tratto da I RACCONTI DEL POZZO

Racconto di Silvana Esposito

(16 febbraio 2021)

 

 

“Vieni! ” diceva lui. ” Subito?” Domandava stupita lei. E lui, poi spiegava, che improvvisamente era stato assalito dal ricordo dell’ultima volta. Un ricordo insidioso che gli toglieva il respiro. ” Vieni. Ti aspetto.”  Diceva con un filo di voce.  Lei si preparò velocemente e lo raggiunse.

Le aprì la porta, la prese per mano, la condusse in salotto ed esordì abbracciandola -Sai che cos’è l’erotismo delle parole? – Lei lo guardò divertita pensando a un nuovo gioco. – Le parole sono delle carezze dolcissime se vuoi dare piacere. Sono l’espressione di ciò che vogliamo donare o prenderci. – Ecco, ora prendi le mie parole. Prendile e imprigionale nella mente. Falle volteggiare, giocaci, penetrale. Falle tue, specchiati e riconoscimi. A volte non ti piaceranno e allora ricomponile, imparale, usale. Ascoltale. Sono il segno delle mie emozioni, dei miei sentimenti. Sono lo scrigno dei miei pensieri, il pentagramma del mio ritmo interiore. Prendile e riconducile ai tuoi incroci mentali, componile senza logica o dai loro il significato più aderente alla tua realtà. Le mie parole sono il segno di ciò che provo, del mio esserci. Le puoi interpretare come si ascolta una carezza. Traducile in pensieri gentili, trattale con cura. Ogni termine si fermerà un poco tra un pensiero e l’altro e farà da traino alle tue emozioni: possono diventare una diga o straripare in un fiume di sensazioni o scorrere placide come acque chiare. E ancora avvicinando il viso al suo:- Ogni gesto si traduce in parole.-

Si chinò a baciarla con una mano le accarezzò il seno. Lei prese la sua mano e la scostò e volse il viso. Il gesto fu lento, persino dolce nel diniego.

Lui la guardò sorpreso, pensava di essere stato seducente e avvicinò ancora le labbra alle sue, ancora una lei volta si scostò e lo guardò negli occhi senza esitazione. Era uno sguardo che tradiva la sensazione di una dolorosa scoperta, perché conosceva bene il potere dell’affabulazione. Era già stata ferita dal “potere delle parole” di un uomo.

Sapeva come la suadenza della voce e la persuasività potevano far breccia nel suo cuore; aveva spesso confuso questa capacità seduttiva con l’intelligenza e una delicata sensibilità.

Così pensava ritraendosi dall’abbraccio tentacolare, riflettendo sul suo passato e sulla sua infelicità. Lo guardò con intensità cercando di ricordare le sensazioni del primo incontro.

Aveva apprezzato il corpo atletico, l’abbigliamento sobrio, l’eleganza dei modi, il corteggiamento discreto, la risata aperta, le mani curate e la voce dai toni profondi.  Lui appariva un uomo sicuro di sé, maturo, risolto. Avevano parlato a lungo, ripercorrendo senza emozioni le fasi salienti della loro vita, fallimenti e successi in un accavallarsi di battute e di considerazioni condivise.

La loro anima era ancora dietro ad una porta socchiusa e lei era certa che si sarebbe spalancata quella porta per mostrare il panorama di un’intimità ancora schermata, ancora difesa.

Perché solo ora riconosceva quel vuoto? Erano state forse proprio quelle parole così calibrate, così precise, così convincenti, così poetiche a presentarle il “nulla” di un’anima ripiegata dentro sé stessa?

Per un attimo pensò al desiderio che aveva mosso i suoi passi verso l’appuntamento e ricordò perfettamente cosa le aveva procurato il sottile piacere di un improvviso bisogno d’amore: la promessa di un abbandono reciproco ai sensi, il mostrarsi nudi nei corpi e nell’anima donando se stessi con FIDUCIA.

