Racconto di Davide Marinaro

(Prima pubblicazione)

 

La situazione è molto semplice: non è un diario, questi siamo io e te che tentiamo di sottrarci all’abitudine che cementifica le persone a questi resti.

1200esimo risveglio a Palermo, c’è caldo. fino a qualche giorno fa c’era un cavallo da queste parti, sarà na simana che non lo vedo. Queste bestie erano tenute in diversi luoghi della zona urbana, qualcuno ne aveva un paio nella palazzina abbandonata davanti al castello. Furono i primi che incontrai e rimasi sorpreso che fossero vivi. Non capivo se nella disinvoltura smagrita di quei due ci fosse un attaccamento testardo alla vita o un sentimento di rivalsa nei confronti di un’esistenza dedicata alla ketamina e alle corse in viale Regione. Poi li vidi strapparsi a vicenda dai denti una carcassa di piccione, e tornai con i piedi per terra- mi risentii Palermo.

Quella volta uscii anch’io perché avevo fame. La questione riguardo al cibo e agli altri rifornimenti fu dall’inizio una barzelletta, ovviamente una di quelle che riconosci alla prima frase. Successe che una volta collassato tutto, si aggiudicò supermercati, magazzini, distribuzione dei rifornimenti nell’isola un’azienda che fallì il mese dopo, e nel frattempo vennero assaliti supermercati, magazzini, distributori fino ad esaurimento scorte. Ovviamente non a tutti è mancata la lungimiranza di pensare a come assicurarsi e assicurare la sopravvivenza, ma questi forse sono rimasti a casa, senza far sapere niente a nessuno. Ai tempi, superato lo shock iniziale, diverse iniziative di quartiere tentarono di organizzare la produzione e la distribuzione dei beni, ma vollero indire delle elezioni per scegliere chi dovesse coordinarle, e queste a volte neanche si tennero, perché in tutti i casi a sovrintendere si piazzarono a pie sicuro la famiglia x e quella y, che sempre camparono così, orgogliosamente come i padri e come i nonni, venerando il proprio sangue e il sacrificio a lui. In quel periodo l’asservimento diventò la noncuranza dei più.

Queste distribuzioni si confondevano con le confische, e ormai che non c’è più niente da confiscare, ognuno s’affida ai servizi che può fornire ai resti delle famiglie, oppure al proprio errare, tanto questi si ammazzano tra di loro, sono gli unici a poterne avere un motivo.

Io, ad esempio, ho un orticello in viale delle Scienze. Anche a casa ne ho uno, inizialmente spartito tra alcuni vasi, poi ho coperto il terrazzino di terriccio per arrangiarmi alla babilonese, ad ora vanno bene i cetrioli e i peperoni.

Viale delle Scienze è perfetto perché la prima penetrazione del mare nella città si è spinta fino ai cancelli dell’università, ed ora quel braccio di mare è di nuovo di acqua viva. Considerando che quella zona da anni è in mano alla vegetazione, un pomeriggio dell’anno scorso mi lasciai ammaliare dalla brezza di mare rinnovata e da un’ansa di terra sufficientemente riparata da una schiera di alberi Ceiba, lì quindi mi stesi e dormii. Mi svegliai al crepuscolo da solo, non sentivo né grida né abbai, per questo decisi di tornare quando avrei trovato dei semi di zucchine, di quelle lunghe.

Le zucchine non sono ancora pronte, ma le foglie sono carnose e senza troppi parassiti, raccolgo quelle giuste e percorro il campo sabbioso seguendo il tragitto più breve, evitando di costeggiare la riva. Di solito, prima di oggi, preferivo avvicinarmi alla battigia di fronte Porta Nuova.

Ormai il monumento assomiglia più ad uno scoglio, uno di quelli erosi al centro. Il tufo ricordo fosse giallastro in passato, ma da anni riconosco nel grigio-verde della salsedine il colorito più adatto all’arco, perché i quattro telamoni con gli occhi al cielo ora sembrano quasi veri.

Il gocciolio del lippo cresciuto sotto i loro baffi restituisce la fatica dello strazio con l’attonita prorompenza del reale, cosa che l’altorilievo contava di riuscire a suscitare senza l’aiuto dell’acqua e del sale.

Oggi mi inquieta un nuovo, e fors’anche antichissimo sospetto: è indistinta una pietra dall’altra, puoi modificarla e spostarla, ma c’è e c’era.

Noi, assunti dalla caligine che schiaccia e lascia scivolare le membra fin dove si poggiano, siamo le macerie?

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