Fiaba di Michele Amabilino

Illustrazioni di BDB

 

-Mamma, esco un momento per comprare le sigarette – disse il giovane con fare affrettato prendendo così le chiavi dell’auto da un piccolo mobile dell’ingresso.

La madre: -Mi raccomando Livio, non tardare. Tra poco arriva Elvira, la tua fidanzata.

Il giovane annuì, uscì di casa, entrò all’interno dell’ascensore e giù dal 7° piano fino al pianterreno. In strada diede un’occhiata alla sua utilitaria. Livio era un giovane che studiava medicina, viveva con i genitori, la mamma ostetrica e il padre avvocato. Si diresse verso la sua auto ma ad un tratto notò qualcosa nel prato vicino. Era un piccolo gattino bianco e nero in difficoltà. Capì che era in pericolo per il traffico della strada. Pensò tra sé: – Di certo qualcuno lo ha abbondonato. Che incivili! Un gattino così piccolo, se lo lascio qui, è un gattino morto.

Attraversò il prato ma ad un tratto, quasi all’altezza del suo volto, a mezz’aria notò una piccola bolla d’aria. Un’anomalia che lo sorprese, ma non riuscì neppure a pensare, neppure quando la vide espandersi come un mulinello biancastro. Sentì a quell’insolita formazione un flusso di aria fredda, come prodotta da un ventilatore.

Che cos’era? L’anomalia crebbe di misura e si avvicinò a tal punto da investirlo. Che cosa accadde? Livio sentì come una forza agire sul suo corpo che lo aspirava e a cui non riusciva a fuggire. Istantaneamente lo strano fenomeno crebbe a tal punto da inghiottirlo e Livio si trovò trasportato di peso, come aspirato da un vortice, da una forza immane.

Si trovò a terra, in un prato immenso, su di un tappeto erboso di colore giallo in un ambiente smorto e freddo. Guardò smarrito il cielo e lo trovò strano. Vide all’orizzonte una catena montuosa che sembrava grigia.

-Dove mi trovo? – si disse con angoscia – Sto forse sognando?

Mosse qualche passo, guardò istintivamente il suo orologio da polso, un automatico, e lo vide fermo.  Si meravigliò di questo.

-Dove sono? Dove vado? Dov’è la mia casa?

Un senso di smarrimento si impadronì di lui e si sorprese nel sentire i suoi occhi inumidirsi di pianto. Scelse una direzione a caso e camminò lentamente come di chi ha paura. Ancora guardò il cielo e pensò di trovarsi quasi a sera. Ma com’era possibile? Gli sembrò di impazzire. Allora, forse per la disperazione, incominciò a correre, a correre senza una meta. Sentiva il cuore in gola e la disperazione più estrema.

 

Fu a quel punto che sentì il suolo sobbalzare e si fermò. Ansimò sfinito. Che cos’era quel fenomeno percepito? Un movimento sismico? No, non poteva immaginare altra cosa quando intravide da lontano la sinistra, gigantesca figura umana in cammino verso di lui. Sembrava un umano di smisurata mole. Allora il suo cuore sembrò fermarsi, mentre l’istinto gli suggerì di nascondersi per un pericolo imminente e la percezione di un orrore senza limiti. Che cos’era quell’incubo? Capì che il movimento sussultorio era il passo del gigante. Comprese che per lui si era spalancata la porta del mondo degli orrori, dei pensieri più terrificanti. Sentì le ginocchia tremare. Davanti a lui marciava il più spaventoso dei suoi incubi. Si guardò attorno e intravide poco distante un gigantesco albero, scortecciato, morto. I suoi rami si estendevano come un gigantesco ombrello, vuoti e il suo tronco pareva smisurato e plurisecolare, ormai sinistra figura di una vita spenta. Cercò un riparo, così raggiunse l’albero e gli girò intorno per nascondersi. All’altezza del suolo, vide una radice sradicata e sotto di essa una grande e profonda buca, così si nascose nella nuda terra. Quasi trattenne il respiro per la paura di essere scoperto da quel colosso in avvicinamento, Lo osservò tremando come una foglia. Eccolo, così vicino da sentire il suo fiato. Lo vide chiaramente e ne provò terrore. Era coperto di peli ispidi, aveva gambe poderose, piedi con artigli nerastri, la testa, orrenda, somigliava a quella di un cinghiale-uomo-orso e di mole smisurata.

-Come è possibile che esista un simile mostro e dove mi trovo? – si ripeté mentalmente. Che cos’era quel posto, forse un mondo parallelo e lui prigioniero in un inferno cupo e atroce?

L’essere passò vicino al gigantesco albero, quasi si appoggiò di spalle e Livio percepì il lezzo insopportabile della bestia.

Si chiese tra sé con un brivido di terrore: – È un essere intelligente o un bruto?

Sentì che quell’essere annusava l’aria come se avesse percepito qualcosa e si sentì perduto. Ma il mostro non capì la sua vicinanza. Ancora esitò e disse con voce profonda: – Sento nell’aria un odorino speciale, di animaletti. Così deliziosi e pochi in verità. Strani… Di certo non appartengono a questo mondo.

