Fiaba di Adele Múrino

Illustrazioni di BDB

 

Era il tempo spensierato in cui Rosatella viveva felice al castello, circondata dall’amore dei suoi genitori. Era figlia unica, nata dall’unione di un discendente di Ibleto De Gignio e di una certa Isabella Archiery e per questo motivo era tenuta in gran riguardo. Il padre, Guglielmo De Gignio, governava con saggezza il piccolo abitato di Gignod e sua moglie Ermelinda Dochan era apprezzata da tutti per la sua grande generosità. Rosatella trascorreva le sue giornate al castello e ogni tanto faceva delle passeggiate nei dintorni, fino alla Torre che si ergeva massiccia e solitaria poco distante da lì. Rosatella sapeva che non doveva avvicinarsi troppo alla Torre perché suo padre le aveva spiegato che era un presidio militare. La Torre sorgeva su un’altura da dove si poteva spaziare con la vista tutt’intorno. Rosatella si recava con piacere in quel luogo dove poteva trascorrere alcune ore in solitudine a fantasticare sul proprio futuro. Quella Torre squadrata, nella sua semplicità, le era sempre apparsa come un luogo misterioso e pieno di fascino. “Chissà perché non ci sono le finestre” – ripeteva tra sé, guardandola da lontano, mentre calpestava l’erba soffice del sentiero. Una volta giunta nei pressi, si soffermava a guardare quell’unica porta incastonata in uno dei quattro lati, posta ad una certa altezza da terra.

Qualcuno le aveva spiegato che quell’apertura si poteva raggiungere solo con una scala di legno che veniva ritirata in caso di attacco nemico. Viveva spensierata Rosatella e quando faceva ritorno al castello non raccontava a nessuno dove fosse stata. I giorni passavano sereni e la fanciulla cresceva a vista d’occhio. I suoi genitori si ritrovavano spesso a pensare al giorno in cui la loro figliola si sarebbe sposata. Come era usanza di quel tempo, il marito sarebbe stato scelto nella ristretta cerchia delle famiglie più altolocate del luogo e diversi erano già i pretendenti. La fanciulla, ignara di quello che sarebbe accaduto di lì a breve, trascorreva le sue giornate impegnata nelle lezioni di lettura e di canto e non era difficile ascoltare il suono soave della sua voce nelle stanze del castello. Il destino sembrava riservarle un futuro pieno di ogni felicità. Un giorno, mentre era intenta a pizzicare con grazia le corde della sua arpa, fu convocata da suo padre nella sala grande del castello. Giunse al suo cospetto e vide che nella stanza, oltre a sua madre che se ne stava seduta di lato, con le mani congiunte in grembo, c’era un’altra persona a lei sconosciuta. Era un uomo abbastanza alto, barbuto, che se ne stava in piedi con una mano sul fianco e l’altra poggiata sull’elsa di una spada luccicante.

