Racconto di Elisabetta Molinari

(prima pubblicazione – 13 maggio 2020)

 

Il profumo fresco delle lenzuola nei vasconi, la lavanda, l’odore del sapone di Marsiglia, le grida festose di noi bambini che giochiamo nei prati, la preoccupazione autorevole delle nonne che ci scrutano sospettose mentre ammassano i cuscini con la lana delle pecore appena tosate.

Le merende sane, gustose che le mamme ci preparano. I nostri nasi che si arricciano. D’altronde chi mangia ancora il pane con ricotta e zucchero?

Le corse dietro ai grilli, riempirsi i polmoni d’aria per far volare i soffioni, morbidi e bianchi, immaginando che possano portare i nostri desideri in alto, fino ad esaudirsi.

La pelle che prude grazie all’ortica, aspettare l’imbrunire per vedere le lucciole fra le rocce e scorticarsi le ginocchia tirando via il pallone da sotto le macchine parcheggiate.

Osservare incuriositi le file delle processionarie, raccogliere i pinoli e cercare sassi abbastanza grandi per schiacciarli. Riunirsi nelle case delle nonne per preparare il croccante.

Le conte, m’ama non m’ama con le margherite, le corse per “tana libera tutti”, lo stridio del gesso per tracciare cerchi e giocare a “mondo”.

E poi i capitomboli sui sampietrini sporgenti e i fazzoletti delle mamme sotto le magliette per frenare il sudore.

Ecco, voi non sapete che darei per rivivere tutto questo solo per un momento. Per sentirmi così serena e felice, per ritrovare la bellezza che ci circonda nelle cose semplici, per frenare il tempo e riscoprire la calma!

Questo era il mio mondo delle domeniche spensierate in un fantastico posto che si chiama “Villa Pace”. Dove viveva mia nonna e tutte le sue amiche. Dove c’erano i miei amici d’infanzia. Dove l’unica ambizione era arrivare primi alle corse intorno al palazzo. Dove ogni singolo muretto o vicoletto ci sembrava nascondesse chissà quale tesoro. E dove ogni tanto era pure figo scoppiare le “miccette” nel chiostro.

Ma soprattutto dove si scorgeva dall’alto il nostro lago. Severo e impetuoso, limpido e misterioso, e che ci regalava nelle giornate uggiose arcobaleni di speranza ed emozioni.

Sono pensieri che si affacciano così, improvvisamente, in queste domeniche di pioggia, in queste domeniche inutili, in queste domeniche che, se fino al venerdì prima non vedevo l’ora che arrivassero, improvvisamente mi mettono con le spalle al muro e mi costringono a pensare.

Eh si, Perché questa quarantena sembra fatta a posta per questo.

Ti mette con le spalle al muro e ti costringe a pensare. La quarantena detta il riposo, il pensiero, ci impone noi stessi, la vita che nel bene o nel male ci siamo scelti. Più di ogni altro ci dice chi siamo: felici se non abbiamo paura di stare fermi a contare le cose da non fare. Infelici quando invece corriamo dovunque pur di non dover guardare quello che abbiamo, se non è quello che vogliamo.

Perché la vita ci può andare bene quando è tutta masticata dagli impegni, le persone da incontrare, la macchina da riparare, la cena alle 20.00, il treno domattina. La quarantena toglie ogni distrazione e ci consegna il mal di stomaco. Quello di quando senti che laggiù qualcosa non va. E non ci andiamo bene noi il più delle volte e abbiamo smesso di amare chi ci vive accanto e finiamo ad urlare di politica, mentre la D’Urso emana luci dalla TV. La quarantena non fornisce scuse, adora i superlativi: se stiamo bene staremo benissimo. Se stiamo male staremo malissimo.

E allora se scegli una tuta e un paio di scarpe da ginnastica, un I-pod, un libro, a quelle domande devi rispondere. E una domanda che torna impetuosa, crudele ed agghiacciante è sempre la stessa. Cosa manca? Perché mancare, forse, non ti manca nulla. I tuoi figli sono sani belli, una casa che ti aspetta al rientro. Un cane pronto a farti le feste ed una decina di donne che non sono amiche ma sorelle mancate.

E allora cosa manca? Niente e tutto. Perché pure quando non manca niente e ti sembra che manchi tutto ti senti triste e pure un po’ stupida. E siccome te lo ripeti che ti sembri stupida ti senti anche ancor più triste. E poi ancora più stupida, perché in fondo il riposo forzato era quello che cercavi da tempo.

La verità è che a volte l’amarezza sale anche quando non dovrebbe e di fronte a cose ben peggiori ti dici che non dovresti permetterlo, ma accade.

Si può essere ipocriti e andare a sballarsi, ma è solo un rimandare al giorno successivo.