Racconto di Lori Marchesin

(Quinta pubblicazione)

 

La signora Emma camminava veloce verso il minimarket, l’unico del paese. Erano le diciannove e quindici, poco prima della chiusura, ma lei preferiva così; ci sarebbero state poche persone e avrebbe potuto chiacchierare con Marina, la cassiera. Era così simpatica, s’informava sempre della sua salute e le raccontava anche dei suoi problemi in famiglia con il padre autoritario e ubriacone e la madre, presenza inesistente.
Passò le dita fra i capelli corti e bianchissimi. Sorrise. Aveva ottant’anni, ma era ancora agile con una mente pronta come il suo sorriso che dalle labbra saliva agli occhi di un azzurro intenso contornati da una raggiera di rughe.

Entrò guardando verso la cassa1 pronta a salutare la sua amica; Marina era occupata con una cliente. In pochi minuti raccolse dallo scaffale una bottiglia di latte e un pacco di biscotti. C’era soltanto un’ altra cliente, una ragazza in jeans, capelli lunghi, neri e sporchi, occhiali e una casacca sfilacciata. Questa si diresse alla cassa due permettendo così alla signora Emma di avvicinarsi alla postazione di Marina.

“Buona sera, Marina. Lo so che è tardi, ma è l’ora ideale per non trovare gente e scambiare due chiacchiere con lei.”
Marina la guardò, sorrise ma solo con le labbra. Gli occhi avevano un’espressione cupa, un castano appannato.
“Buona sera a lei.” Disse Marina in tono sbrigativo, “Stasera non posso trattenerla per i nostri scambi d’idee. Ho dei problemi urgenti e, dopo la chiusura, dovrò precipitarmi a casa.”
“Non si preoccupi, cara. Mi dispiace solo vederla così triste e tesa. Spero possa risolvere ciò che l’inquieta.”

La porta d’ingresso si spalancò e due uomini incappucciati entrarono, ognuno impugnando una pistola. Si avvicinarono alle casse e ordinarono alle due ragazze di tirar fuori tutto il contante. La presunta cliente, la ragazza in jeans, si diresse al cubicolo del proprietario, anche lei brandendo una pistola, lo colpì’ alla nuca e disattivò l’allarme. Una rapina in piena regola: ora di chiusura, un solo cliente, minaccia ad armi spianate.
La signora Emma tremava, la mente bloccata, i capelli ritti sulla nuca, teneva il portafoglio in mano, in trance. Anche Marina era stravolta mentre con la testa china estraeva tutto il contante dalla cassa.
“Tu, svuota il portafoglio.”
Ci vollero alcuni secondi prima che la signora Emma si rendesse conto che l’ordine era rivolto a lei. Con gesti incerti estrasse le banconote subito arraffate dall’uomo incappucciato.
“Anche l’anello che hai al dito.”
“No!” Sussurrò la signora. “È il ricordo di mio marito, non posso separarmene.”
L’uomo imprecò e le puntò la pistola dritta al petto.
“Avete tutto il denaro. Lasciate stare la signora.” Marina guardava il rapinatore supplichevole, ma lui spostò l’arma dalla signora a Marina e poi ancora alla signora sibilando “Basta con le cazzate! Togliti l’anello e posalo qui. Subito!”

La signora Emma, come un automa, si sfilò la fede che fermava il solitario e poi l’anello mentre le lacrime scorrevano lungo le guance, irrefrenabili. L’uomo ficcò in tasca fede e anello; un segnale ai due compari e i tre sparirono nella notte.

Seguirono giorni interminabili d’indagini e interrogatori. La Polizia raccolse le testimonianze. L’unico indizio utile era la descrizione della ragazza in jeans, la terza complice. La descrizione era vaga: i jeans, i capelli neri e lunghi che coprivano metà volto. Gli occhiali. Nessuno ricordava dettagli più precisi che potessero essere utili per l’identikit. Le due commesse e il proprietario subirono interrogatori serrati. La Polizia aveva considerato anche la possibilità di un aiuto dall’interno ma non c’era alcuna prova, nulla. Il caso era ancora aperto pur senza grandi speranze di soluzione.

La signora Emma non andava più a quel supermercato. Aveva ancora incubi e non smetteva di pensare al suo anello, simbolo della vita felice trascorsa con il marito. Poi sentiva rimorso e senso di colpa che le annodavano lo stomaco, aveva pensato solo a salvare la pelle, si sentiva una codarda.
E Marina non c’era più. Dopo un mese dalla rapina si era licenziata e aveva trovato il coraggio di dare una svolta alla sua vita lasciando la disastrata famiglia e il paese in cerca di fortuna.
Prima di partire era andata a trovarla. Avevano parlato della rapina e la ragazza si era commossa, l’aveva abbracciata cercando di esprimere parole di conforto, ma si rendeva conto che i rapinatori avevano rubato molto più di un gioiello. Quegli occhi azzurri avevano perso luminosità, incupiti dalla rassegnazione.
“Non era prevedibile che, svuotate le casse, se la prendessero con i clienti, l’unica cliente in effetti. A quell’ora, di solito, non c’è mai nessuno.”
Marina era affranta, si torceva le mani, non riusciva a guardare quegli occhi appannati.
Si erano salutate con un abbraccio. La ragazza aveva promesso di rimanere in contatto, ma erano passati tre mesi e la signora non aveva ricevuto alcuna notizia.

Passarono altri mesi. La signora Emma continuava la sua vita, ma aveva perso ottimismo e fiducia; camminava china e con fatica. Non portava più alcun gioiello, si accarezza l’anulare nudo e sospirava.
Un mattino le fu recapitato un pacco: una scatola abbastanza grande da contenere scarpe da bambino, ma leggerissima. Prima di firmare la ricevuta al postino, aveva controllato il mittente: nome e cognome sconosciuti, provenienza Amsterdam.
Non conosceva nessuno con quel nome e non conosceva la città.
Lo rigirò tra le mani varie volte, pensando fosse un errore, forse un omonimo, ma Tamerlano non era di sicuro un cognome diffuso e di certo non in quel paese in mezzo alla campagna.
Con mosse lente, quasi timorose, ma anche tanta curiosità, tolse lo spago fermato con un sigillo, poi la carta e aprì la scatola. Dentro c’erano una scatola più piccola e ancora un’altra e un’altra.
“Di sicuro è una burla, ” sussurrò, “mi hanno mandato una Matrioska di cartone.”
Rimaneva un’ultima scatolina; sopra, in caratteri minuti, c’era scritto “Non era previsto.”
Dentro, adagiati sul cotone, c’erano la sua fede e il solitario.

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