Appena la vide, l’uomo fece un profondo inchino al quale ella rispose chinando di poco il capo. Suo padre la invitò a sedersi e fece le presentazioni. Le parlò di quell’uomo come di un nobile cavaliere e gliene descrisse le gesta. Rosatella, di tanto in tanto, gettava occhiate furtive verso di lui ma non riusciva a capire il motivo di quell’incontro. Dopo qualche momento, suo padre glielo rivelò e le annunciò che quell’uomo l’aveva chiesta in sposa. Rosatella non gioì a quella notizia, anzi, non ne fu affatto felice. Guardò i suoi genitori che, invece, le sorridevano compiaciuti. Ruggero de la Porte, così si chiamava quell’uomo, non le toglieva gli occhi di dosso mentre faceva cenni di approvazione alle parole di Guglielmo. Rosatella non riusciva a credere a quanto aveva appena udito ma, per non dare un dispiacere ai suoi genitori, ai quali, in fondo, voleva un gran bene, dissimulò il suo dispiacere. Prima che lei si ritirasse, suo padre la informò che le nozze si sarebbero celebrate da lì a due mesi. Nel cuore di Rosatella fu come si fosse conficcata una spina. Lasciò la sala a testa alta ma, quando fu sola, corse nella sua stanza e vi si chiuse dentro. Una tempesta si era scatenata nella sua testa e sembrava non riuscisse più a tenere a bada i suoi pensieri. Si guardava attorno e sembrava aver perso interesse a tutto ciò che aveva amato fino a quel momento. Lo specchio dove tante volte aveva visto il suo dolce viso sorridente rifletteva ora la sua espressione più triste e cupa. Come aveva potuto, in quei pochi attimi, diventare terribilmente infelice? Non riusciva a farsene una ragione, povera Rosatella. Eppure i suoi genitori le erano sembrati contenti, felici. Avrebbe mai potuto dire loro che lei non era affatto felice? Non avrebbero capito – disse tra sé – e, soprattutto, non lo avrebbero accettato – ripeté a sé stessa. Arrivò la sera ed era ancora seduta sul suo letto a riflettere, senza riuscire a trovare una soluzione. Il sonno si impadronì di lei mentre stava ancora sfogliando le pagine di un libro. L’indomani si svegliò tardi, dopo una notte agitata e affollata da brutti sogni. Durante il sonno, si era svegliata per brevi momenti ed aveva ripensato all’accaduto, giungendo alla conclusione che, se il suo destino era di diventare la sposa di quell’uomo che non le piaceva, lo avrebbe a malincuore accettato. In fondo, pensava, avrebbe reso felici i suoi genitori che volevano solo il meglio per lei e, dunque, perché deluderli? Mise da parte i suoi desideri, spazzò via i suoi sogni di fanciulla, rinunciò così alla sua di felicità. Trascorsero alcuni giorni durante i quali Rosatella continuò la sua vita di sempre ad eccezione di qualche momento in più di malinconia che la fanciulla cercava di scacciare recandosi alla Torre più spesso del solito. Fu al ritorno da una di quelle passeggiate che trovò il castello in subbuglio: uno strano andirivieni dentro le mura del palazzo di cui non si capiva il motivo. Era giunta in cima alle scale e stava per recarsi nella sua stanza quando le fu detto che i suoi genitori la stavano aspettando perché avevano una notizia importantissima da darle. Rosatella si recò subito alla sala grande dove trovò i suoi genitori che l’attendevano. Doveva essere successo qualcosa di molto grave perché entrambi avevano un’espressione di paura dipinta sul volto. Sua madre le corse incontro e, dopo averla presa per mano, la fece accomodare. Fu suo padre a darle la brutta notizia. “Carissima figlia mia, luce dei miei occhi, ti devo comunicare una brutta notizia. È giunta voce che da qualche tempo un morbo si va diffondendo nelle terre circostanti ed è purtroppo giunto fino a noi. È la peste, la più grave e la più terribile delle malattie e nessun medico, alchimista o mago è ancora riuscito a trovare un rimedio. Chi ne viene colpito è destinato a morte certa tra atroci sofferenze. Dopo un lungo consulto, abbiamo dunque preso una decisione che purtroppo ci devasta il cuore: abbiamo deciso che per il tuo bene dovrai allontanarti da noi. Ti trasferirai nella Torre, sorvegliata a vista giorno e notte. In questo modo vivrai lontana dai pericoli per qualche tempo, almeno fino a quando tutto questo non sarà finito; poi potrai tornare a vivere al castello e noi ti accoglieremo a braccia aperte.”. Rosatella ascoltò le ultime parole con il fiato sospeso, guardando ora sua madre che nascondeva il viso, rigato dalle lacrime, nelle mani. Alle prime luci dell’alba il carro si mosse dal castello in direzione della Torre e, mentre i suoi genitori l’osservavano da una finestra del castello, la fanciulla, smarrita ed impaurita, seduta sulle assi di legno traballanti del carro, li salutava mesta, stringendo tra le mani un libro.

Arrivati che furono alla Torre, Rosatella fu fatta salire attraverso una ripida scala di legno appoggiata al muro di pietra. Una volta dentro, la fanciulla si guardò intorno e non vide altro che le spoglie e fredde pareti della Torre. Quella sarebbe stata per qualche tempo la sua nuova casa. Rosatella, con la morte nel cuore, si adattò alla nuova vita. La sua giornata era scandita da tutta una serie di incombenze che la tenevano occupata fino alla sera. Si svegliava molto presto la mattina e subito correva alla porta per sbirciare da qualche fessura il cielo. Si stava avvicinando la stagione più fredda e spesso dei grossi e pesanti nuvoloni si ammassavano sopra le cime delle montagne. Quando invece il cielo era terso, ella poteva godere dello spettacolo delle montagne lontane con le punte innevate.

