Articolo di Francesca Coppola

 

 

Nel 2021 c’è ancora chi inneggia all’odio, chi fa delle differenze sociali, culturali, sessuali, etniche una discriminante pronta ad esplodere nell’ennesima guerra. Chi parla ad una folla ignorante elargendo pillole di amarezza come perle di saggezza. Chi non sa ancora decidere tra fare la rivoluzione o attenderla. Chi si professa meravigliato per una realtà che più non stupisce. Qui i bimbi affogano, cadono nei pozzi, subiscono violenza ma non ci tocca perché non sono figli nostri.

Essere genitori, oggi come ieri, è sempre un punto interrogativo. Anche se qualcuno pensa di poter scrivere il manuale del buon genitore, in realtà sta solo commettendo un atto di superbia. Infatti, è solo nella consapevolezza dello sbaglio che abbiamo spazio di manovra. E come? Cercando in primis di fare del nostro meglio, sapendo ed ammettendo le sfaccettature negative di ogni prospettiva. Sì, per quanto crediamo di essere dotati di ampia visuale, dobbiamo anche comprendere che non è esente da limiti. Essere saccenti o superficiali penalizza, a prescindere, ogni azione.

Per cominciare non dovremmo mai perdere di vista l’umanità, tanto citata o data per scontata e, comunque, sempre tenuta alla larga. Non siamo robot con caratteristiche impostate e ben precise senza margine di errore, né modelli da imitare con la probabilità alta di crescere futuri mostri, né tantomeno maschere da indossare allo spettacolo di turno, dove il contenuto si perde fra gli applausi telecomandati. L’umanità alla base, quindi, non come alibi per eventuali errori ma come mezzo per essere sé stessi. La sincerità e il confronto come basi, cercando di bandire ogni tipo di violenza, anche quella verbale. In un mondo immaginario mi piacerebbe predisporre i figli al dialogo, ma al tempo stesso lasciarli liberi di non parlare, se non vogliono. È difficile, non impossibile. Oggi è facile assistere alle conseguenze di critiche distruttive fatte per dare sfogo alla nostra frustrazione così come il pregiudizio, senza alcun filtro bocca-cervello. Più di tutto è pienamente visibile il risultato della paura del fallimento.

La competizione è una cosa che ci viene inculcata fin dall’infanzia. I nostri genitori, col tentativo ambiguo di spronarci, volevano a tutti costi che noi risaltassimo. Un gioco maledetto iniziato con le vicine di casa, continuato con le altre mamme a scuola e portato avanti senza una vera e propria fine, con frasi ad effetto, studiate nei minimi particolari. Tipo, nel bel mezzo di un altro discorso, quasi di punto in bianco una mamma ci tiene a far sapere che il figlio è stato selezionato tra i migliori studenti per partecipare ad un progetto importantissimo! E di rimando l’altra mamma che non intende assolutamente passare per quella da meno prosegue con la notizia, in anteprima, che suo figlio è stato contattato, tramite la scuola, per un pre – colloquio di lavoro. E si continua da una parte e dall’altra con pseudo notizie mirate solo a stupire.

  • L’altra mia figlia si sta laureando in medicina?
  • Ma non è al primo anno?
  • Eh sì! ma ha già dato quattro esami.
  • Sì sì, ricordo ancora il mio Umberto era già un genio, ad un anno appena camminava e parlava.
  • Pure il mio!

E potrebbe perdurare, così, una conversazione finta, senza alcun significato. Allora con queste prerogative come fai a crescere senza il timore, non tanto di sbagliare, quanto di deludere?

In fondo, sarebbe giusto non confondere i figli con le nostre aspettative e non imporre loro la nostra visione. Imparare o almeno tentare di conoscere il mestiere di genitore non è un argomento che può esaurirsi, anzi la bellezza é nella costante evoluzione. Posso però dire una cosa, che sapremo di avere fatto un buon lavoro quando saranno indipendenti e non avranno bisogno di noi, ma si faranno vivi solo per godere della nostra presenza, magari abbracciandoci.

_

https://www.unilibro.it/libro/coppola-francesca/non-togliermi-il-vestito/9788893820608