Racconto di Adele Múrino
(RacconticonFoto2)

 

Passavo di là tutte le mattine per andare in ufficio, a piedi, per respirare a pieni polmoni l’aria di mare che mi dava una scossa e mi ripuliva i pensieri. Era diventato un rito da quando avevo deciso di lasciare l’auto in garage. Non mi preoccupavo più del tempo, bello o brutto che fosse: pioggia a catinelle o sole cocente andavo a piedi e passavo di là, vicino alla spiaggia. Nonostante tutti i giorni gettassi uno sguardo distratto alla spiaggia, non mi ero mai accorto di quella barca dipinta di bianco, messa di lato sulla riva, apparentemente abbandonata. Non so perché avesse attirato la mia attenzione. La osservai per un po’ da lontano poi tirai dritto fino in ufficio. Quel lunedì mi aspettavano diverse pratiche che avevo lasciato in sospeso dalla settimana precedente, impilate in bell’ordine sulla scrivania e, tra quelle, ce n’erano un  paio che avrei dovuto sbrigare con una certa urgenza. Mi gettai a capofitto nel lavoro per risolvere le questioni contenute all’interno di tutte quelle cartelline grigie. La giornata trascorse velocemente, lasciai l’ufficio nel tardo pomeriggio mentre fuori c’era ancora il sole e soffiava una leggera brezza dal mare. Quando passai di là, lungo la strada che costeggiava la spiaggia, la rividi di nuovo e fu come ritrovare un ricordo. La barca bianca era ancora al suo posto, con quella sottile linea azzurra sui fianchi di cui non mi ero accorto prima, nella stessa posizione in cui l’avevo vista quella mattina. Proseguii dritto fino a casa con quell’immagine nella mente. L’indomani mi recai al lavoro come tutte le altre mattine, camminando di buon passo e buttando distrattamente un’occhiata all’orologio per evitare di far tardi in ufficio. Ero nei pressi della spiaggia e fu allora che qualcosa mi costrinse a voltare lo sguardo. Guardai in direzione del mare e la vidi ancora là, immobile come la sera prima. Ero stupito con me stesso dal momento che non riuscivo a capire il perché provassi un’attrazione misteriosa per quella barca. Fu allora che feci una cosa bizzarra che mai mi sarei aspettato da me stesso. Scavalcai il muretto basso che divideva la strada dalla spiaggia e mi avviai sulla sabbia ancora umida in direzione del mare. Le mie scarpe di pelle scamosciata affondavano nella sabbia mentre proseguivo con andatura incerta. La spiaggia era deserta a quell’ora e ben presto raggiunsi la barca che sembrava stesse lì ad aspettarmi. Guardai il fasciame che mi sembrava in buone condizioni anche se non ero certo un esperto di barche e non ne avevo mai posseduta una. Istintivamente cercai di leggerne il nome, ci girai intorno e notai delle lettere di un rosso sbiadito che erano state tracciate da una mano malferma. Lessi la parola “SOGNO” con qualche difficoltà mentre la brezza marina mi sfiorava il viso. Ero ancora lì, immobile vicino alla barca quando vidi arrivare da lontano un uomo. “Buongiorno, sa a chi appartiene questa barca?” – gli chiesi quando fu abbastanza vicino da potermi sentire. Mi scrutò in silenzio poi rispose: “E’ di un tale…non so bene come si chiami…quello che viene qui ogni tanto… lo conosco solo di vista…”. Mentre ascoltavo la risposta di quell’uomo ebbi un sussulto improvviso. Ma cosa stavo facendo?, pensai. Ero lì con le scarpe affondate nella sabbia a parlare con uno sconosciuto di una barca quando avrei già dovuto essere in ufficio a lavorare. Dovevo essere impazzito, pensai. Lo salutai in fretta e furia e mi allontanai di corsa. Arrivai appena in tempo alla sede della società dove lavoravo e mi barricai dentro le quattro mura del mio ufficio. Avevo la mente in subbuglio, i battiti del cuore accelerati e uno strano senso di smarrimento continuava a opprimermi. Mi aggrappai disperatamente alle pratiche in scadenza, alle relazioni da completare entro la fine del mese, ai conti da far quadrare eppure…eppure dentro di me qualcosa palpitava, s’insinuava tra le pieghe della mente e mi trascinava fuori da lì. A fatica riprendevo il controllo di me stesso e quando mi sembrava che tutto fosse tornato in ordine ecco di nuovo quel guizzo, quel ricordo che mi riportava lontano. Ero seduto a bordo della SOGNO e mi allontanavo dalla riva. Manovravo quei remi come se quella fosse stata l’unica cosa che avevo sempre fatto in vita mia e guardavo la prua della barca fendere l’acqua. Ogni tanto mi arrivava alle orecchie il garrito di qualche gabbiano. L’odore di aria salmastra mi penetrava nelle narici e mi riempiva i polmoni. Quel giorno lottai con tutte le mie forze per portare a termine il lavoro e sbirciavo l’orologio sulla parete in attesa di andarmene a casa a riposare. Avevo bisogno di dormire, ero solo molto stanco e una buona dormita mi avrebbe rimesso in forma. Allo scoccare delle sei di pomeriggio indossai la giacca e schizzai fuori, scendendo gli scalini a due a due. Sulla via del ritorno avevo deciso di impedirmi di guardare in direzione della spiaggia ma una volta lì non resistetti. Cercai con gli occhi quell’imbarcazione ma la spiaggia era completamente vuota. La vista spaziava in ogni dove ma della barca nemmeno l’ombra. Quel luogo era completamente deserto, desolato, metri e metri di sabbia e di mare a perdita d’occhio. La barca era scomparsa. Non sapevo più se sentirmi sollevato o deluso da quella situazione. Tornai a casa e non pensai più a quello che mi era successo, considerandolo solo uno scherzo della mente. Passarono altri giorni, tutti uguali, ed io ero ritornato alla solita vita, casa e ufficio tranne la domenica che me ne andavo al cinema.

Era un lunedì quel giorno ed ero in ritardo. Camminavo di corsa guardando le nuvole basse e gonfie di pioggia che si avvicinavano. Fu allora che, spostando lo sguardo dal muretto alla spiaggia, la vidi di nuovo. Di colpo mi bloccai e il respiro si azzerò. Era tornata, la barca era là e mi stava aspettando. Scavalcai il muretto, la raggiunsi e non tornai più indietro.