Articolo di Redazione

 

“Innamorarsi è bene, ma non il meglio” è una frase che va necessariamente completata e chiarita, ma che comunque deve fungere da monito per tutti coloro che vogliono scrivere.

Spesso infatti l’oggetto del processo di innamoramento coincide con il soggetto stesso, ovvero si va a costruire una storia dimenticandosi di chi legge e abbracciando solo la propria matassa narrativa e le parole che si sono scelte per srotolarla. Non sempre, però, il filo della storia arriva al lettore che deve allungarsi per cercare di cogliere i vari passaggi narrativi, per tentare di esplicitare quello che è chiaro nella testa dell’autore, ma non nelle righe visibili della storia. Tocca quindi a chi legge fare l’ingiusta fatica di capire, ma così non dovrebbe essere.

Perché però tale situazione si verifica? Perché a volte si nota che l’autore è talmente invaghito del proprio modo di scrivere che vede nella pagina lo spazio per provare dei virtuosismi, non sempre riusciti, per celebrare unioni, illecite, tra parole arcaiche, fuori dalla circolazione, solo perché gli danno un “tono”, anzi la parvenza di un tono. Questo modo egoista di procedere però fa scappare i lettori che hanno bisogno di avere, insieme alla storia, i riflettori puntati su di sé perché quella narrazione è per loro.

Proviamo a pensare: se non esistesse il pubblico dei lettori, le storie sarebbero orfanelle destinate a perire perché trascurate nei loro bisogni di attenzione e partecipazione. Quindi, cari autori, quando scrivete, non cercate di non dimenticare che potete calarvi nel ruolo di scrittori proprio perché dall’altra parte ci sono visi, cuori e menti che mostrano la volontà di accogliervi. Provate a  non scrivere in maniera autoreferenziale, per autocompiacimento perché un lettore si accorge subito se è stato estromesso dal processo narrativo. Sente immediatamente che ci sono passaggi che risultano essere meri esercizi di stile, per arrivare dove poi? A perdersi insieme, ma in luoghi diversi?

Non sono questi i patti dell’alleanza scrittura-lettura.

Lo spazio del racconto diventi dunque inclusivo perché, se ci si chiude in sé stessi, non è possibile neppure cogliere errori di costruzione, di sintassi, di ortografia, di coerenza tra le sequenze narrative.

Quando scrivete, fatelo con il cuore dell’autore rivolto al lettore e rileggete poi vestendovi completamente solo dei panni di chi sarà il vostro pubblico. Cercate di vedere le vostre parole come proiettate su uno schermo cinematografico e non lasciate la sala vuota. Solo così le storie potranno veramente vivere e non perdersi in un deserto dove non ritorna neppure l’eco delle proprie parole.