Racconto di Liliana Vastano
(17 settembre 2020)
Napoli,31 ottobre 1945
Cara Hanna,
sono a casa da qualche settimana. Ho aspettato un po’ prima di scriverti perché ero troppo confuso, frastornato ed emozionato. Ho ritrovato la mia famiglia sana e salva, anche la casa è stata risparmiata dai bombardamenti. Le mie sorelle a stento le ho riconosciute, sono diventate due signorine. Gli americani sono qui da circa due anni, la guerra nel Sud dell’Italia è finita prima e si vede. Molte macerie sono state già rimosse è ricominciata anche un po’ di vita sociale. Ti ho nascosto volutamente il giorno della mia partenza, temevo che non avrei avuto il coraggio di lasciarti, tanto è l’amore che provo per te. In compenso, per tutto il viaggio mi hanno fatto compagnia i tuoi occhi, il tuo sorriso, le tue labbra dal sapore di libertà. I camion sono arrivati di mattina presto per portarci alla stazione di Braunshweig. A salutarci sono arrivate tante persone conosciute durante la lunga estate del ’45, l’estate della libertà ritrovata. Quando i camion si sono avviati, io e i miei compagni di prigionia ci siamo accorti di avere gli occhi lucidi e ci è scappata anche qualche lacrima. Non avrei mai pensato che ci saremmo commossi tanto nel lasciare una terra che ci aveva dato tante sofferenze. Mentre ci allontanavamo, il pensiero di noi tutti è andato ai compagni che non ce l’avevano fatta, morti di stenti e di freddo, le cui spoglie sarebbero rimaste per sempre in quella terra matrigna. Il viaggio è stato lunghissimo perché il treno fermava in tutte le stazioni. Qui c’era sempre tanta gente ad accoglierci che ci offriva cibo e ci mostrava foto dei loro congiunti dispersi nella speranza che qualcuno di noi li avesse conosciuti. Quando siamo arrivati al Brennero, c’erano tante bandiere tricolori ad accoglierci. Come ti ho già detto, ho ritrovato tutti i miei cari ma ancora non riesco ad entrare in sintonia con loro. Io ho ancora negli occhi le baracche, il filo spinato, le macerie nelle quali scavavo per recuperare i morti, i miei compagni che mi chiedevano aiuto perché conoscevo il tedesco, quelli morti per troppo freddo e il cibo scarso. Ma loro non vogliono ascoltarmi, non vogliono più sentir parlare di sofferenze, vogliono guardare avanti, alla vita che verrà. Io sono chiuso in me stesso, con i miei fantasmi, trovo conforto solo nel tuo ricordo perché anche tu fai parte di quel mondo, la parte migliore di esso. Ricordo esattamente le cose che ci siamo dette, i progetti di un futuro insieme, io in Germania con te, tu in Italia con me. Tutte cose che ci hanno aiutato ad uscire da quell’inferno. Ora sono confuso, il prigioniero e il reduce convivono dentro di me. Ho bisogno di tempo per ritrovare me stesso e per decidere cosa fare della mia vita. Ti, prego, in nome del nostro amore, dammi tempo. Ti amo.
Alessandro
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