Lo sguardo interrogativo di lui prevedeva un chiarimento alla sua ritrosia. Lei cercò affannosamente una giustificazione e … gli rivolse un sorriso. Ambiguo. – A cosa stai pensando? – Le chiese dolcemente abbracciandole le spalle. Strano come quel gesto semplice e protettivo avesse il potere di sciogliere la diffidenza che l’aveva assalita. Si aprì. E d’un fiato cominciò a esprimere quello che sentiva – Penso che mi stai chiedendo di seguirti in un gioco che conosco troppo bene. – Abbassò lo sguardo continuando: – Le parole non sempre traducono le intenzioni, i sentimenti. A volte sono usate per convincere, non per spiegare e diventano strumenti di compiacimento, si usano con ipocrisia e invece di rappresentare il pensiero celano il limite. Le parole dovrebbero essere il ponte tra una mente e l’altra, ma possono diventare barriera invalicabile tra un’anima e l’altra o addirittura manipolative. Lo guardò negli occhi con intensità e asserì: – Non mi fido del ” gioco” delle parole! – Continuò poi con dolcezza: – Ma credo nella “cura” delle parole! -Lui l’ascoltò con attenzione facendo volteggiare “quelle parole” nella sua mente. Era sorpreso. E così come mai gli era capitato, rivolse gli occhi dentro se stesso e cercò di capire quale impatto aveva avuto quel discorso. Lui che sapeva usare le parole, che sapeva dosare l’intensità e la profondità del pensiero, che riusciva a modulare il timbro della voce, che aveva imparato a toccare le corde vibranti del cuore di ogni donna, si ritrovava improvvisamente spiazzato. Era vero quello che lei aveva rappresentato in modo diretto e conciso. E si accorse di voler conoscere meglio questa donna apparentemente semplice, dai modi garbati, e dallo sguardo cangiante.

– La cura delle parole? – Domandò incuriosito. – Sì. La cura delle parole. – Ribadì, scostandosi da lui. Il discorso stava prendendo una piega non prevista lasciando ambedue attoniti. Lei era convinta di aver messo delle barriere e lui, viceversa, sentiva come la necessità di conoscere, comprendere un tema su cui probabilmente non aveva mai riflettuto. Il centro di interesse si era sorprendentemente spostato. L’incontro era motivato dal piacere di ritrovare una certa intimità fisica, magari veicolata dalla capacità dialettica di emozionare la partner, ma la conversazione era diventata interessante e il desiderio di conoscere la donna per i suoi pensieri aveva provocato in lui l’accantonamento dell’impellenza del contatto dei corpi. Stava sperimentando qualcosa di nuovo. Anche lui si sedette compostamente accanto a lei inclinando il viso per cogliere meglio l’espressione del volto della donna mentre parlava.

Non c’era una particolare ricercatezza nel linguaggio. Lei sembrava un fiume in piena, quasi a dimostrare che ciò che esprimeva era frutto di una lunga e attenta rielaborazione, di un convincimento maturato nel tempo, di un’osservazione certosina della realtà, senza leziosità, senza presunzione. – Mi hai accolto con un discorso che mi ha lasciato perplessa.  Mi hai chiesto attenzione, assoluta dedizione. Mi hai posto in una condizione di subalternità e non ti sei reso conto di aver detto ” ASCOLTAMI e lasciati guidare”. Ebbene desidero ascoltarti e desidero conoscerti, ma deve esistere reciprocità. Ora tu prenderai le mie parole e le interpreterai, ma rischi di farlo erroneamente, perché non abbiamo un codice di comunicazione comune. Ti porto i miei convincimenti senza pretendere di essere compiutamente compresa, perché so che ogni termine rinvia a una propria costruzione mentale… –

Lui non lasciò che completasse il discorso perché si sentì giudicato nelle intenzioni, quelle che nemmeno erano svelate a se stesso, quelle che risiedono nella zona più oscura della coscienza e che rispondono al proprio bisogno narcisistico di sedurre. Aveva l’assoluta necessità di giustificarsi a suoi occhi. Con tono contrito e offeso -Non credi che la naturalezza del nostro piacerci sia stata così straordinaria da consentirmi di giocare senza pormi troppe domande? Tu hai travalicato il senso delle mie parole, hai percepito un’intenzionalità che non avevano. Avrei voluto soltanto che conoscessi il piacere dell’astrazione dialettica, di quell’erotismo che prende corpo dalla vibrazione delle parole. Avrei voluto accarezzarti con la poesia dei pensieri per sublimare il piacere del contatto epidermico, come in un cambiamento di stato: da una dimensione a un’altra. Perché vuoi attribuirmi un bisogno che non ho? Perché sei così convinta che il mio dire sottenda a un ego trabordante, a un’incontenibile volontà di potenza, a un bisogno di autoaffermazione? –

Lei guardò spaventata. Prese la borsetta e si alzò di scatto. Quell’ultimo discorso identificava ancor meglio la personalità dell’uomo.

Si era sbagliata ancora una volta. – Scusa, debbo andare!- Disse con un filo di voce avviandosi  alla porta d’ingresso. Lui la guardò andar via sorpreso. Non capiva. Alzò una mano come a scacciare un’idea e, rivolto alla donna ormai assente, accompagnò il gesto con un rabbioso ” Ma vaffanculo!”