Racconto di Filippo Rigli

(Ottava pubblicazione)

 

Era rimasto sveglio tutta la notte, di nascosto, a fissare i numeri rossi della sveglia digitale, facendosi i pizzicotti sulle guance, che erano diventati rosse quasi come i numeri. Aveva solo potuto contare il passare dei minuti, senza neanche poter leggere una storia o ascoltarne una con le cuffie, perché si sarebbe addormentato subito, lo sapeva, gli capitava sempre, e quella sera non poteva addormentarsi, quella sera aveva una missione. Quando mancava poco più di mezz’ora decise che era ora di andare e sgusciò fuori dalle coperte, rabbrividì per il freddo, perché di notte il riscaldamento era basso, ma si sfilò comunque il pigiama e lo piegò sulla sedia come gli aveva insegnato la mamma, anche se secondo lui piegare i vestiti era una cosa da donne, e mise i jeans e la felpa con il cappuccio, perché mica poteva andare in missione in pigiama, poi si infilò i piccoli stivali da cow boy intarsiati che gli aveva regalato il nonno, perché lui era un cowboy, e il suo nome era Joe. Questo lo sapeva solo lui e qualche suo amico dell’asilo, perché i grandi lo chiamavano Giovanni, ma a lui non piaceva, perché Giovanni mica era un nome da cowboy, lui era Joe e basta, e quella notte aveva una missione. Gli stivali erano duri e le pantofole sarebbero state più comode, ma non andavano bene, in nessun film coi cowboy che guardava con il nonno ne aveva mai visto uno in pantofole, i veri uomini avevano gli stivali, e i cowboy erano i più veri uomini di tutti, e lui era un cowboy. E poi Joe odiava le scarpe, e odiava quella maestra che gli voleva insegnare ad allacciarle, e lo prendeva in giro davanti ai suoi amici, era cattiva, anzi era proprio una stronza, anche se non si diceva, e poi a lui che gli importava di allacciarsi le scarpe, lui aveva gli stivali. Prese la torcia elettrica e se la infilò in tasca, anche quella era un regalo del nonno, il nonno regalava cose utili, la sapeva lunga, era anche lui un cowboy, un cowboy vecchio e coi capelli bianchi, e gli faceva vedere i film del West, mica come le maestre e il babbo e la mamma che volevano sempre fargli fare le cose noiose. La accese per controllare che funzionasse, la spense e aprì piano la porta. Fuori il corridoio era buio, ma lui del buio non aveva mica paura, si disse.  Puntò la torcia per terra e la accese e avanzò piano, circondato dal buio che aveva deciso di non temere. Il primo pericolo era la camera di babbo e mamma, perché se lo beccavano in giro di notte vestito erano capaci di rimetterlo a letto e pure di dargli una bella sculacciata, e Joe a letto non poteva mica starci, non quella notte. Perché quella era la notte della Vigilia, e Joe doveva incontrare Babbo Natale. Era quella la sua missione. Arrivò davanti alla camera matrimoniale, spense la torcia, si fermò. La porta era socchiusa, era un buon segnale, perché quando babbo e la mamma chiudevano la porta voleva dire che erano svegli, e si sentiva il rumore attraverso le pareti e il letto cigolava, Joe lo sapeva come mai, perché il babbo e la mamma giocavano a fare la lotta. Ma con la porta socchiusa voleva dire che dormivano. Tese l’orecchio, e sentì il babbo russare. Passò oltre e riaccese la torcia e arrivò in cima alle scale, poi la spense di nuovo, non serviva più, perché la luce dell’albero di Natale illuminava a intermittenza il salone in fondo alle scale di luce blu. A Babbo Natale sarebbe piaciuto il loro albero, pensava. Si tenne al corrimano per paura di scivolare e scese le scale piano, per non fare rumore con gli stivali. Appena arrivato si strinse nella felpa, il riscaldamento