Racconto di Mike Papa

  (Settima pubblicazione) 

Achille posò sul tavolo della cucina le quattro sporte piene.

«Ho incontrato Giulio, al supermercato. Abbiamo parlato un po’», disse ansante.

Sua moglie Enza lo guardò perplessa: «E…?»

«L’ho visto molto giù. Più del solito, intendo.»

Adesso Enza era allarmata: «Non dirmi che…»

«Ebbene sì, confesso: l’ho invitato per domani sera.»

La donna fece un gesto di stizza: «Lo sapevo! Come hai potuto?»

«Ma ci mancava il…»

«Sì, ma lo sai che non li digerisco, quelli come lui.»

«Credevo ti fosse passata.»

«Invece per niente!»

«Mi ha fatto pena. La moglie l’ha lasciato, al lavoro non lo cagano di striscio… Il solito sfigato, insomma.»

«E hai pensato bene di farlo venire qui per festeggiare l’ultimo dell’anno. Sai che allegria. Tutta quella sua negatività… rovina tutto.»

«Ok, non mi va di litigare. Mi ha lasciato il numero, adesso lo chiamo e invento qualcosa per…»

Enza si addolcì: «Ma no, dai… me lo farò piacere.» Poi ebbe un ripensamento: «Ma… gli altri? Sei sicuro che piacerà anche agli altri? Non vorrei proprio rovinare il primo Capodanno che organizziamo noi. Lo sai che ci tengo a fare bella figura. Gli anni scorsi sono stata così bene…»

«Be’, oddio, quello da Claudio non è stato poi un granché. Te lo ricordi?»

Lei sbottò in una risata: «Potrei mai scordarmelo? Quella poverina di Ester era così imbarazzata! E quando Luca ha vomitato?»

«La cavne eva cvuda e il vino vosso tvoppo fovte», disse lui esagerando la erre moscia del loro amico. Questo fece ridere ancora con più gusto Enza. Lui si rincuorò: «Allora procediamo?»

«Ma sì! L’importante è cucinare a dovere e lo sai che in questo…»

«Nessuno ti batte!»

Le si avvicinò e la baciò, passandole una mano sul seno abbondante.

«Non c’è niente dentro quelle sporte da mettere in frigo?», chiese lei già eccitata.

«Niente che non possa aspettare», rispose lui prendendola in braccio e dirigendosi verso la camera da letto.

 

Prima di suonare il campanello Giulio si pulì gli occhiali, aggiustò il fiocco rosso sulla confezione di Chivas e sistemò il nodo della cravatta. Erano le quattro di pomeriggio, presto per il cenone, ma l’invito era per quell’ora e quindi così sia. Magari ai padroni di casa serviva una mano in cucina o per imbandire la tavola. E lui l’avrebbe data volentieri, grato com’era ad Achille per avergli evitato di passare la notte dell’ultimo dell’anno da solo, chiuso in casa con l’unica compagnia della bottiglia di whisky a cui, ne era sicuro, avrebbe attinto con sempre crescente avidità. E non gli interessava se l’invito fosse giunto dopo il suo frignare infantile, dopo aver scaricato su Achille la sua frustrazione e la sua incapacità.

Dopo, diciamola tutta, aver fatto pena al suo interlocutore.

Quando finalmente si decise a suonare gli venne ad aprire Enza in tenuta da cuoca, che lo salutò con gioia e lo fece accomodare, lo ringraziò per il regalo e gli fece togliere il cappotto. Lui si guardò intorno, non vide nessun’altro e domandò: «Sono il primo?»

«No, sarai il secondo», sentì dire alla sua sinistra prima che Achille gli fracassasse la testa con un martello.

Portarlo nello scantinato non fu uno scherzo, aveva messo su qualche chilo di troppo, ma una volta sistemato sul tavolo di marmo tutto filò alla perfezione. Achille era bravo come macellaio e sezionò i tagli migliori con scioltezza, mentre Enza, su in cucina, preparava verdure e intingoli vari, mettendoci tutta la sua perizia e la sua passione.

Ci teneva sul serio a fare bella figura con i loro amici cannibali.

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