Dunque possedeva un linguaggio comprensibile – pensò Livio – ed era carnivoro. Capì quindi di vivere in una realtà ostile. Soffocò in gola i singhiozzi e tutto il suo dramma. Il mostro si allontanò a grandi passi e Livio poté uscire dal suo nascondiglio. Si guardò attorno, lontano gli sembrò di vedere delle piccole luci. C’era dunque qualcuno? Si diresse in quella direzione timoroso. Quando giunse abbastanza vicino alle luci, notò un cespuglio. C’erano dei fiori meravigliosi di colore azzurro simili a calle che splendevano di luci misteriose. I fiori avevano piccoli puntini luminosi e poi attorno, come in un magico girotondo, delle creaturine che somigliavano a delle farfalle, che volavano in cerchio attorno in una magica danza e splendevano. Erano minuscole creature magiche di un mondo incantato.

Si avvicinò timidamente e alzò la mano in segno di saluto.

-Ciao, sono un umano e mi chiamo Livio… – disse alle creature alate. Questi si alzarono in volo festose e gli si avvicinarono. Erano esseri piccolini e avevano un volto umano.

Una creatura con voce piccina: – Ciao, ti diamo il benvenuto. Possiamo aiutarti a riunirti ad altri umani.

Livio sorpreso: – Dunque ci sono altri miei simili in questo mondo?

-Si – rispose la creatura e riunì le ali dietro la schiena, mostrando il suo piccolo ed esile corpo bianco-latte.

Livio capì di aver trovato degli amici speciali in un mondo magico.

Con voce turbata da una grande emozione: – Ho incontrato un essere orrendo, un gigante…

Le creature in coro: – Nasconditi dai bruti delle foreste, delle praterie e della notte. Sono malvagi, divorano ogni essere vivente.

Livio sempre più spaventato: – Anche voi temete quei mostri?

Una creatura alata: – No, è lui che ha paura di noi, della luce delle nostre ali. È un essere delle tenebre.

Il giovane con voce accorata: – Non so come mi sono trovato in questo mondo e vorrei tornare a casa dove mi aspetta la famiglia.

Una creatura magica volando a lui vicino con voce compassionevole disse: – Il tuo dolore è sentito anche da noi. Purtroppo non possiamo aiutarti in questo, ma in altre necessità. Tra poco arriverà l’alba e i mostri spariranno.

Un’altra entità avvicinandosi al giovane gli parlò dolcemente: – Ti accompagneremo tra i tuoi simili e così per te sarà meno penosa questa realtà.

Il giovane un po’ sollevato nel morale: -Quanti sono?

-Un bel numero di tutte le età – fu la risposta.

Così, un po’ rincuorato, si unì alle piccole creature e s’incamminarono.

L’alba arrivò festosa illuminando il paesaggio, la natura si animò, i piccoli animali delle praterie si mostrarono e nel cielo apparvero festosi piccoli volatili simili a gabbiani.

L’uomo, respirando la fresca brezza, era quasi sereno per l’incanto della natura. -Sembra questo un mondo di pace…

Una creatura alata: – E in parte lo è, se non fosse per i mostri delle tenebre.

Livio sorpreso: – Vedo lontano qualcosa di simile ad una recinzione.

-Sono rovi giganti, nascondono e proteggono le case degli uomini – rispose una creatura.

Livio pensoso: – Ma i mostri possono varcare i rovi, distruggere e uccidere gli uomini?

La risposta della creatura alata fu: – I mostri temono le spine velenose.

E l’uomo preoccupato: – Allora come posso unirmi alla comunità degli uomini?

La risposta misteriosa: -Tra poco ti sarà tutto chiaro.

Dei rovi giganteschi circondavano un insediamento umano fatto di povere capanne di rami e foglie, era qualcosa di simile a quelli delle tribù antiche: questo pensò osservando le strane costruzioni.

A questo punto dovevano varcare i rovi. Ma come?

Livio si avvicinò al gigantesco intreccio di spine aguzze e velenose ma, quando fu quasi a toccarle, avvenne un fatto stranissimo. I rovi, come creature viventi dotate di volontà e di movimento, si aprirono lasciandolo passare all’interno dell’insediamento urbano per poi rinchiudersi come una barriera alle sue spalle. Era questo un fatto incredibile, sconosciuto alla natura.

Livio così pensò di trovarsi in un mondo fiabesco dove le cose più impensabili accadevano violando i principi della natura terrestre.

Che cos’era dunque quella misteriosa dimensione? Un posto nel mondo dei sogni, delle figure fiabesche, un mondo di gioia e di orrore?

Si, era una dimensione fatta con principi opposti a quelli fisici, una dimensione che non avrebbe sospettato.

Gli vennero incontro degli umani festosi e di ogni età, vestiti con pochi frammenti di stoffa. Tra tutti, notò una giovane donna di bell’aspetto, bruna, che gli sorrise.

Livio si avvicinò e le rivolse la parola: -Ciao, sono Livio e tu, come ti chiami?

