Racconto di Lori Marchesin

(RacconticonFoto2)

 

̶ Bellissimo qui, Jonathan. Una spiaggia deserta, cosa rara, una distesa blu e aggiungi quella barca abbandonata: tutto così romantico. Potrei posare là.

̶ Niente di questo, Linda. Oh, ci sarai nella mia opera, ma oggi ti dipingerò nuda sulla tela e sul tuo ventre inserirò un tatuaggio-diorama.

̶ Non capisco. E cosa è mai un diorama dentro a un tattoo? Preferisco il mare.

̶   Non ti preoccupare. Diorama è un insieme di vedute in scala; la prospettiva, il colore creeranno diverse scenografie. Ci sarà anche il mare, anche tu e molto altro.
Ora stendi le nostre stuoie sulla sabbia e poi la tela.

̶ Perché non usi il cavalletto?

̶ Lo capirai mentre dipingo e ti spiego.

̶ Dovrei iniziare con il tattoo, lo so, ma è così coinvolgente in termini di tempo, che preferisco partire con il tradizionale ritratto. Inizio con gli occhi, due cerchi ugualmente distanti. Non li riempio di colore, non voglio che mi seguano mentre traccio una linea retta per il naso, una bocca a O che respira uno sbadiglio bianco, colpi altrettanto distanziati per il collo, poi inclinazione a destra, a sinistra per le spalle. Vedi? Il viso c’è, ma il corpo è la parte difficile; le linee devono prefigurare ciò che la pelle comprime, l’architettura delle ossa, la tensione dei muscoli nel ventre, le gambe ugualmente divaricate con le dita dei piedi che solleticano l’aria. No, non ignorerò alcun dettaglio. Aggiungo ampie curve per i glutei (il rosa pesce rosso aggiungerà rotondità traslucida). Lo vedi?

̶ Per il momento vedo pennellate delineanti e rosa-rosso sui glutei, Jonathan.

̶ Aspetta! I colori verranno dopo, fanno la differenza, sono metafore di sensazioni. Sono serio, questa cosa è seria. Ora mi muovo verso l’alto, disegno due cerchi appiattiti verso l’alto per i seni, ugualmente distanziati. Sai, la simmetria è essenziale almeno fino a quando la tela giace distesa; quando è eretta, il verde dell’occhio sinistro s’inclina e i seni si piegano leggermente per gravità: dipingerò la pelle abbronzata, le ossa scricchiolano meno se avvolte in tonalità calde. Ascensionali.  Qui, sì, qui sul ventre, tatuerò il diorama. Un cerchio-buco. Chiudo un occhio, guardo attraverso la piccola apertura, dipingo un prato, più verde ed è una prateria incastonata tra vasi sanguigni, muscoli, fibre. Mi giro di lato, lentamente, guardo a destra, la combinazione di trasparenza e opacità nella pelle, nella carne e nelle ossa, crea movimento. Una montagna bianca con un’ombra magenta, un fiume che precipita sui ciottoli, più bianco e nero per i contorni in modo che non vengano spazzati via dalle bolle frizzanti; fiori, sì, orchidee e pesche e lepri che sfrecciano; qui le pennellate diventano tempestose: la sublimazione dei gigli viola, la glorificazione del sole giallo, dei bucaneve e dei narcisi, un cesto di meloni, un’aquila con il marrone terrestre sulle ali, l’odore acrilico del verde. Ora giro a sinistra, la parte più difficile. Ho bisogno di più luce; forse è solo la mia convinzione, ma tuonerò rosso per esaltare, rosso zigzagando su di te che cammini lungo la riva, alghe tra le dita dei piedi; ti giri verso l’uomo di profilo, fissi la curva dura della sua guancia, il mento in su, gli occhi chiusi. Lui si avvicina, allunghi una mano, lo tocchi, quasi.

̶ È ipnotico, Jonathan. Mi vedo, mi sento trascinata tra cielo e terra. Il mio corpo stesso è il diorama.

̶ Non ancora. Mancano alcuni tocchi, Linda. Ho bisogno di maggior luce. Giallo sole e azzurro polvere. Ora l’uomo apre gli occhi, abbagliato; ti tocca e si propagano suoni: un ruggito rosso, un ramo opale che scricchiola sotto i piedi, una risata che echeggia tra le nubi e respiri color acquamarina portano una barca a riva e io-lui ti adagia là con tenerezza.

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