Tutt’attorno alla Torre c’era silenzio tranne il richiamo di qualche animale che vagava nei dintorni. Ogni tanto giungeva l’eco delle voci delle guardie che suo padre aveva scelto tra quelle più fidate. Rosatella ascoltava in silenzio e, per qualche momento, si sentiva meno sola. L’arrivo del carro con le vettovaglie, una volta ogni quindici giorni, era una festa per lei che lo attendeva trepidante. Ella sapeva che con il prezioso carico, arrivavano anche notizie dei suoi genitori. Aspettava con ansia quel momento e, quando sentiva lo scalpitio dei cavalli che si avvicinavano, correva alla porta della Torre e restava in attesa. Il fido servitore le dava tutte le informazioni e questo la rendeva felice e le dava la forza di sopportare, giorno dopo giorno, tutta quella solitudine. Era ormai trascorso tanto tempo da quando Rosatella si era stabilita nella Torre ma la notizia che lei aspettava, con così tanta ansia, non arrivava mai. Nei giorni in cui la fanciulla si sentiva più sola del solito, intonava una canzone e il suono della sua voce riempiva le vuote stanze della Torre. Le note malinconiche del suo canto le facevano compagnia e la riportavano indietro al tempo felice della sua infanzia. Quando quel canto cessava, il silenzio sembrava ancora più opprimente nella Torre. Un giorno il carro tardava e Rosatella diventava impaziente ora dopo ora. Tendeva l’orecchio per cercare di percepire il suono degli zoccoli dei cavalli ma nulla: c’era solo un gran silenzio. Oramai la povera fanciulla si era quasi rassegnata quando udì dei rumori lontani. Scoppiò in un grido di gioia quando finalmente il carro si fermò sotto la Torre e fu ancora più felice quando vide scendere dal carro una ragazza. Agile come un furetto, la fanciulla si arrampicò sopra la scala e quando fu dentro la Torre si profuse in un profondo inchino. Il suo nome era Betta ed era stato scelto tra le giovinette del paese per fare compagnia a Rosatella. La peste che tanti morti aveva provocato fino a quel momento, sembrava ora dare un po’ di tregua a tutte quelle genti. Quella fanciulla era rimasta l’unica in vita della sua famiglia e così Guglielmo ed Ermelinda avevano pensato che avrebbe potuto fare compagnia alla loro figliola ed alleviare un po’ la sua solitudine, in attesa del ritorno a casa. Betta aveva un carattere allegro nonostante le tremende disgrazie che avevano colpito la sua famiglia. Insieme a lei, Rosatella ritrovò il buon umore e, da quel giorno, scoprì che il tempo scorreva più in fretta in sua compagnia. Rosatella sembrò rifiorire e la sua voce, mentre intonava qualche canzone, era diventata più allegra e gioiosa. Fu appunto durante uno di quei momenti che passò di lì un giovane che proveniva dal vicino paese di Allein. Pierre era un ragazzo robusto e di bell’aspetto che governava un gregge di pecore.

