Racconto di Luigina Parisi
(19 febbraio 2021)
Quegli occhi e quel viso affilato, il chiaro della pelle che lasciava intravedere tratti di blu traslucido sulla fronte lo incantavano ancora. L’ammirava riflessa mentre lei estasiata guardava un vestito rosso fiamma in una vetrina del centro.
“Mi darebbero della matta se lo indossassi?” – fece lei senza voltarsi a guardarlo.
“Probabilmente sì” – disse lui sorridendo – “ma non tanto per il colore, quanto per quella scollatura vertiginosa.”
E con il braccio che le teneva sulla spalla l’attirò verso sé, come a richiamarne lo sguardo.
“Va be’ – disse lei – andiamo a prendere questo gelato.
Si incamminarono così abbracciati lungo il viale che portava verso il mare, senza alcun bisogno di stabilire una meta precisa; tutto andava bene. Erano in ferie e dovevano soltanto riempire il pomeriggio prima della cena. E poi entrambi sapevano con esattezza dove avrebbero preso il gelato, senza bisogno di dirselo. Il sole era ormai basso all’orizzonte e tra poco si sarebbe velocemente immerso nell’azzurro intenso dell’acqua, striata di riflessi d’oro, come l’ennesimo gesto d’amore. Quando potevano non si perdevano mai lo spettacolo del tramonto.
Dopo il gelato scesero nella solita caletta dove lei si distese direttamente sulla sabbia col viso rivolto all’ultimo sole;
lui, un po’ discosto, si sedette su uno scoglio affiorante a fumare una sigaretta. Il vociare che proveniva dalla strada faceva parte del quadro.
Rimasero lì una mezz’ora, senza parlare, godendo del lieve ciangottio delle acque, dei profumi, dei colori in cui erano immersi e della reciproca compagnia, seppure silenziosa.
“Sai” – disse lei all’improvviso – “solo qualche anno fa lo avrei comprato, quel vestito. E son sicura che ti sarebbe piaciuto vedermelo addosso.”
“Il vestito?” – fece lui come cercando di ricordare a cosa sua moglie si riferisse.
“Ah … sì, il vestito rosso, quello a cui mancava il pezzo davanti.”
E proruppe in una sincera risata.
“Beh … sì, è probabile che lo avresti comprato e magari indossato e molto probabilmente ti avrei guardato come si guarda una dea. Sicuramente indosso a te avrebbe fatto una gran bella figura, ma non sono sicuro che t’avrei fatta uscire, non ne avremmo avuto il tempo e forse tu il coraggio”.
Continuò a ridere, non accorgendosi del viso crucciato di lei.
“Dunque mi consideri vecchia?”
“Cosa? Ma che dici? Non sei vecchia, non più di me, perlomeno.”
Non riusciva a smettere di sorridere, forse perché aveva la meravigliosa visione di lei con quel vestito addosso e non si accorgeva che con ogni parola la feriva, nonostante non ne avesse la minima intenzione.
Lei ai suoi occhi non era mai cambiata; e non riusciva a capacitarsi dei suoi malumori legati al tempo che passa.
“E allora perché ritieni che io non possa più indossare qualcosa del genere? Perché è questo quello che pensi, vero?”
“Ehi, aspetta un attimo. Io non ho detto nulla del genere. Non mettermi in bocca parole che non ho detto. Sono sicuro che staresti molto bene con quel vestito, ma pensavo che ormai alla nostra età certi colpi di testa … cioè, volevo dire … no, non c’entra l’età … è che …”
“ Ma davvero vuoi quel vestito? Io pensavo scherzassi!”
“E perché mai dovrei scherzare? Non è che lo voglio. Non saprei quando metterlo; ma il fatto che tu pensi che io ormai non dovrei metterlo mi fa arrabbiare.”
Allora lui si fece vicino, le sollevò il mento per guardarla negli occhi e le passò l’altra mano nei capelli che conservavano intatta la capacità di sedurlo, nonostante il bianco avesse preso il posto dei riflessi rossi che un tempo amava esibire.
“Tu sei ciò che ho, tu sei ciò che sono. Che mi importa del tempo che disegna sui nostri corpi nuove linee, nuove espressioni, che mi importa se usa nuova colori per dipingere i nostri sorrisi, se scolora capelli, se ci fa svegliare con un nuovo dolore sconosciuto al giorno prima. Ciò che importa è averci accanto al nostro risveglio, che è un continuare il sogno incredibile che siamo. Ciò che conta è il mio sguardo su di te, incantato, quando esci dal letto e vai in cucina a preparare il caffè. E tu sorridi perché mi vedi alzarmi e seguirti. Mi posiziono sul divano, per vederti a piedi scalzi aprire il barattolo della nostra miscela, preparare la moka con quei gesti lenti e sensuali che sanno ancora di sonno. Mi perdo nel groviglio dei tuoi capelli e sento forte i tuoi pensieri insieme al deciso profumo del caffè. E il giorno spalanca le sue porte attendendo le tue risate, il tuo umore stravagante, i tuoi crucci e i tuoi entusiasmi che hanno sempre saputo travolgermi.
Che mi importa di un vestito rosso se sono le tue labbra a farmi morire e rinascere ogni giorno, quando piano mi sussurri il tuo buongiorno. Ne seguo la linea eccitante, che si inarca nel più meraviglioso dei sorrisi. Seguo il fiorire degli occhi dalle ombre della notte, il candore dello sguardo, seguo il tuo muoverti leggero, il tuo venirmi addosso. E ti ritrovo sedicenne, imbronciata, che mi chiedi un gelato, sempre il solito, bianco crema, e mi riesplodi dentro come allora, come ieri, come oggi, come domani.”
Allora lei si alzò e gli andò vicina, più che poteva.
Un giovane fotografo, che passava per caso, catturò la scena, di un lui, una lei, una spiaggia e un sole infuocato che muore.
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