Racconto di Annarita Campagnolo

(quarta pubblicazione – 31 marzo 2020)

 

Ti prende alla bocca dello stomaco, senti la gola che si stringe, hai difficoltà a deglutire. Poi sudi ed il respiro si fa affannoso, la testa ti gira. Cominci ad avere paura e non capisci cosa stia succedendo, un attimo prima tutto era normale…

Chiami il dottore che ti dice: stai calma, è solo una crisi di panico.

Secondo lui sono vittima di stati d’ansia dovuti allo stress mentale e fisico, mi ha consigliato riposo assoluto, possibilmente lontano da tutto. Dice che devo staccare la spina per un po’. Ho sorriso per la banale ed abusata frase. Come metafora è davvero stupida. Immagino me stessa con una sorta di appendice prensile attaccata ad una prolunga collegata alla presa della corrente, che mi da energia per muovermi come un automa. “Quindi devo staccare per ritornare ad essere umana?” Già, proprio così! -ha risposto il medico.

Ho male dappertutto. Mi sento come un asciugamano dopo la centrifuga a mille giri. Come un tappeto battuto dalla “Trolletto”. Come l’impasto per il polpettone lavorato dal “Bimbi”.

Accidenti, ne ho di fantasia! In realtà, gli elettrodomestici su elencati non posso permettermeli ma immagino gli effetti prodotti dalle loro spire…

E già! Io sono una delle tante donne che deve fare a meno, perché non può permettersela, della tecnologia avanzata, che promette aiuti insperati, quando le incombenze si trasformano in un mostro dai mille tentacoli che cerca di avvilupparti. E tu, seduta sul gabinetto, immagini il tuo golem che attende istruzioni. Allora cerchi di stilare su un pezzo di carta igienica, con una matita per le labbra, scaduta, un elenco di priorità da infilargli in bocca.
In effetti, mi piacerebbe. Soprattutto la sera, quando arrivi sfatta, e con le ultime energie ti prepari una specie di panino, con ciò che di apparentemente commestibile è rimasto in frigo. Non hai avuto tempo per fare la spesa e le intenzioni di vita salutista di inizio settimana sono miseramente fallite il giovedì sera. Allora raccatti gli avanzi congelati per consumarli nelle sere come queste.

Poi ti accasci sul divano e ti addormenti, con una gamba penzoloni e un braccio dietro la schiena. Nella mano il telecomando puntato su un canale di televendite.
Ti svegli nel cuore della notte perché hai bisogno del bagno, ma capisci che lo stimolo è dovuto alla tazza di cioccolata calda, rimasta incastrata tra il tuo pube e un libro lasciato incautamente sotto il cuscino. Fai per alzarti ma schiacci la coda al gatto, che istintivamente ti graffia la caviglia, ma poi viene a leccarla.

Un po’ lo invidio il mio gatto: lui non soffre di stati d’ansia, o forse sì, ma non lo dimostra. In fin dei conti conduce una vita tranquilla: cibo, acqua, gioco, riposo e lettiera. Tutto gratis, compreso l’umano. Gatto ingrato. E pensare che l’ho raccolto dalla strada.

Intanto sento martellarmi il cervello. Mi è tornato il mal di testa. Devo condurre una vita più regolare. Quando torno a casa, dopo dodici ore di lavoro passate a pulire cessi, rifare letti e disinfettare stanze dello stesso colore e odore, devo andare direttamente a dormire. Il ritmo sonno veglia è importante.

Ma da domani le cose cambieranno, oh se cambieranno!

Circolano voci strane a lavoro. Pare ci sia in giro un virus, importato dalla Cina, che sta cominciando a mietere vittime. Mi hanno dato una mascherina da indossare. È difficile lavorare con questa maschera, mi si appannano gli occhiali, mi toglie il respiro, ma pare sia necessaria per evitare il contagio.

Ho sentito brutte cose sui cinesi, ma a me sono simpatici. Sono una cliente affezionata del negozio sotto casa mia. Ci trovo di tutto e a poco prezzo. Con lo stipendio che prendo riesco a malapena a pagare l’affitto e le bollette, figuriamoci se posso permettermi di spendere in un negozio italiano dove, giustamente, i prezzi sono più alti a causa delle tasse che lo stato impone, specie ai piccoli commercianti.

Si sa che la manodopera, qui da noi, comporta spese maggiori, perché si lavora seriamente, tutti contratti in regola. I dipendenti sono tutelati dai sindacati. Guai a trasgredire!

Qualcuno dice che il virus ai cinesi lo ha trasmesso un pipistrello, perché loro sono strani, hanno contatti con tante specie animali, mangiano addirittura i cani. Noi invece proteggiamo gli animali, li adottiamo e li teniamo con noi come fossero parte della famiglia. Eppure in questo periodo se ne trovano abbandonati, perché è stata sparsa la voce che potrebbero essere veicolo di contagio.

Non ci capisco più niente!

Proprio a noi, che rappresentiamo l’occidente, opulento e civilizzato. Che mangiamo sano, grazie agli allevamenti intensivi di animali da macello, che riescono a sfamare tutti senza problemi, proprio a noi sta capitando questo?

Lì, in Cina, sono intossicati dallo smog, qui, invece, la cosa è circoscritta a pochi centri, tipo le grandi città, o i paesi dove sorgono fabbriche siderurgiche che forniscono d’acciaio tutto il mondo. Certo, c’è un prezzo da pagare. Chiamiamolo un tributo all’economia del paese. Un tributo di morti per cancro. Ma, comunque, tutto rimane contenuto. E poi il cancro non è contagioso.

Io non sono una scienziata, ho poca istruzione, ma penso!
Oggi al lavoro mi hanno detto che non possono darmi altre mascherine, né posso pretendere che debbano provvedere loro ai presidi sanitari per me, che sono solo un’ausiliaria. Non c’è abbastanza materiale e quello che c’è serve ai medici e agli infermieri che lavorano in prima linea. Lo so, ho detto – onore e rispetto a loro. Li vedo come si stanno sbattendo da una parte all’altra. Li vedo stanchi e impauriti. Darei chissà cosa per alleviare la loro fatica, ma a volte sono anche d’impiccio e allora me ne sto in disparte, mi limito a svolgere il mio lavoro e respirare il meno possibile, con la mia mascherina fatta in casa, rafforzata da uno strato di carta forno.

E così, volevo cambiare le cose? Volevo che la mia vita prendesse una strada diversa?
Il riscatto – chiedevo, per non dover sentire il fiato corto e il cuore a mille. Per non dover assumere calmanti per l’ansia?

Ecco, le cose sono cambiate. Tutto, intorno a me, è cambiato.

Allora la sera riattacco la mia appendice prensile alla presa. Mi ricarico per l’indomani.

È presto, è troppo presto per staccare la spina, checché ne dica il medico.