Quel giorno andava alla ricerca di erba fresca per le sue pecore. Mentre si avvicinava alla Torre udì il canto di Rosatella e ne restò ammaliato. Si fermò in ascolto e se ne stette lì per qualche tempo. “Che voce dolce” – pensò. Quando la melodia cessò, il giovane Pierre volle scoprire a chi apparteneva quella voce. Con il cuore colmo di felicità, si incamminò verso la Torre. Era quasi arrivato nei pressi delle mura quando il guardiano gli gridò l’altolà. Pierre si fermò e gli domandò a chi appartenesse quella voce ma il guardiano lo cacciò via in malo modo. Le grida della guardia furono udite da Rosatella che corse a guardare attraverso la feritoia quello che accadeva ai piedi della Torre. Ascoltò le parole di quel ragazzo e poi lo vide andar via. Un sentimento mai provato prima si impossessò del suo cuore. Un dolce e sconosciuto languore si fece strada dentro di lei. Il giorno dopo Rosatella era pensierosa e rispondeva distrattamente alle domande di Betta. Voleva scoprire chi fosse quel giovane ma non sapeva come fare. Trascorse quella giornata di malavoglia e neppure la lettura riuscì a distrarla da quel suo pensiero. Venne la sera ed una luna immensa si stagliò nel cielo, contornata da una miriade di stelle. Rosatella si avvicinò alla porta e guardò tra le fessure. Poiché quel giorno era rimasta spesso in silenzio, intonò una canzone per consolarsi un po’. Passò così del tempo e poi, senza quasi accorgersene, si addormentò lì dov’era. Era notte fonda quando si svegliò perché aveva sentito dei colpi leggeri alla porta. Guardò attraverso le fessure e vide, dritto sulla scala, Pierre. Sorpresa dalla sua intraprendenza e, al tempo stesso, preoccupata perché poteva essere scoperto dal guardiano che stazionava ai piedi della Torre, Rosatella gli chiese come avesse fatto ad arrivare fino alla porta. Pierre la rassicurò dicendole che il guardiano dormiva di un sonno profondo e lui era salito in silenzio su per la scala. Si parlarono così, sottovoce, per un po’ di tempo, mentre dai loro sguardi sgorgava un incontenibile effluvio d’amore. Poi Pierre, silenziosamente come era venuto, si allontanò nei prati, con la promessa di far ritorno presto. Furono molte le notti durante le quali Pierre e Rosatella si incontrarono, seppure divisi da quella porta massiccia e si scambiarono promesse d’amore eterno. Un giorno, inaspettatamente, arrivò qualcuno dal castello e le comunicò che il pericolo era cessato e che i suoi genitori l’aspettavano trepidanti. Rosatella, che tanto aveva atteso quel momento, non fu particolarmente felice di tornarsene al castello ma doveva obbedire alla volontà dei suoi genitori. A malincuore salutò quella Torre che l’aveva accolta

