“Racconticompleanno” a cura di “TOTO”

ANGELA CARTER

7 MAGGIO 1940 – 16 FEBBRAIO 1992

(7 maggio 2021)

 

Sboccata, controcorrente, ma con un’immaginazione così focosa da renderla unica nel panorama letterario inglese di quegli anni, la Carter è soprattutto una donna che si è sempre buttata nella mischia senza paura di soccombere e ha creduto nei valori del femminismo.

Dedicò i suoi ultimi anni a un’antologia di fiabe popolari al femminile: fiabe incentrate su una protagonista femminile: che sia bambina o vecchia, intraprendente o sciocca, crudele o sventurata, «ogni donna è sempre al centro della scena, a grandezza naturale». Poche fate con le ali, in questa raccolta, ma tante donne che, per salvarsi, per puro divertimento o per voglia di rivalsa, si fanno largo in un regno fatato, popolato di spiriti e trucchi, indovinelli e incantesimi, oggetti magici e animali parlanti.

 

 

Da LA COMPAGNIA DEI LUPI

 

C’è un solo animale, uno solo, che urla nei boschi la notte.

Il lupo, incarnazione di ogni carnivoro, è astuto quanto feroce; ma se assaggerà la carne dell’uomo, allora non vorrà più toccare altro cibo. […]

È il solstizio d’inverno e il pettirosso, amico dell’uomo, si posa a cantare sul manico di una vanga da giardino. Non c’è momento peggiore dell’anno per i lupi, ma questa bambina testarda insiste a voler passare dal bosco. È certa che le bestie feroci non le faranno alcun male, anche se non è mancato chi la mettesse in guardia, convincendola a sistemare un coltellaccio nel cestino che la madre ha riempito di formaggi. C’è anche una bottiglia di liquore fatto in casa distillando bacche di pruno; qualche focaccia d’avena cotta sul fuoco del camino, e un paio di barattoli di confettura. La bambina vuole portare queste leccornie alla nonna costretta a letto e ormai tanto vecchia che il peso degli anni le soffoca la vita. La nonna abita a due ore di cammino nel bosco innevato; la bambina si avvolge in uno scialle pesante e se lo tira sul capo. Si infila gli zoccoli ed è pronta a partire: è la vigilia di Natale. La porta maligna del solstizio oscilla ancora sui cardini dell’anno ma la piccola è stata troppo amata per poter conoscere la paura.

I bambini non restano a lungo bambini in questo paese selvaggio. Non hanno giochi per giocare e lavorano presto e tanto, e si fanno giudiziosi, ma questa piccola, così bella, ultimogenita, frutto fuori stagione, non ha avuto che vizi dalla madre e dalla nonna. È stata proprio la nonna a farle a maglia lo scialle rosso che oggi spicca sul bianco della neve come un sinistro presagio di sangue. I suoi seni hanno appena incominciato a farsi turgidi; ha i capelli color del lino, tanto biondi da farle solo ombra sulla fronte chiara; le guance sono di un eloquente rosso scarlatto sul bianco della pelle, e da poco sono iniziate le sue perdite di sangue, quell’orologio femminile del corpo che, d’ora in poi, segnerà il tempo allo scadere di ogni mese.

La bambina vive e si muove sul pentagramma invisibile della sua verginità. È come un uovo intatto; come un vaso sigillato; ha dentro un luogo magico il cui accesso è vietato dalla presenza di una semplice membrana: è un sistema chiuso; non conosce ancora la paura. Ha il suo coltello e non teme nulla. […]

Fragile e vecchia com’è, la nonna si è per lo più rassegnata alla fine ripetutamente annunciata dai dolori che le attraversano le ossa ed è quasi pronta a una resa totale.    |…|

Lui raspò contro la porta con le nocche pelose.

Sono la tua nipotina, dice imitando la voce da soprano.

Solleva il chiavistello e vieni dentro, tesoro. […]

L’ultima cosa che la vecchia vide in questo mondo fu un giovane nudo, dagli occhi di brace, avvicinarsi al suo letto. Il lupo, l’incarnazione di ogni carnivoro. […]

La legna crepitava nel focolare, l’orologio ticchettava e il giovane sedette paziente accanto al letto, travestito con la cuffia da notte della nonnina.

Toc-toc.

Chi è? fa lui con quella querula voce in falsetto.

Sono la tua nipotina.

E così la bambina entrò portando in casa un turbinio di neve che si trasformò in lacrime sulle piastrelle, forse era un po’ dispiaciuta di vedere solo la vecchia nonna seduta vicino al fuoco. Poi lui però si liberò della coperta e volò alla porta, premendoci contro la schiena per impedirle di uscire. […]

Che occhi grandi hai.

Per vederti meglio.

Della nonna, nessuna traccia se si esclude una ciocca di capelli bianchi rimasta impigliata nella corteccia di un ciocco spento. Quando la vide, la piccola seppe di essere in pericolo di morte.

Dov’è la mia nonna?

Non c’è nessun altro qua dentro, mia cara, solo io e te. […]

Che vuoi che faccia dello scialle?

Gettalo nel fuoco, cara. Non ne avrai più bisogno.

Ne fece un fagottino e lo lanciò tra le fiamme, che subito lo incenerirono. Poi si sfilò la camicia dalla testa; i piccoli seni rilucevano come se la neve avesse invaso la stanza.

Che devo fare della camicetta?

Getta nel fuoco anche quella, cucciolo mio.

La mussola sottile avvampò nel camino come un uccello incantato e poi fu il turno della sottana e delle calze di lana, delle scarpe; finì nel fuoco ogni cosa, una volta per tutte. Il bagliore della fiamma scintillava intorno alla pelle della bambina, il solo indumento intatto a rivestirle le carni. Così piena di luce, nuda, si ravviò i capelli con le dita: parevano bianchi come la neve. Infine si diresse verso l’uomo dagli occhi rossi nella cui chioma incolta si agitavano le pulci; si tirò su in punta di piedi e gli sbottonò la camicia.

Che braccia grandi hai.

Per abbracciarti meglio.

Ogni lupo sulla terra ora intonava il canto di nozze fuori della finestra, mentre lei disinvolta gli diede il bacio che gli doveva.

Che denti grandi hai.

Gli vide le fauci riempirsi di bava e udì il Liebestod della foresta invadere la stanza, ma la bambina saggia non batté ciglio, neanche quando il lupo le rispose: Per mangiarti meglio.

La bambina scoppiò a ridere; sapeva di non essere il bocconcino di nessuno. Gli rise in faccia, gli sfilò la camicia e la gettò nel fuoco, tra le ceneri dei suoi stessi vestiti. Le fiamme danzavano come anime morte nella notte di Santa Valpurga e le vecchie ossa sotto il letto presero ad agitarsi e a fare rumore, ma la bambina non ci badò.

Incarnazione del carnivoro, il lupo si sazia solo di carne innocente.

Lei gli permetterà di appoggiare l’orrido capo sul suo grembo e gli pulirà il pelo dalle pulci ubbidendo al comando, come in un rito di nozze tra selvaggi. […]

È mezzanotte; l’orologio batte le ore. È Natale, il giorno dei lupi mannari; la porta del solstizio è spalancata; che ci sprofondino pure tutti quanti dentro.

Guardate, come dorme tranquilla nel letto della nonna, tra le zampe amorevoli del suo lupo.