era spento, tanto erano tutti a dormire, e pure il caminetto dove il nonno faceva le caldarroste, era un buco nero nella parete. Ogni tanto la notte ci mettevano una grata davanti e lo lasciavano acceso, ma quella sera non si poteva, perché Babbo Natale passava da lì, quando arrivava, scendendo giù dal comignolo. Ma non era un ciccione, Babbo Natale, e come faceva a passare dal comignolo, aveva chiesto Joe al nonno, mentre in giardino guardava la canna fumaria sul tetto. Mica poteva passare dalla finestra come i ladri, o arrampicarsi sulla corda come quei pupazzi brutti che giù in paese la gente appendeva ai balconi. Ma il nonno aveva risposto che Babbo Natale era magico, e allora per scendere nel camino avrebbe trovato il modo, avrebbe fatto una magia. Si avvicinò alla finestra e vide il giardino vuoto e bianco di brina e gli alberi sbattuti e sentì che il vento fischiava forte, doveva essere proprio freddo fuori, pensò, tocco il vetro spesso e era gelato, ritrasse la mano e se la ficcò nella tasca della felpa. Guardò su nel cielo per vedere se avvistava la slitta volante, ma non la vide, in cielo c’era solo qualche nuvola e il vento le faceva correre, e le nuvole passavano dietro la luna. Mentre guardava il cielo lo stomaco brontolò e lo riportò a terra, e allora andò alla zitta in cucina. Alla luce della torcia mise una sedia appoggiata alla credenza e ci salì e tirò fuori il pandoro avviato, lo poggiò sul tavolo, tirò fuori di tasca il coltello a serramanico e lo fece scattare. Anche quello era un regalo del nonno, e aveva una testa di cavallo incisa nel manico, e il nonno gli aveva detto di non dire niente del coltello al babbo e alla mamma, perché glielo avrebbero tolto, e un uomo doveva avere un coltello, diceva il nonno. Soprattutto un cowboy, rispondeva Joe. Il coltello era affilato e Joe si tagliò una fetta di pandoro bella grossa, e mangiò in fretta la parte interna, quasi senza masticare, e poi attaccò quella esterna, carica di burro e di zucchero a velo, che era la parte migliore, la sua preferita, e la masticò piano, per gustarsela. Quando l’ebbe finita si pulì la bocca e le mani con un tovagliolo di carta e chiuse il coltello e se lo mise in tasca, rimise il pandoro nella credenza e la sedia vicino al tavolo. Tornò nel salone illuminato dalla luce intermittente dell’albero e si nascose dietro il divano, che era davanti al camino, e da lì aveva una visuale perfetta. L’orologio a muro ticchettava piano. Joe lo guardò, non lo sapeva leggere, ma sapeva che quando tutte e due le lancette erano sul dodici era mezzanotte. Mancava poco. Faceva un pochino freddo, e allora si allungò oltre lo schienale del divano e tirò via il plaid di lana e ci si avvolse. Era teso, ma i minuti che passavano annacquarono la tensione, e allora la mente del cowboy partì al galoppo per le praterie della fantasia e dei ricordi, e la stanza si riempì di immagini così vivide che poteva guardarle proiettate sul soffitto come in un cinema, ma le immagini pesavano sulle palpebre e rischiavano d chiudergli gli occhi, anzi, un pochino per volta cominciavano già a chiuderglieli, perché l’ora era tarda e lui era un cowboy che andava a letto presto, anche se non voleva, e il sonno cominciava a pesare. No, si disse, non poteva addormentarsi, non poteva mica, perché se no poi gli sarebbe toccato aspettare l’anno venturo, e chi aveva voglia di aspettare un altro anno, un anno era lunghissimo, il tempo non passava mai. Allora si dette uno schiaffo e poi un altro, e si fece un pizzicotto a una guancia, strinse forte fino a farsi male, e quando lasciò la presa il dolore lo aveva