Racconto di Angela Potente

(Settima pubblicazione)

 

Quella mattina mi svegliai con una sola idea impigliata in testa: rivedere il mare.

Dopo tutte quelle settimane in cui non avevo messo il naso fuori dalla porta neanche per sapere se fosse notte o giorno, sentivo il bisogno irrefrenabile di riempirmi gli occhi di un orizzonte infinito.

Volevo aprire il respiro al ritmo delle onde e sentirle una dopo l’altra rigenerarmi l’anima.

Il mare per me era come tornare a casa, la mia vera casa.

Presi il primo treno disponibile e dopo un’ora di viaggio mi ritrovai di fronte quella distesa spumeggiante grigio chiaro che si fondeva con il cielo color ghiaccio. Faceva freddo nonostante fossimo già a marzo e rabbrividii. Me ne stavo lì, piantato sul vecchio muretto, a fissare le onde, quando un pensiero si fece strada prepotente tra la folla di altri pensieri che da giorni mi assillavano: se fossi sparito in quel momento nessuno se ne sarebbe accorto. Preda di quella sensazione mi incamminai lungo la spiaggia lasciando come unica traccia di me impronte leggere sulla sabbia umida.

Arrivato sulla riva l’acqua iniziò a cantare il suo richiamo, ogni risucchio era una nuova nota che andava a comporre una musica ipnotica che sembrava dirmi soltanto “torna, torna da me”. Avevo già quasi un piede dentro quando sentii un fischio: mi girai di scatto e a cinque metri da me vidi un uomo. Era anziano, o così mi parse, con la barba lunga, i capelli grigi scarmigliati, indossava un vecchio impermeabile che avrebbe avuto bisogno di diversi rattoppi. Non riuscivo a spiegarmi da dove potesse essere spuntato, la spiaggia era deserta quando ero arrivato. Fischiava e si avvicinava sempre di più. Quando fu a un passo da me, il viso gli si aprì in un sorriso largo e qualche dente si affacciò a salutarmi.

Mi fissò e disse: «Ehi, oggi fa freddo per un bagno».

Lo guardai attonito e replicai balbettando: «No, no, io non volevo fare il bagno». Si girò verso il mare e socchiudendo gli occhi mormorò: «Oh, non dire bugie, ho visto come lo guardavi». Poi voltandosi nuovamente verso di me disse allegramente: «Non hai per caso qualche soldo? Non mangio da un po’». Il cambio repentino di tono mi prese alla sprovvista: «Sì» risposi «posso darti qualcosa, certo» e misi le mani in tasca per recuperare qualche moneta. Lui mi guardò e in quello sguardo io vidi racchiusi tutti gli occhi del mondo, di ogni uomo perso, caduto, abbandonato, vinto. In quello sguardo riconobbi me stesso, la mia solitudine e la mia stanchezza. Sorrise, e questa volta ogni ruga del suo volto prese vita disegnando una ragnatela, infinita eco di altri milioni di sorrisi. Poi fece un piccolo movimento con il piede, poi un altro e un altro ancora, finché mi resi conto che stava danzando sulla sabbia. Ogni passo raccontava una storia che diceva: non sei solo. Si allontanò così, danzando. Le monete che avevo ancora in mano mi caddero e mi chinai per raccoglierle, quando mi sollevai il ballerino era scomparso. Una piuma bianca mi volò davanti al naso. Danzandomi sul cuore mi salvò la vita.