Racconto di Vincenzo Sottile

(quarta pubblicazione – 21 settembre 2020)

 

La solita petulante litania propinata dagli speakers e dai giornalisti di varie testate. L’estate sta finendo e un anno se ne va… Un noto motivo che accompagnò la giovinezza di quelli della mia età. Non che ci sia nulla di trascendentalmente assurdo…anzi… Però, cavolo ragazzi! Basta con questi sentimentalismi a buon mercato! È stupendo rammentare il fluire di una passione… troppo spesso si definisce amore quello che non si rivela poi tale… e non opino solo dal punto di vista fisico bensì da quello meramente intellettuale… un business questo vocabolo, troppo dilapidato a destra e a manca… Intendo proprio dilapidato, sprecato, consumato in altalene parossistiche di frasi mezze dette, di dondolii e soliloqui cervellotici dove uno psichiatra avrebbe difficoltà a scavare dentro… Diamo il vero nome alle cose e scendiamo su questo pazzo universo che viene definito terra ma che poi, se si elucubra con raziocinio, terra non è mai del tutto…

Quanti momenti sorbiti attraverso l’effetto di narcotici mentali… Non è droga solamente qualsiasi sostanza che stordisce il sistema nervoso, ma anche e soprattutto farsi imbonire da falsi idoli di cartapesta che rappresentano scenari illusori dove le sofferenze sono bandite come dei roditori e serpenti schifosi per fare posto a magici universi ricolmi di meraviglie per ogni palato e di piscine contorniate da palme, acacie, baobab e da paesaggi mozzafiato come quelli sulle cartoline di saluto che si inviavano ai conoscenti di ritorno dalle vacanze in paesi esotici per dimostrare che nel fondo non si erano raccontate delle frottole. Adesso neanche più quello! Tutto rigorosamente robotizzato e digitalizzato! Fotografie scattate con telefonini sempre maggiormente somiglianti a dei giganteschi mostri ma senza più l’ausilio e il conforto di una sana e inquietante mitologia, stampe convulse di blocchi di foto rassomiglianti a etti di salumi e formaggi da gustare dietro suggerimento dell’amico sapientone che ha pontificato per tre ore in conferenza su Skipe o in diretta al ristorante e senza sfiatare un attimo al punto che il resto della nostra comitiva faticava a tenergli corda. Solo come si faceva… Poverino, si sarebbe offeso a morte! Da due mesi tornato single ma non per sua libera scelta… Cornificato e piantato dalla compagna sull’orlo del matrimonio e con le bomboniere già confezionate… La disperazione dei quattro suoceri che vedevano sfumare il loro bel quadretto quasi filatelico d’amore… Vi fa ridere il vocabolo filatelico? Eppure è proprio quello che mi suggeriva il rapporto fra il mio amico e la sua ex anche prima del tragico epilogo… Che poi, dai! Che paroloni melodrammatici! Bisogna essere alla page come propinano svariati you tuber e imbonitori di tutte le risme e in tutte le salse! Il mondo corre vertiginosamente e nessuno sano di mente avrebbe il coraggio di spendersi dietro sensazioni obsolete che un qualche osceno o tarato megalomane spaccia ancora come il centro di qualsiasi esistenza.

Spendersi e spandersi ma non per i sentimenti e l’amore, dunque! Appassionarsi al sesso facile, alle droghe di vario tipo e alle passioni smodate che vengono definite amori senza una reale cognizione di causa per sentirsi, tuttavia, sinistramente e ancora vegeti. Il terrore di sentirsi come degli iceberg e di non possedere rivoli infiniti di saggezza che ci aiutino a far luce sui nostri perché infiniti che ci illudiamo di sbrogliare ma senza grande costrutto. La rigidità di passioni consumate che ci si ostina a definire amori folgoranti e quasi patinati, come quelli che ci capita di leggere nei romanzetti rosa o sulle pagine di rotocalchi, fatti appositamente per anestetizzare le coscienze e regalare frammenti infinitesimali di oblii a buon mercato. Frughiamo spasmodicamente nel ghiaccio dei ricordi e, benché ci sforziamo di organizzare un nostro personalissimo album mentale dove l’entusiasmo e il desiderio di donarci integralmente a qualcun altro la faccia perentoriamente da padrone, incontriamo facili pomeriggi di torbide estati dove abbiamo scattato fotografie, ormai sbiadite, di tiepidi tramonti all’orizzonte e di comitive chiassose di giovani che ingannavano il tempo giocando a pallavolo o a tamburella, sotto lo sguardo magari inorridito di bagnanti somiglianti a vecchi mausolei da spolverare e tenere in mostra per qualsiasi esposizione o al miglior offerente in caso di una qualsiasi asta. Perché poi, può far sorridere il paragone di persone rigide che si vendono a un’asta pubblica ma non è da prendere alla lettera: nel fondo di una qualunque transazione commerciale esiste sempre un rapporto di fiducia fra venditore ed acquirente e, chiunque espleti una qualsivoglia professione relazionata con i commerci, si rende conto che alla base di tutto sussiste un rapporto di fiducia e che il venditore o il piazzista deve rassicurare il compratore per farlo poi tramutare nella vittima sacrificale.

