Racconto di Silvio Fazio

(Nona pubblicazione)

 

 

Conoscete il Giardino Inglese di Palermo? È un giardino meraviglioso nel centro della città, un fiorito polmone verde, concepito nella metà dell’Ottocento, ricco di piante secolari e rare, con fontane e boschi che lasciano ancora al visitatore una sensazione di selvaggio e favoloso insieme.

Nella sua parte più esotica, ispirato al Giardino delle delizie di epoca araba, con collinette, vallate, ponticelli, grotte e aiuole, troviamo, come ogni giorno quando fa bel tempo, seduta su una panchina verde, Adele con un libro in mano. È “la sua panchina” dove da ragazza aveva ricevuto un dono d’amore.  Oggi Adele è una dolce e anziana signora. Indossa un vestito blu scuro con un largo colletto bianco. Bianchi sono anche i bottoni dell’abito, le scarpe e i guanti di merletto che lasciano trasparire il candore delle mani. La pelle del viso sembra di carta velina bianco-rosata, delicata e fragile. Sulla testa porta un cappello blu di rafia con la veletta che le nasconde un po’ gli occhi scuri. Sembra uscita da una foto dei primi del Novecento.

Adele legge, ma spesso alza gli occhi dalle pagine del libro e si sofferma a guardare la vita che le scorre intorno. Quanti personaggi negli anni hanno calpestato quei viali! Le piace osservare i venditori di gelsi freschi, che con il loro banniu ne decanta la morbidezza e il profumo. S’incanta a guardare i gesti rituali degli acquavitari, i venditori ambulanti di acqua e zammù. L’acquavitaro grida “acqua cu zammù, che bedda fridda” e poi, brocca di terracotta alla mano, con un gesto veloce disinfetta con il limone il bordo del bicchiere e vi fa scendere una piccola quantità di zammù. Come per incanto, una nuvola bianca si crea nel bicchiere appagando palato, vista e olfatto.

Adele è al corrente di tutti i segreti del giardino e anche dei suoi visitatori abituali: bambini, coppie, anziani. Da qualche tempo c’è anche un giovanotto che gira per i viali, sempre ben vestito e sbarbato, con una borsa dove tiene una raccolta delle sue poesie. Adele conosce la strategia di quel poeta: si avvicina alle persone e chiede, in modo discreto: “Vi piace la poesia? Volete che ve ne legga una? Forse ne ho scritta proprio una per voi”. E chi può dire di no? Allora estrae dalla sua borsa alcuni fogli, sceglie una poesia, la declama e poi aggiunge: “Se lo desiderate, potete conservarla come ricordo, costa solo pochi euro”. E così il giovane poeta sbarca il lunario, offrendo i suoi versi, con grazia e gentilezza, regalando un po’ di bellezza a chi lo ascolta.

Adele lo osserva, rallegrandosi con affetto per ogni suo successo. Il volto di quel giovane le ricorda un altro uomo, in un altro tempo. Oggi, col sole che al tramonto posa ancora i suoi caldi raggi, lo guarda con particolare attenzione, si sta avvicinando a lei.  Ad un tratto i loro sguardi si incrociano e lui le dice: “Vedo che ama leggere. Le piacciono anche le poesie? Posso leggergliene una? Se poi le piacesse, gradirei anche regalargliela”. Adele annuisce e si dispone ad ascoltare. Lui sceglie accuratamente dalla borsa una delle sue poesie e incomincia a leggere. A mano a mano che prosegue, si accorge che Adele si fa sempre più attenta e pensierosa. Alla fine, una lacrima scende facendosi strada tra le rughe del suo viso, il suo sguardo è lontano, così come i suoi pensieri. Dopo un momento di silenzio lei chiede: “Quando hai scritto questa poesia? Come ti chiami? Io sono Adele”.

“Mi chiamo Salvo, come mio nonno, e ho scritto questi versi non più di un mese fa, ero proprio seduto su questa panchina e mi sono sbocciati nel cuore”.

Adele è turbata, la poesia le fa ricordare con stupore il dono d’amore ricevuto tanti anni prima e gli domanda:

“Sai che cos’è una sponsa o sei troppo giovane per saperlo? Il tuo sguardo mi dice che non lo sai e quindi te lo racconto.

La sponsa era quasi un gioco che si tramandava di generazione in generazione: si raccoglieva qualche bocciolo di gelsomino e si creava un piccolo mazzo, un nuovo fiore profumatissimo che durava una sola sera. Bisognava saper riconoscere e raccogliere i fiori in boccio, quelli che si sarebbero aperti quella sera e non i giorni seguenti. Bisognava soprattutto avere pazienza e maestria nell’infilare i boccioli ad uno ad uno nell’infiorescenza di una carota selvatica, senza rovinare i fiori. Era un dono ad una promessa sposa o una dichiarazione d’amore alla propria amata”.

“È una storia bellissima!” esclama Salvo, colpito anche dal modo con cui Adele gli ha raccontato questa tradizione: aveva mosso le dita delle mani quasi a comporre il fiore invisibile e poi se l’era portato al cuore.

Salvo le porge la poesia e Adele, ancora frastornata, lentamente si alza e piano piano si avvia verso l’uscita dei giardini, con un ultimo sguardo negli occhi del giovane: Adele ha un pensiero in testa, deve arrivare presto a casa per trovare conferma al suo ricordo.

Ancora con i guanti e il cappello in testa, in camera da letto apre un cassetto del comò, prende una vecchia scatola di cartone, solleva il coperchio e le sue mani corrono ad un pacchetto di lettere, legate da un nastrino verde. Da una delle buste prende un foglio di carta piegato e scritto a mano con al suo interno una sponsa secca e fragile. Con molta attenzione apre il foglio ripiegato: è una poesia.

La legge sussurrandola, la conosce a memoria e, come ricordava, è identica a quella del giovane poeta:

 

Nell’alba affollata di nuvole

Mi soffermerò a guardare il tuo viso

Percorrerò lentamente

Il solco delle rughe.

Di ognuna conoscerò la nascita

E il pensiero che l’ha disegnata.

Da infinite lontananze

Mi appariranno improvvise e segrete.

Il tempo forse passerà inutilmente

Senza rivelarci l’uno all’altro.

O forse

Riemergerà immutata la gioia

Di incontrarsi

Come due sconosciuti

Sul far della sera.

 

Tuo Salvo