Racconto di Giovanni Boncristiani

La casa di mia mamma, dove lei è nata, era grande e bella.
Solitaria, sul fondo di una vallata, austera e con un’aia smisurata.
Ricordo il forno, il canniccio ed il camino, e la cucina a legna con l’acqua sempre bollente.
Ricordo le stanze, le tante stanze, i corridoi, le cantine e le scale, interne ed esterne; tutto, era per me bambino, un fantastico labirinto.
La casa di mia mamma, dove lei è cresciuta, era allora vissuta da due famiglie ma non se ne apprezzava la differenza quasi fossero una sola.
L’acqua in casa non c’era e la corrente arrivò tardi, ma non era un problema, il ruscello scorreva gradevolmente e rumoroso a pochi metri e la luce del sole scandiva lo scorrere del tempo diversamente nelle varie stagioni.
Molti alberi, diversi tra loro per forma, altezza e profumo, incorniciavano la casa.
Tutt’attorno c’era sempre una lieve brezza e le foglie, muovendosi, sembravano bisbigliare incessantemente l’un l’altra.
La casa di mia mamma era qualcosa di più di una casa, era fatica e riposo, felicità e dolore, solitudine e compagnia ma soprattutto solidarietà, calore e amore per la vita.
Case così non esistono più se non nel cuore e nella mente di chi le ha vissute.