La giovane donna, con accento straniero: -Irina…

Il giovane, guardando i presenti: -Che strano… Non vedo bambini… – con tristezza – Mi trovo qui, ma vorrei tornare nel mio mondo. Come posso fare?

La giovane donna, accompagnandolo ad una capanna, disse con tono triste: – Non è molto semplice. Pochi di noi ci sono riusciti…

A questo punto Livio notò un particolare della giovane donna: indossava una collana d’oro con un’immagine fotografica riprodotta in un medaglione, di donna.

-Chi è quel ritratto?

La ragazza di nome Irina: – Sono io a 15 anni, nel 1927, prima di entrare in questa dimensione.

 

Livio sconvolto: – Ma non è possibile. Io ti vedo così giovane… – non completò la frase.

Era terribile quello che aveva capito.

La ragazza con tono dolente: – Qui il tempo non esiste, per tutte le creature…

Era chiaro a questo punto che le persone presenti, si fermassero nel tempo, non invecchiando. Alcuni di essi, in teoria, superavano il secolo.

La Natura sembrava normale, con le albe e i tramonti ma c’era qualche cosa di strano, per le persone, il tempo non scorreva più, si era fermato. Livio si integrò in quella realtà. Nessuno della comunità aveva voglia di parlare dei mostri, di incontrarli. Ci si teneva a distanza da una gigantesca caverna ai piedi di una montagna, in verità un vulcano spento. Di questo le spaventose creature non sospettavano nulla perché ottuse. In quel luogo si radunavano per dormire.

La fauna e la flora di quella dimensione erano simili a quella del mondo degli umani, con qualche eccezione. C’erano piccole meduse volanti, alberi che camminavano e pietre animate. Sembrava un mondo di favola con le sue luci e le sue ombre, con aspetti incantevoli e altri paurosi, ombre sinistre e animate e, come in tutte le favole, qualcuno si aspettava un lieto fine.

Livio conobbe molti animali e piante di quel mondo da favola: lumache grandi come pecore e con il guscio come corazze di tartarughe, meduse che si cibavano di insetti e volavano nel cielo in gruppi, abitanti dei boschi che sembravano piccoli satiri, piante che si animavano, lucciole di fuoco, fiori giganteschi e dal profumo inebriante e altre ancora forme di animali e vegetali mai osservati.

Poi un mattino accadde qualcosa.

Lontano dalla comunità umana si sentì come un tuono, ma non era un segno di un temporale in arrivo perché il cielo era meravigliosamente azzurro e splendeva il sole. Quel tuono era il segno di una attività vulcanica, proprio dove c’era l’enorme caverna abitata dai mostri. Essi odiavano la luce del sole e là si rifugiavano di giorno. Erano dei bruti, incapaci di capire il pericolo, abitavano la caverna ignari di tutto. Quel brontolio segnalava un’attività vulcanica. Non ci fu un’eruzione, ma il rilascio nell’ambiente di nuvole di gas tossici. I mostri, che di giorno dormivano, non percepirono il pericolo del vulcano e fu un evento tragico per il loro gruppo. Morirono nel sonno, in una tragica, gigantesca tomba liberando quel mondo magico da un incubo.

La vita di Livio, in quell’ambiente, conosceva momenti di quiete e altri di angoscia.

Non poteva dimenticare il suo mondo, i suoi affetti e così, a volte, gli accadeva di provare lo smarrimento totale, la sofferenza più atroce.

Piangeva Livio, ricordando il suo mondo. Erano le sue lacrime amarissime, di una sofferenza insopportabile.

Quel mondo magico aveva in sé un’Entità che lo governava. Le lacrime e la disperazione del giovane erano percepite dalla Grande Coscienza che governava quella dimensione, in una comprensione pietosa, in una soluzione del problema. L’entità, come per magia, decise di liberare Livio dai suoi tormenti.

Era lì, con il gruppo degli umani, in pietosa riflessione, quando accadde all’improvviso il prodigio. Si aprì nell’aria, vicino al giovane, un piccolo vortice, una corrente fredda e aspirante che sembrava animarsi per lui. Fu un attimo di grande sorpresa per tutti, soprattutto per Livio che si sentì coinvolto dall’evento. Il giovane capì il fenomeno strano e prese per mano, istintivamente, Irina. Voleva portarla con sé, nel suo mondo. La giovane donna si rese conto dell’evento. Non era possibile per lei abbandonare quel mondo magico e tornare nell’altra dimensione. Lasciò dunque la mano del giovane, in un disperato addio.

-Vai Livio nel tuo mondo! Io non posso varcare questo confine.  Vai di tuoi affetti più cari!

Livio fu preso dal vortice, inghiottito da un mulinello di aria e, all’istante, si trovò nel suo mondo, esattamente in quel posto dove aveva trovato il gattino e il gattino era ancora lì, come se fosse trascorso soltanto un attimo di vita.

Lo raccolse, pianse di gioia osservando l’ambiente familiare, ricordò Irina come in un sogno e ritornò a casa. La sua famiglia, la sua fidanzata, l’aspettavano.

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