Racconto di Fabio Losacco

(Terza pubblicazione)

 

 

Vi ricordate Travis Bickle?

Si dai, il protagonista di Taxi Driver, quel film dove Robert De Niro, reduce del Vietnam, soffre d’insonnia e si mette a fare il tassista di notte!

Ecco, non so perché ma anche io da un po’ di tempo avevo il problema di non riuscire più a prendere sonno ed era per questo che spesso mi trovavo a vagare di notte per la città.

Ed era stato proprio così che, per puro caso, avevo scoperto una palestra aperta H24 e pensato che avrei potuto provare a sconfiggere la mia insonnia con un po’ di esercizio fisico.

Così il mattino seguente ero andato a iscrivermi scegliendo il turno dalle 22 alle 6, quello meno frequentato e di conseguenza più economico.

Ovviamente a quell’ora non erano previsti istruttori, reception o servizio bar ma solo spogliatoi, sala pesi e il minimo delle macchine da fitness.

Era altrettanto pacifico che in un contesto simile fosse impossibile fare nuove conoscenze, ma non era quello lo scopo. Il mio unico desiderio era occupare le notti insonni e magari stancarmi quel tanto che bastava per convincere il mio cervello staccare la spina almeno per un po’. Poi, se oltre a tutto ciò, fossi anche riuscito a perdere qualche chilo, beh sarebbe stato tanto di guadagnato.

Fu così quindi che mi presentai in palestra verso le undici e mezza, munito di tutto l’occorrente e pronto a passare il mio badge nel lettore.

A quell’ora c’era rimasta una sola persona che però se ne stava andando e con cui, incrociandoci all’uscita degli spogliatoi, ci eravamo scambiati un gesto di saluto fatto più di diffidenza che di cordialità.

Pochi minuti dopo quindi ero già sul tapis roulant dove iniziavo a cimentarmi nell’insidiosa e sfiancante pratica della camminata in salita.

Adesso ero veramente solo e non c’era nessuno che si prendesse nemmeno la briga di mettere un po’ di musica di sottofondo per spezzare il silenzio che, a quell’ora, mi pareva divenuto perfino inquietante.

Dopo qualche minuto aumentai di un po’ la velocità e ritoccai al rialzo la pendenza, costringendo il mio smart watch a segnalare che il ritmo cardiaco aveva cominciato a salire.

Mentre correvo, per tenere la mente occupata, presi a guardarmi intorno, facendo così caso alle tre grandi finestre lasciate aperte proprio davanti a me e dalle quali si scorgeva il cielo che non era rischiarato né dalla luna né dalle stelle.

“Ma questa non doveva essere la notte di plenilunio?” mi chiesi frugando nella memoria, ma certamente mi stavo sbagliando e, del resto, non sarebbe stata nemmeno l’ultima volta.

Dopo qualche altro minuto sentii il beep con il quale il mio intelligentissimo orologio mi segnalava l’arrivo del nuovo giorno e con esso magari anche la speranza di riuscire a ritagliarmi un paio di ore di sonno durante quella nottata.

Quando dopo qualche momento alzai di nuovo lo sguardo vidi che su uno dei davanzali si erano appollaiati due grossi uccelli neri. Ma cosa erano? Corvi? Non mi pareva, perché erano troppo grandi e nemmeno totalmente neri, avendo il collo e parte del petto di un colore grigio lucente ed elegante, sempre che avesse avuto senso parlare di eleganza riferendosi a quella specie di cornacchie.

Uno dei due animali emise improvvisamente un verso stridulo che pareva un grido umano, acuto e altissimo. L’altro parve rispondergli e fu come se avessero iniziato a conversare.

Io intanto ero sceso dal mio supplizio rullante per andare a cercare ristoro nella boccia dell’acqua e quando tornai i due uccelli sembrava se ne fossero già andati.