Scrivo mentre passeri e piccioni mi contornano in un’eterna lotta per sbocconcellare briciole di cibo. Molti penserebbero subito al concetto di libertà perché qualsiasi volatile evoca questa parola, ma in realtà non so… La battaglia per la vita riguarda tutti gli esseri viventi e nessuno si svincola mai del tutto da determinati meccanismi che attanagliano determinate facoltà fisiche o mentali… Il terrore di non farcela…di sentirsi inadeguati… Continuo a triturare infinite briciole di pane e a gettarle, quasi con nonchalance, per godermi lo spettacolo degli uccelletti che arrivano rapidi come un lampo ma perennemente con un occhio vigile per controllare che non giunga qualche predatore più forte di loro… I piccioni stanno spadroneggiando ma ecco che, all’improvviso, sbattono selvaggiamente le ali e volano via più veloci della luce… Due gabbiani, quasi sicuramente maschi alfa, sono comparsi minacciosi con quel loro volteggiare maestoso…

Di colpo mi sento stanco, stufo… Eppure non ne avrei motivo… In fondo, cosa mi manca? Un buon lavoro e nessuna malattia letale che minacci di stroncare la mia esistenza in un battibaleno… Di colpo rammento una mia collega… Una delle pochissime il cui ricordo rimarrà per sempre caro… consumata in quattro e quattr’otto da un cancro nel giro di pochi mesi. Meno male che i due ragazzi erano già grandi… Il dolore rimane ma, perlomeno, non esisteva l’assillo di bambini piccoli ancora da accudire e di soldi inesistenti che andavano a creare comprensibili ondate di panico…

Che bella coppia lei e il marito! Sempre felici, uniti e sorridenti! Finché morte non vi separi! Una frase che il prete pronuncia ma che in molte coppie permane a uno stato eternamente embrionale. La mia compagna mi ha scritto una mail dove, in poche laconiche righe, mi annuncia che non mi ama più, che sente l’esigenza di dare una svolta professionale e non alla sua vita, che la sua azienda, una multinazionale che si occupa di apparecchi elettronici, ha selezionato lei e altre due colleghe per uno stage di due mesi a Toronto e che poi non sa…Potrebbero esserci serie prospettive di carriera anche là! Poche frasi tronche, quasi sputate come un boccone mal digerito!

D’altronde cosa potevo aspettarmi da una che si è laureata alla Bocconi a pieni voti e che trasuda denaro e amicizie altolocate da qualsiasi angolazione si vada ad analizzare la sua altisonante famiglia? Nel profondo l’ho sempre saputo! Una volta incrociammo il padre per strada e mi squadrò dall’alto in basso come si fa con un brutto incidente di percorso… quasi un raffreddore molesto, di quelli che si beccano durante la stagione estiva per incuria. Lui, dirigente di un’azienda molto quotata nel settore farmaceutico, come poteva abbassarsi allo squallido livello di un meccanico, certamente bravo nel suo mestiere, ma pur sempre con le mani callose e senza una cultura mediatica che giustificasse il poterlo presentare negli ambienti che realmente contavano?

Si sta facendo notte e desidero rientrare presto perché detesto il buio e non solo nei parchi pubblici. Poco tempo fa discussi violentemente con la mia accompagnatrice… Non la definirei più compagna anche se questo termine potrebbe dare adito a numerosi equivoci. Nel fondo sono il povero e, secondo il metro comune, chi non conosce bene la dinamica della nostra storia, potrebbe credere che io sia uno squallido cacciatore di dote… ma non me ne importa più! Spero di anestetizzare presto la mia anima, ancora troppo ferita, e di riprendere un ritmo di vita consono che mi permetta di gioire ed amare nel vero senso della parola.

La mia rabbia deve trasformarsi in qualcosa di genuino e di leggiadro che mi permetta di guardare avanti ancora intriso di fiducia e d’ottimismo. Il mio idolo di cartapesta, come ormai la definisco, mi ha usato considerandomi il classico animale da riproduzione e per darsi delle arie con le conoscenti del suo artificioso mondo dorato, mi ha esibito come un trofeo in qualche serata da poco dove ricche e superficiali persone annoiate fingono di divertirsi e recitano l’eterna commedia del sentirsi vive, anche solo per procura e per qualche ora. Mai con la sua famiglia, però! Non ne ero degno e avrei contaminato il perfetto quadretto borghese della famigliola patinata e tutta d’un pezzo circondata, magari, da un paesaggio alpino estivo tutto in fiore e con l’esibizione sfrenate di violette e campanule dai più svariati colori.

Ho cenato e la sonnolenza mi invade ma, prima di scivolare nell’universo misterioso di Morfeo, un ultimo pensiero, oscuro e petulante come un folletto dispettoso che scombini i sentieri ordinati del globo, fa capolino negli angolini più remoti della mia psiche, pizzicandoli come un’ape rabbiosa e poco soddisfatta della sua produzione di miele: mi ha amato oppure no? Direi che non esiste una risposta esaustiva ma solamente una semplice constatazione. L’amore si è trasformato in un qualcosa da consumare come calorie da bruciare attraverso un allenamento esagitato in palestra.

Per molti, in quest’epoca moderna, il concetto è solo quello! Bruciare, bruciare, bruciare e consumare, senza riflettere molto. Il paradosso è che credono di amare ma, in realtà, sono anime morte anche se non hanno mai letto una riga di Gogol. Resta dentro di me la spina di un’amarezza lancinante che rassomiglia al blocco ghiacciato di un ricordo che nessun punteruolo appuntito ha la facoltà di scalfire per la forza roboante e parossistica di ondate allucinanti che conducono a un universo psichico dove il nulla è attore unico e indiscusso della scena.

Mi domando se ho sofferto per un nulla ma non riesco a trovare una risposta che soddisfi il mio ego e dia requie alla mia anima tormentata e vilipesa. Ce la Farò? Non ce la farò? Spero di sì! Nel frattempo spengo la lampada e provo ad astrarmi. Nonostante tutto, domani è un altro giorno.