abbastanza svegliato, ma non era per nulla sicuro, temeva non bastasse, e allora pensò di andare in bagno a sciacquarsi via il sonno dagli occhi con l’acqua fredda, come faceva la mattina appena alzato. Si tirò su fuori dalla coperta, aveva le gambe addormentate, si stirò. Ma prima che avesse mosso un solo passo la campana del paese, in lontananza, prese a rintoccare. Si voltò verso l’orologio e vide che le lancette erano allineate sul dodici. Non fece in tempo a contare i primi rintocchi, ma era sicuro, era mezzanotte, e si riaccucciò dietro il divano. I rintocchi suonavano lenti, portati dal vento. Il sonno era svanito di colpo. Ora poteva solo aspettare. Sentiva solo il ronzio della corrente dell’albero, il ticchettare dell’orologio, il battito del suo cuore nelle orecchie. Aspettò fino a che la lancetta più lunga non arrivò sul cinque. Poi la delusione dilagò. Babbo Natale non sarebbe venuto. Forse neanche esisteva, come dicevano i bambini più grandi all’asilo che lo prendevano in giro, che gli avevano detto che era il babbo, di nascosto, a mettere i regali sotto l’albero. Era davvero solo una bugia Babbo Natale, una di quelle bugie che dicono i grandi per prendere in giro i bambini allora. Gli occhi gli si riempirono di lacrime, ma lui tirò su col naso e se li asciugò con la manica della felpa. Non avrebbe pianto, gli uomini non piangevano, figuriamoci i cowboy. Si sarebbe consolato con un’altra fetta di pandoro, ci voleva proprio, e poi sarebbe andato a dormire, così il babbo avrebbe potuto mettere i regali sotto l’albero. Si alzò, ma non fece a tempo a fare un passo che qualcosa che volava in cielo passò davanti alla porta finestra. Era grosso come una macchina, non poteva essere un uccello. Poi sentì un rumore provenire dal camino. Si nascose di nuovo dietro il divano, spense la torcia. Alla luce dell’albero vide della fuliggine che cadeva sul braciere. C’era qualcosa sul tetto, e stava per calarsi dalla canna fumaria. Il rumore aumentò. Possibile che il babbo e la mamma non si sveglino, pensò Joe. Forse è una magia davvero, e i grandi non possono sentirla, forse è per questo che non ci credono. Una luce verdognola, che sembrava fumo denso scese giù dalla canna fumaria e prese a spargersi per il salone. Era strana, pareva viva. Poi ci fu un lampo, improvviso, come il flash della macchina fotografica, ma più forte, che quasi lo buttò a terra. Quando Joe, stropicciandosi gli occhi, riprese a vedere, c’era un omino, alto forse venti centimetri, che dal braciere scendeva in salone. Era così grasso che pareva tondo, vestito di rosso, con la barba bianca, e portava in spalla un sacco nero. Zampettò nella stanza e si diresse verso l’albero. Si strinse il naso e soffiò, ci fu uno schiocco come lo stappare di uno spumante e l’omino divenne di colpo di dimensioni normali. Posò il sacco a terra con un tonfo pesante e prese a frugarci dentro. Era lui. Quello che portava ferro e carbone ai bambini che decideva avessero fatto i cattivi, poi li rapiva e li portava nelle miniere a costruire i giocattoli, schiavizzati, frustati e torturati dagli elfi, portati via dalle famiglie, spariti, dimenticati per sempre. Era vero, glielo aveva raccontato il nonno. Mai più, si disse Joe, mentre usciva da dietro il divano. Era tempo di fare giustizia. Questo è per voi, fratelli, disse a bassa voce, mentre si avvicinava al demonio che gli dava le spalle, chino sul sacco. Fece scattare il coltello, il ciccione alzò la testa, ma era troppo tardi. Fuori, lontano, un cane abbaiava. Le stelle, nel cielo, erano punte di spillo.

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