Avevo appena ripreso il mio esercizio quando mi resi improvvisamente conto di non essere più da solo nella palestra. Con me adesso c’erano un uomo ed una donna che non avevo la più pallida idea da dove fossero sbucati.

“Probabilmente sono entrati mentre ero di là” mi dissi ma ugualmente la cosa mi apparve alquanto bizzarra.

I due nuovi arrivati erano giovani e sfoggiavano dei fisici tonici con tutti i muscoli bene in evidenza. La donna poi era davvero attraente, con lunghi capelli neri su un volto diafano e due occhi scuri, profondi e vivaci il cui sguardo riuscì a farmi rabbrividire, anche se l’incontro con il mio durò meno di un secondo.

Entrambi indossavano la stessa tuta nera sotto la quale si intravedeva il grigio di una t shirt e l’idea che si trattasse una di quelle coppie un po’ troppo appiccicose che fanno tutto assieme mi evocò un po’ di malinconia.

L’uomo, senza degnarmi della minima attenzione, se n’era andato ad allenarsi con i bilancieri sulla panca piana, mentre la ragazza aveva preso posto accanto a me e, dopo un breve riscaldamento, iniziato a correre a un ritmo forsennato.

Io, cercando di non farmi notare, continuavo a sbirciarla con la coda dell’occhio, apprezzandone l’evidente avvenenza e invidiando anche il fatto che sul suo viso non vi fossero segni visibili di stanchezza o sforzo.

Nonostante la mia presunta discrezione, lei parve accorgersi ugualmente dei miei sguardi insistenti e voltandosi mi regalò un inaspettato sorriso che mi sembrò traboccare di complicità e promesse, forse però solo per l’effetto della stanchezza e dell’ora tarda.

Dopo una buona mezz’ora di corsa velocissima della giovane, l’uomo venne nella nostra sala andandole vicino.

I due si guardarono in silenzio e io ebbi la sensazione che lei gli avesse rivolto un deciso cenno di assenso.

Nel frattempo però io mi ero dovuto nuovamente fermare per andare a prendere ancora un po’ d’acqua prima che il mio corpo arrivasse a una dolorosa sublimazione.

Quando tornai, ed ero certo non fosse passato più di un minuto, i due non c’erano più, mentre erano invece apparse di nuovo le due grosse cornacchie che, sempre appollaiate sul davanzale, sembravano guardarmi fisso.

Dopo qualche istante in quel clima da duello da film western, trovai naturale, anche se certamente idiota, fare loro un gesto di saluto.

A loro volta i due uccelli parvero rispondermi con un gorgoglio stridente che emisero in perfetta sincronia, subito prima di spiccare il volo.

Quando uscii erano da poco passate le una e la luna, adesso grande e piena, illuminava la strada quasi a giorno. Ma allora quella era veramente la notte del plenilunio?

Presi comunque a camminare ma, fatti pochi passi e nel silenzio più totale, udii chiaramente il rumore di un paio di grandi ali che si muovevano fendendo l’aria. Alzai lo sguardo e vidi quella che mi sembrò essere una delle cornacchie della palestra, impegnata in un giro leggiadro sopra la mia testa che la portò a planare sopra la mia spalla.

Dopo solo un istante l’animale si voltò verso di me e io, nello stesso tempo, feci altrettanto.

Sono certo che ora penserete sia impazzito, magari a causa della mia ormai endemica mancanza di sonno, ma nello sguardo di quell’uccello, che stava placidamente appollaiato sul mio omero, posso giurare di aver riconosciuto, senza ombra di dubbio, quello della splendida ragazza incontrata poco prima.

Così, con lei accovacciata sulla spalla, mi avviai lentamente verso casa godendomi il lieve contatto del suo becco che mi solleticava dolcemente il lobo dell’orecchio mentre, volando in alto e stagliandosi contro il pallido chiarore lunare, il suo compagno ci accompagnava con il suo sguardo complice fisso su di noi.

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