Racconto di Donatella Pisano

(Pubblicazione 21 ottobre 2019)

 

 

Sì, potrei gridarti quello che mi gonfia il cuore, che vorrebbe esplodermi dal petto, che mi sale alla testa come uno sfogo che incontri un tappo, che m’intossica l’anima felice ormai anche di soli brevissimi istanti di colore, che impegna le sinapsi delle mie materie anche quando non sono vigile e le obbliga al medesimo infinitamente ripetuto itinerario; quello che non reputo aver meritato per pensieri, parole, opere e omissioni, appunti sul nostro passato opaco, il presente inafferrabile e il futuro che non ho elementi per ipotizzare.

Sì, potrei significarti di quale massa solida pesano i tuoi silenzi al pari dei tuoi più onerosi insulti e darti prove di mancare di uno spirito altrettanto possente del mio, dal quale traggo forza se non per rialzarmi almeno per non soccombere, immobile, carponi, lo sguardo ostinato perché aver scelto male è già abbastanza.

Sì, potrei liquefare il tuo magma consolidato e incandescente con una nuvola del mio vapore di purezza acquea e lasciarti lì, braccia e spalle ciondolanti, lo sguardo incredulo, Golia senza nerbo, “prova a parlare ancora adesso, riflesso solitario su un cristallo qualsiasi…”.

Sì, potrei ridurti alla stessa ragione di sempre, troppo invocata, provata, elusa per avere ancora un senso e un’utilità, materia plasmata da entrambi per il reciproco miserabile vantaggio, regola di un gioco sleale cui ho dovuto prestarmi per riuscire a ricondurti ogni volta a un più equo metro di giudizio.

Sì, potrei alzare al massimo il volume delle parole delle pagine alle quali mi hai negato da troppo tempo e stordirti di emozioni, immagini, sensi e significanti senza degnarti di un commento, lasciato a terra lì, ubriaco di un alcolico che non apprezzi.

Sì, potrei… indurre il tuo ego a morte certa mostrandoti che amo anche senza di te, che mi sono riamata nonostante te; potrei rammentarti con un sorriso di scherno il tuo esiguo valore nominale o farti credere ancora un dio, “per me farebbe lo stesso…”.

Invece si voltò dall’altra parte, rimboccò per bene le coperte sulle spalle e attese che il sonno, ancora una volta, come ormai da troppe sere, finalmente si prendesse cura di lei.