Racconticompleanno a cura di “TOTO”

Racconto di Gabriele D’Annunzio

12 marzo 1863 – 1 marzo 1938

 

Uno dei maggiori esponenti del decadentismo europeo. Dotato di una cultura molto vasta, mostrò un’inesauribile capacità di assimilare le nuove tendenze letterarie e filosofiche, rielaborandole con una raffinata tecnica di scrittura.

 

 

Racconta un poeta: C’era una volta non so più in quale terra una coppia di poverelli. Ed erano, questi due poverelli, così miseri che non possedevano nulla, ma proprio nulla di nulla. Non avevano pane da metter nella madia, né madia da mettervi pane. Non avevano casa per mettervi una madia, né campo per fabbricarvi casa. Se avesser posseduto un  campo,  anche  grande  quanto  un  fazzoletto,  avrebbero  potuto  guadagnare  tanto da fabbricarvi casa. Se avessero avuto casa, avrebbero potuto mettervi la madia. E se avessero avuto la madia, è certo che in un modo o in un altro, in un angolo o in una fenditura, avrebber potuto trovare un pezzo di pane o almeno una briciola. Ma, non avendo né campo, né casa, né madia, né pane, erano in verità assai tapini. Ma non tanto del pane lamentavano la mancanza quanto della casa. Del pane ne avevano a bastanza per elemosina, e qualche volta avevan anche un po’ di companatico e qualche volta anche un sorso di vino. Ma i poveretti  avrebber  preferito  rimaner  sempre  a  digiuno  e  possedere  una  casa  dove  accendere  qualche ramo secco o ragionar placidamente d’innanzi alla brace. Quel che v’ha di meglio  al  mondo,  in  verità,  a  preferenza  anche  del  mangiare,  è  posseder  quattro  mura per ricoverarsi. Senza le sue quattro mura l’uomo è come una bestia errante. E i due  poverelli  si  sentirono  più  miseri  che  mai,  in  una  sera  triste  della  vigilia  di  Natale,  triste  soltanto  per  loro,  perché  tutti  li  altri  in  quella  sera  hanno  il  fuoco  nel  camino  e  le  scarpe  quasi  affondate nella cenere. Come si lamentavano e tremavano su la via maestra, nella notte buja, s’imbatterono in un gatto che faceva un miagolìo roco e dolce. Era in verità un gatto misero assai, misero quanto loro, poiché non aveva che la pelle su le ossa e pochissimi peli su la pelle. S’egli avesse avuto molti peli su la pelle, certo la sua pelle sarebbe stata in miglior condizione. Se  la  sua  pelle  fosse  stata  in  condizion  migliore,  certo  non  avrebbe  aderito  così  strettamente  alle  ossa. E  s’egli  non  avesse  avuta  la  pelle  aderente  alle  ossa,  certo  sarebbe  stato  egli  forte  abbastanza  per  pigliar topi e per non rimaner così magro. Ma,  non  avendo  peli  ed  avendo  in  vece  la  pelle  su  l’ossa,  egli  era  in  verità  un  gatto  assai  meschinello. I poverelli son buoni e s’aiutan fra loro. I due nostri dunque raccolsero il gatto e né pure pensarono a mangiarselo; ché anzi gli diedero un po’ di lardo che avevano avuto per elemosina. Il  gatto,  com’ebbe  mangiato,  si  mise  a  camminare  d’innanzi  a  loro  e  li  condusse  in  una  vecchia  capanna abbandonata. C’eran là due sgabelli e un focolare, che un raggio di luna illuminò un istante e poi sparve. Ed anche il gatto sparve col raggio di luna, cosicché i due poverelli si trovaron seduti nelle tenebre, d’innanzi al nero focolare che l’assenza del fuoco rendeva ancor più nero. – Ah! – dissero – se avessimo a pena un tizzone! Fa tanto freddo! E sarebbe tanto dolce scaldarsi un poco e raccontare favole! Ma, ohimè, non c’era fuoco nel focolare poiché essi erano miseri, in verità miseri assai.

D’un tratto due carboni si accesero in fondo al camino, due bei carboni gialli come l’oro. E il vecchio si fregò le mani, in segno di gioia, dicendo alla sua donna:  – Senti che buon caldo? – Sento, sento – rispose la vecchia. E distese le palme aperte innanzi al fuoco. – Soffiaci sopra – ella soggiunse. La brace farà la fiamma. – No – disse l’uomo – si consumerebbe troppo presto. E  si  misero  a  ragionare  del  tempo  passato,  senza  tristezza,  poiché  si  sentivano  tutti  ringagliarditi  dalla vista dei due tizzoni lucenti. I  poverelli  si  contentan  di  poco  e  son  più  felici.  I  nostri  due  si  rallegrarono,  fin  nell’intimo  cuore,  del bel dono di Gesù Bambino, e resero fervide grazie al Bambino Gesù. Tutta  la  notte  continuarono  a  favoleggiare  scaldandosi,  sicuri  ormai  d’essere  protetti  dal  Bambino  Gesù, poiché i due carboni brillavan sempre come due monete nuove e non si consumavano mai. E,  quando  venne  l’alba,  i  due  poverelli  che  avevano  avuto  caldo  ed  agio  tutta  la  notte,  videro  in  fondo al camino il povero gatto che li guardava da’ suoi grandi occhi d’oro. Ed essi non ad altro fuoco s’erano scaldati che al baglior di quelli occhi. E il gatto disse: – Il tesoro dei poveri è l’illusione.

 

 

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