per tutto quel tempo ed insieme a Betta fecero ritorno al castello. Rosatella fu accolta a braccia aperte dai suoi genitori e Betta fu ospitata per sempre al castello, come ricompensa. I giorni seguenti furono giorni di festa al castello per lo scampato pericolo. A Rosatella venne fatto dono di ogni ben di Dio per le privazioni che aveva dovuto sopportare quando si trovava chiusa nella Torre. Ella veniva elogiata da tutti per essere riuscita a trascorrere tutto quel tempo da sola nella Torre. Nonostante fosse ritornata a casa e vivesse negli agi, Rosatella non smetteva mai di pensare a Pierre. Erano ormai trascorsi un po’ di giorni dal suo arrivo quando Rosatella fu convocata nella sala grande dai suoi genitori. La fanciulla, nel fare ingresso nella sala, ebbe un brutto presentimento. Dopo poco, infatti, i suoi timori si trasformarono in certezza perché le fu detto che, a breve, si sarebbero celebrate le nozze con quel Ruggero De la Porte che le era stato presentato tanto tempo prima. La notizia la sconvolse e non riuscì a trattenere le lacrime che, però, furono interpretate come lacrime di gioia dai suoi genitori. Tornò nella sua stanza con un macigno sul cuore e lì sfogò tutta la sua disperazione. Fuori dalla porta, nascosta in una nicchia nel muro, Betta ascoltava quel pianto in silenzio. Non avrebbe dovuto essere lì perché il suo posto era nelle cucine ma quel giorno aveva deciso di rivedere Rosatella. Ad un certo punto si fece coraggio, aprì piano la porta ed entrò. Quando la vide, Rosatella le corse incontro e l’abbracciò, contenta di rivederla. Le raccontò tutto quello che le era successo e le confidò le pene che teneva nascoste nel suo cuore. Betta ascoltò in silenzio tutto quanto e, quando Rosatella finì di parlare, le suggerì di farsi coraggio e poi, d’impeto, le disse: “Quanti bei ricordi che ho del tempo che siamo state insieme nella Torre. Mi avete insegnato tante cose e ve ne sarò per sempre grata. Adesso però sono io che vi voglio dire una cosa. Ricordate quel libro che leggevate a voce alta nella Torre? Una volta mi raccontaste di un tale Epicuro che aveva scritto un pensiero bellissimo a proposito della felicità. Lui diceva che non dobbiamo aspettare che si avveri ogni nostro desiderio ma non dobbiamo nemmeno rassegnarci all’idea che sia impossibile riuscire a realizzarne qualcuno. Oggi io ho capito che c’è un solo desiderio nel vostro cuore e dunque solo se cercherete di realizzarlo, la vostra anima ritornerà serena ed avrete una vita felice.”. Il volto di Rosatella si illuminò e solo in quel momento comprese che fino ad allora lei non era mai stata veramente felice. Per lei fu come ritrovare la rotta nel mare in tempesta che era diventato il suo cuore in quei giorni. Insieme architettarono un piano. Rosatella avrebbe indossato i vestiti di Betta e si sarebbe così potuta allontanare dal castello. In quel modo, nessuno avrebbe fatto caso a lei. Infatti, in quei giorni, nel castello c’era un continuo andirivieni a causa dei preparativi per le nozze. Quando si fece l’ora, Rosatella sgusciò fuori dalle mura del castello. Nessuno badò a quella fanciulla che recava una cesta vuota sulla schiena ed era accompagnata da una capretta da latte. In quei giorni erano in tanti a presentarsi al castello recando cesti di doni per le nozze della figlia di Guglielmo De Gignio. Rosatella si avviò lungo i sentieri che tante volte aveva percorso. Contava di raggiungere abbastanza in fretta la Torre e, una volta lì, aspettare l’arrivo di Pierre. Era sicura che quel ragazzo non l’avesse dimenticata ed il suo canto sarebbe servito da richiamo. Era determinata poi a recarsi con lui al castello dai suoi genitori. Insieme si sarebbero mostrati uniti e forti del loro amore ed alla fine, ripeteva tra sé Rosatella, i suoi genitori avrebbero acconsentito alle nozze. Con questi pensieri in testa e con il cuore ebbro di felicità Rosatella raggiunse la Torre. La scala era ancora appoggiata su un lato della Torre ma non c’era più nessuno di guardia. Quel luogo era rimasto abbandonato. Raggiunse in fretta la porta, la spinse ed entrò nella Torre richiudendo l’uscio dietro di sé e lasciando la capretta libera nei prati circostanti. Le sembrò per un momento di essere tornata a casa mentre sistemava in un cantuccio le poche cose che aveva portato con sé. Nascosto sotto le vesti teneva quel libro che da sempre le faceva compagnia. Sapeva che forse l’attesa sarebbe stata lunga, ma non era preoccupata. Sentiva una forza incredibile scorrerle dentro le vene che le dava coraggio. Le ore passavano e l’ombra della Torre si allungava nei prati. Rosatella aspettò il crepuscolo e poi decise di intonare uno dei suoi canti che tanto piacevano a Pierre. Mentre sbirciava con lo sguardo attraverso la fessura, modulò la sua voce che vibrò suadente nell’aria. Quella sera nessuno si fece vivo alla Torre ma Rosatella non se ne preoccupò perché sapeva che, prima o poi, Pierre sarebbe ritornato da lei. Quando sentì che il sonno stava per avere il sopravvento, si sistemò in un nascondiglio della Torre che solo lei conosceva, nel caso qualcuno fosse andato a cercarla. L’indomani si svegliò di buon umore mentre un sole timido accarezzava l’erba nei prati. Fece un pasto frugale e poi andò a guardare fuori dalla porta il paesaggio. La capretta era ancora lì, a brucare l’erba. Un venticello leggero soffiava in direzione della Torre. L’attesa per l’arrivo di Pierre le riempiva il cuore di gioia. Molti giorni e molte notti trascorsero ma nessuno si presentò alla Torre. Fu solo durante un giorno di pioggia che qualcuno dal castello venne a cercarla lì ma Rosatella si nascose così bene che nessuno riuscì a scoprire il suo nascondiglio.

Le ricerche continuarono senza sosta ma di lei non fu trovata traccia. Rosatella, dal canto suo, non aveva perso la speranza e, sera dopo sera, intonava il suo canto struggente. Era certa che Pierre, una di quelle notti, l’avrebbe raggiunta e, nonostante la sua vista si fosse indebolita, continuava a sbirciare attraverso le fessure della porta. Accadde tutto in una notte molto buia durante la quale un vento gelido avvolgeva in un abbraccio sinistro la Torre. Fu allora che quel ragazzo robusto e di bell’aspetto, appena tornato dalla guerra, si mise a correre a perdifiato nei prati. Pierre arrivò ai piedi della Torre con il cuore in gola. La porta era chiusa e tutt’intorno c’era uno strano silenzio. Quella notte nessuno fiatava, nemmeno gli animali notturni che se ne stavano nascosti tra i rami degli alberi. Pierre ora guardava in alto verso quella porta chiusa. Rosatella quella notte taceva e da quella notte nessuno avrebbe più udito il suo canto.