Racconto di Lori Marchesin

Racconti a tema – RaccontiConInput

 

 

Stringi con forza la mano sul bicchiere ancora pieno di coca-cola e ghiaccio, lo appoggi sulle guance, sulla fronte per fermare le gocce di sudore miste a lacrime. Sei caduta, precipitata, dopo anni di equilibrio acquisito senza guardare sotto o intorno. Ti chiedi come possa essere accaduto. Certo ci sono state due o tre occasioni dove hai perso l’equilibrio rovinando al suolo, ma ti sei rialzata con slancio risalendo più sicura.

Tu, a sei anni, una corsa in bicicletta senza permesso, sbandi contro un albero, ti guardi la gamba che sanguina e la ruota contorta e pensi solo a cosa dirà tuo padre, come ti punirà.
Mamma e papà ti aspettano sulla soglia; hai gli occhi fissi in quelli di tuo padre, sono scuri, impenetrabili e le labbra si serrano e incurvano in giù prima che cominci a parlare.
“Elisabetta, credo che questa sia una lezione da imparare. Non sapevamo dov’eri o con chi e correre nel crepuscolo è pericoloso. Non è da te, Elisabetta, mi hai deluso.”
Lo guardi, aspetti il castigo, pronta a pagare per il tuo comportamento ribelle. Tua madre osserva il marito, attende il giudizio dell’uomo-dio di cui lei è un’appendice sbiadita, inconsistente.
Non ci sono punizioni; lui ti compra una bicicletta nuova e tu la usi solo dopo richiesta e consenso.

Hai imparato presto ciò che è giusto o sbagliato; ti bastava guardare tuo padre, leggergli gli occhi e osservare la piega di quella bocca che s’incurvava all’ingiù quando commettevi qualche errore.
Così è cominciata la tua camminata sulla fune, un equilibrio instabile dapprima, un’altra caduta da diciottenne curiosa, una perdita di equilibrio inquietante solo sei mesi prima quando volevi partire per l’America, prenderti una pausa. Il rifiuto perentorio di tuo padre ti ha fatto piangere, di nascosto, per settimane.

Adesso ti guardi intorno, vedi coppie che passeggiano abbracciate, bambini che corrono chiamati dalle madri con promesse di dolci o giocattoli, persone che si salutano con strette di mano e grandi sorrisi. Nell’aria c’è l’intenso profumo dei glicini trasportato da una brezza che non ti dà sollievo perché il sudore continua a scorrerti lungo il collo, tra i seni. Ti chiedi come sia possibile cadere quando la meta è così vicina. Ventitré anni, dissertazione finale quasi pronta, l’ultimo esame per la laurea in Ingegneria Elettronica, proprio come tuo padre, così orgoglioso che tu abbia scelto la stessa strada, pronto a inserirti nella multinazionale dove lui è un manager. Ti chiedi ora se sia stata veramente una tua scelta, considerato che il tuo sogno era architettura.

Ora l’angoscia per non aver superato l’esame, la paura di dover affrontare quegli occhi che trapanano i tuoi e ti penetrano nel cervello, quel ripetere Elisabetta sbattendo con forza la lingua contro i denti dando alle T la sonorità di uno schiaffo, tutto si sta tramutando in rabbia. Sei, sei stata una marionetta che lui, con fili invisibili e maestria, ha manovrato secondo i suoi desideri scegliendo la strada per te, non una strada qualunque, una fune sospesa tra la gretta realtà degli altri e l’empireo per pochi, quelli come lui.
Le lacrime ora hanno un sapore amaro, rivedi in vivide sequenze lo scivolone che ti aveva offerto la possibilità di rimanere a terra, nel mondo reale, caotico ma vario, intenso di emozioni, di paura e coraggio…di essere te stessa.

Hai diciotto anni, diploma con il massimo dei voti; la tua classe organizza la cena per festeggiare, vuoi andarci e con il battito accelerato nascosto da un sorriso, ne parli a tuo padre.

“Ci tieni proprio ad andare Elisabetta?”
Tu annuisci, temi che la voce tradisca la tua ansia.
“Trovo questi incontri goliardici di pessimo gusto ma mi fido del tuo buon senso. Se proprio vuoi andarci, comportati da ragazza speciale quale sei, Elisabetta.”
Mormori un grazie frenando la voglia di metterti a saltare dalla gioia: libera.
Ricordi con chiarezza la cena; c’è un po’ d’imbarazzo all’inizio. Frequentavi solo alcune delle ragazze presenti, ma i ragazzi li avevi evitati con cura (come suggerito da papà).
Hai bevuto qualche bicchiere e l’atmosfera si è fatta più vivace, riesci a ridere alle battute, anche spinte, dei maschi, ti senti finalmente parte del gruppo.
Decidete di recarvi in spiaggia, correre a piedi nudi sulla sabbia e nell’acqua. Quando Piero ti passa uno spinello, aspiri il fumo e cominci a tossire e ridere, non riesci a smettere.
Piero ti abbraccia, ti adagia sulla sabbia; ti bacia, è il tuo primo bacio ed è bello, anche se il sapore è un misto di alcool e fumo. Ti senti diversa, viva con fremiti che nonhai mai provato prima, come stringere un lembo di mondo tra le dita.
Tutto finisce quando il telefono vibra e vedi il messaggio di tuo padre – Siamo preoccupati. Fatti sentire –
Sono le tre del mattino, mai rientrata così tardi. Non t’importa. Arrivi a casa e lui è sulla porta. “Eravamo in pensiero, Elisabetta”
Tu balbetti, non riesci a formulare le parole.
“Sento puzza di alcool. Non bevi mai. Che succede? Hai intenzione di buttare via la tua vita?”
E se neva con uno sguardo di disprezzo che ti fa sentire sporca e colpevole.
Non ne avete più parlato. Tu hai iniziato i corsi universitari, esame dopo esame con punteggio massimo per vederlo sorridere orgoglioso di te quando parlava con gli amici e colleghi e programmava il tuo futuro con lui, per lui.

Eri preparata per l’esame, sapevi le risposte a tutte le domande ma non hai aperto bocca. Alzi la testa e guardi il cielo di un azzurro che sa di pulito, senti il desiderio di avvolgerti in quel blu e volare lontano.
Il suono di un sassofono ti fa volgere la testa. Un ragazzo sta suonando a pochi passi da te. Ti lasci cullare dalla dolcezza delle note, quel timbro vellutato che accarezza il cuore. Il suonatore è giovane, forse ha tua età. Ti alzi e avvicini, ascolti e ti senti liberacome se una mano invisibile avesse tagliato tutti i nodi che ti imprigionavano nel dove e come. Hai i piedi saldi a terra, nessun pericolo di cadere.

Torni a casa e comunichi a tuo padre che hai fallito l’esame, ma non è importante. Hai intenzione di prenderti una pausa, partirai per gli Stati Uniti, perfezionerai il tuo inglese e al ritorno completerai gli studi. Tuo padre ti trafigge con quegli occhi cupi e dilatati e tu reagisci con un sorriso di sfida.
Lui se ne va sbattendo la porta. Tua madre è in cucina, sta piangendo, ti abbraccia e mormora –Brava Lisabella! – il vezzeggiativo che usava quando eri piccola, finché tuo padre glielo proibì.

-°-

http://www.paola45.it