Articolo di Redazione

 

Succede che, quando entriamo in una storia, inconsapevolmente stringiamo un patto con il narratore, un patto di fiducia che ci porterà a credere a tutto ciò che incontreremo nella sua narrazione e soprattutto a non ribellarci alla fine che deciderà di assegnare al racconto.

Queste sono le due semplici clausole a cui diciamo sì nel momento in cui iniziamo a leggere: quando la nostra volontà decide che quella storia va letta e goduta, in quello stesso frangente compare la nostra firma su un contratto invisibile inserito prima di ogni singola narrazione. Non possiamo sottrarci a ciò, anzi deve essere tutto ben chiaro. Dunque niente musi lunghi alla fine di un racconto se esso non si è concluso come ci aspettavamo, niente angoli in giù della bocca perché il lieto fine non era tra i piani dell’autore, niente vane proteste perché quella storia letta poteva finire diversamente. Tanto valeva allora metterci alla prova in prima persona e dar vita a ciò che avremmo voluto, passando dal condizionale all’indicativo.

La lettura è parente, a nostro avviso, dell’operazione di traduzione: quando leggiamo o traduciamo, ogni parola viene “tradotta” nella nostra mente come immagine e, sequenza dopo sequenza, entriamo pienamente nella storia arrivando però, a volte, superbamente a dettar legge, pretendendo un finale su nostra ordinazione. Ma ciò non è possibile e soprattutto viola un elemento fondamentale per le operazioni di lettura e di traduzione: il rispetto. Quando ci inoltriamo in un testo altrui, dobbiamo farlo a piedi nudi e puliti per non sporcare, lasciando da parte i vari desiderata e affidandoci a ciò che l’autore ha pensato e scritto. Non si può piegare la storia secondo ciò che ci piacerebbe, non è un elastico a cui dare la nostra forma, ma un quadro da ammirare, già pronto per offrirsi al pubblico. Poi dopo aver letto e fruito della narrazione, dell’opera appunto, possiamo riflettere, raccogliere le nostre sensazioni, chiederci quali impressioni ci sono rimaste addosso, ma solo alla fine, senza aver invaso lo spazio riservato al racconto o alla poesia, a qualunque testo sia frutto di una mente che non è la nostra e vuole offrirsi agli altri per essere conosciuta.

Leggere è un esercizio fondamentale per capire le differenze, per conoscere noi stessi, per non essere sempre con il dito puntato per giudicare. Chi legge si allena ad attendere le parole dell’altro, a dar loro valore, a seguire il filo che il narratore gli ha teso per compiere il viaggio della narrazione insieme. La meta però è quella decisa da chi scrive, non da chi legge.

Alleniamoci quindi a leggere per non far spegnere la fiducia e anche la meraviglia che la mente umana, nonostante tutto quello che ci circonda, sa ancora creare.