e altro non le rimaneva che andarsene lontano. Lontano da tutto.

E si allontanò sul serio. Corse più forte che poteva, poi si fermò di colpo e decise di cercare una camera d’albergo, perché aveva un disperato bisogno di riposare.

La notte le avrebbe portato consiglio e l’indomani avrebbe deciso che fare. Fu una pia illusione!

Non riuscì a chiudere occhio, continuò a rimuginare su tutto quanto, girandosi e rigirandosi nel letto. Si alzò che era ancora buio, decise di fare una doccia calda, si stese nuovamente sul letto e, finalmente, si addormentò. Si risvegliò che era pomeriggio inoltrato, mezza intontita come chi si riprende da una sbronza,le girava la testa e a stento si reggeva in piedi. Si stese nuovamente sul letto mentre i ricordi riaffiorarono di colpo, così come le lacrime che copiose le solcavano il volto. Era triste. Era triste perché l’aveva amato e tutto avrebbe voluto tranne che chiudere in quel modo la loro storia.

Si sentiva tuttavia profondamente ferita. Chi era quell’altra che giuliva si accompagnava a lui? Inutile rimuginare e farsi domande senza risposte. Tutto quel dolore esisteva ed era forse quella la risposta più significativa tra tutte quelle che avrebbe potuto avere.

Capì infatti di meritare un amore semplice. Quel groviglio di dolore e di preoccupazioni la stavano annientando. Capì che quel che conta è respirare a pieni polmoni, guardare l’orizzonte e scoprire la sua bellezza. Capì che basta poco per essere felici. Capì che non serve aver fretta di sistemare le cose.

Non c’è un bel niente da sistemare!

Ma è così difficile scegliere la felicità?