Articolo di Doris Bellomusto

 

Cerco un riparo e non c’è. Cerco un rifugio che sia così capiente da accogliere le paure e le incertezze di tutti. La guerra è tornata a un passo da noi e siamo sbigottiti e attoniti, come lo sono gli animali nel bosco quando ascoltano il passo eccitato dei cacciatori.

Non la conosciamo la paura, la sentiamo appena e ci spaventa da lontano, dimentichiamo la guerra ogni giorno e ce ne ricordiamo quando è tardi.

Eppure ogni giorno ognuno fa guerra a modo suo; dichiariamo guerra continuamente ai boschi, al mare, al cielo, all’amore, generiamo piccole azioni nocive e mortali e non sappiamo più nutrirci di bellezza. Ci domina da sempre l’idea della forza e del possesso e ogni scelta è orientata dall’idea di dover difendere il nostro piccolo perimetro. Misuriamo il benessere in base al PIL. Non è questa la strada, stiamo percorrendo la via già nota, ci porterà nel vicolo cieco di sempre.

Ci arrendiamo all’idea che debbano governare gli uomini forti, non ascoltiamo i filosofi, non leggiamo i poeti. Ci affidiamo a Dio, al governo, all’ONU, alla NATO, all’UE. E chi vogliamo essere e come vogliamo che sia questo mondo piccolo non ce lo chiediamo più. La pace è faticosa, si costruisce attimo per attimo. Non voglio santi né eroi, voglio soltanto uomini e donne in grado di riconoscere per tempo la banalità del male.  Non mi meraviglia questa guerra. È ingiusta come tutte le guerre. Le dinamiche geopolitiche non mi interessano, cuori puliti avrebbero generato dinamiche diverse o avrebbero saputo riconoscere queste dinamiche quando si poteva mutarle.

Io non so pregare e non voglio, perché non credo in dio, credo negli uomini di buona volontà. Oggi farò spazio al cielo nel mio sguardo e il cielo non conosce confini.

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