Articolo di Carlo Pontorieri

 

 

Diceva un mio zio non napoletano, ma che aveva studiato al Genovesi:

“La felicità è camminare per Spaccanapoli, con nella mano destra una pizza fritta con la ricotta, nella sinistra una pizza fritta con le scarole. E dividersi tra l’una e l’altra”.

Ma anche senza pizze fritte tra le mani, camminare per Spaccanapoli significa godere ad ogni passo di un profluvio di suoni, di colori, di odori, di luci, di storia e di leggende.

Stamattina la lapide a “Je te voglio bene assaje” faceva da preludio a una piazza del Gesù inondata dal sole, e l’afa della giornata si stemperava con la brezza che vola in ogni stagione tra San Martino e i Tribunali, rimbalzando tra le volte di Santa Chiara, per uscire a salutare Croce, un pensiero a donna Lionora, e poi prendere un caffè alla Casina di Palazzo Venezia, mescolandosi infine a un’infinita teoria di babà che occhieggiavano da una vetrina, il cui profumo sorpassava di slancio ogni pur efficace FP2.

A un certo punto tre ragazzi che parlavano spagnolo sono usciti da una di quelle botteghe, salutati da un “E sempre forza Barca!” del titolare: evidentemente per ospitalità e gratitudine, e per quella forma di socialità napoletana, a volta un po’ azzeccosa e che a qualcuno dà fastidio, e che a me sembra invece il marchio  della grazia di questa città.

Loro però rispondono:

  • No, no Barca…
  • Siete madridisti? Mi dovete scusare – si mortifica l’esercente – ma io sono un po’ tifoso del A me mi piace ‘o Barcellona, fin da piccolo…
  • ¡Para nada! ¡Forza Nápoles! Fuerza Diego… somos argentinos! ¡Vamos Argentina! E vanno via Le strade di Napoli sono sempre un po’ un teatro. E un nodo nell’anima infine si accompagna svoltando per

Mezzocannone, tra i ricordi dell’università che fu e per il congedo da quel palcoscenico e dalle sue persone.

A me piace Napoli ai primi d’agosto: senza traffico e senza frenesia. Quest’anno sono tornati finalmente i turisti, e non era scontato.