Articolo di Liliana Vastano

(20 giugno 2021)

 

Sarebbe bello se, di tanto in tanto, abbandonassimo i panni del turista frettoloso e indossassimo quelli del viaggiatore. Potremmo, in tal modo, cogliere al meglio l’essenza dei luoghi, le storie impresse nelle antiche pietre, i profumi portati dal vento. Ed è con questo spirito che, in una sera d’estate, andiamo a Carini a visitare il castello, incuriositi dalla “storia dulurusa” che, da cinquecento anni, continuiamo ad ascoltare dai cantastorie. Percorriamo a piedi la strada che dal centro del paese va su, il sole è calante ma ci consente ancora di ammirare le acque del Golfo di Carini e l’isola di Ustica. Il vento ci porta il profumo delle zagare, ci sembra anche di sentire il rumore degli zoccoli del cavallo de “lu bellu cavaleri che passa e spassa attornu a lu casteddu”.Arriviamo finalmente a destinazione quando già le ombre della sera avvolgono tutta la rocca creando un’atmosfera magica e inquietante che ci accompagnerà per tutta la visita. Il castello, che ci appare in tutta la sua maestosità, nacque come torre di avvistamento dei nemici durante la dominazione araba. In epoca normanna furono gettate le basi che trasformarono la torre in un castello vero e proprio che divenne proprietà dei baroni La Grua Talamanca feudatari del luogo. Nel XVI secolo il barone Vincenzo la Grua Talamanca sposò la quattordicenna Laura Lanza di Trabia figlia del potentissimo don Cesare Lanza. Non fu un matrimonio felice: Donna Laura si stancò ben presto del marito e iniziò una relazione con Ludovico Vernagallo un nobiluomo di rango sociale inferiore. Il tradimento, in poco tempo, divenne di dominio pubblicò e fu a questo punto che si consumò la tragedia che si ricorda ancora oggi:
“Chianci Palermu, chianci Siracusa
a Carini c’è lu luttu ad ogni casa…
Cu’la purtau sta nova dulurusa
mai paci possa aviri a la so’ casa…”
Entriamo nel castello illuminato da luci soffuse per ricreare l’atmosfera dei tempi antichi, vediamo la doppia cinta muraria, le porte ad arco ogivale, torri, merli e pinnacoli ma possiamo accedere liberamente solo nell’ala cosiddetta privata, teatro della storia d’amore tra Donna Laura e Ludovico Vernagallo. Da un loggione merlato si vedono sia il mare che la strada che porta al paese e pensiamo che, proprio da qui la Baronessa abbia capito di essere in grave pericolo:
“Viu viniri na cavallaria
chistu è me patri chi veni pi mia
tuttu vistutu alla cavallarizza
chistu è me patri che mi veni ‘ammazza”.
Secondo le leggi dell’epoca, infatti, non solo un marito tradito poteva uccidere la moglie ma anche il padre di quest’ultima poteva farlo per riscattare tutta la famiglia dal disonore. E così fece don Cesare Lanza Barone di Musumeci.
La visita prosegue nella Cappella e nelle altre stanze private e finalmente arriviamo in quella più famosa dove l’impronta di una mano insanguinata resiste da cinquecento anni:
“Signuri patri, chi vinistu a fari?
Signura figghia, vi vegnu ammazzari…
Lu primu colpu la donna cariu
l’appressu culpu la donna muriu.”
Secondo la leggenda, il quattro dicembre di ogni anno, anniversario della morte di Donna Laura, l’impronta della mano sbiadita si colora di rosso.
La visita al castello si avvia alla conclusione, l’emozione ci ha coinvolti tutti. Fuori ci avvolge la notte ormai calata da un po’, non possiamo fare a meno di guardare le stelle e di cercare “la megghiu stidda chi rideva in celu, la megghiu stidda di li Serafini, povira Barunissa di Carini”.