Articolo di Liliana Vastano

 

Archiviata da un pezzo la “villeggiatura” di goldoniana memoria, finite anche le “vacanze anni ‘60” figlie del “Miracolo economico”, noi italiani ci rechiamo in “ferie” prevalentemente nelle due settimane a cavallo di Ferragosto. È facile immaginare, quindi, che, qualunque sia la nostra meta, ci sarà troppa gente a farci compagnia. Fortunatamente, il nostro bel paese conserva ancora luoghi turisticamente poco frequentati, a volte anche spopolati, che consentono, però, di vivere almeno per un po’ in un’altra dimensione, luoghi che conservano ancora tracce di un tempo lontano e di una cultura millenaria.

“M’accompagna lo zirlìo dei grilli

e il suono del campano al collo

d’una inquieta capretta.

Il vento mi fascia di sottilissimi nastri d’argento

e là, nell’ombra delle nubi sperduto

giace in frantumi un paesetto lucano.”

Questi versi di Rocco Scotellaro sono ideali per accompagnarci nei paesini del versante lucano del Parco Nazionale del Pollino. Qui pastori e casari vivono e producono ancora alla vecchia maniera, troviamo anche gli artigiani della zampogna il cui suono rallegra sempre i fuochi di montagna. Le donne ancora cucinano la pasta con la mollica, piatto povero per eccellenza nonché il “grattonato” a base di trippa, tanto caro a Federico II che spesso qui sconfinava dalla vicina Puglia. Ai balconi sono appese in quantità serte di peperoni cruschi di Senise, sparsi qui e là troviamo rovi di more, siepi di rosa canina, piante di eucaliptus. Non è raro ammirare il volo dell’aquila reale che volteggia in prossimità degli ovili per razziare agnellini e caprette. Ma non ci possiamo accontentare solo dei paesini, dobbiamo salire in montagna per ammirare i famosi pini loricati il cui habitat in Italia è solo in queste zone. Scegliamo un percorso meno ripido ma più lungo, tanto non abbiamo fretta e ci fermiamo spesso ad ammirare la vegetazione: abeti, faggi, aceri, fiori selvatici in quantità. Per un tratto ci accompagna anche il suono delle campane della Madonna del Pollino, vicinissime in linea d’aria, incrociamo anche un cane pastore che abbaia ma, fortunatamente, ci lascia andare, sempre meglio di un cinghiale. Dopo circa tre ore di cammino, cominciamo a vedere i primi pini, siamo quasi arrivati alla Grande Porta. Dopo pochi minuti si apre ai nostri occhi un giardino naturale con gli esemplari più sontuosi e vetusti di Pino loricato, l’aria è tersa, si ode il fruscio del vento, all’orizzonte ampie vallate e monti azzurrini. La visione d’insieme ci lascia senza parole. Ci fermiamo per fare colazione, facciamo due chiacchiere con dei ragazzi che sono venuti a cavallo da San Severino. Ci riposiamo un po’ poi iniziamo a scendere, non conosciamo bene questa montagna meglio essere prudenti. Diamo un ultimo sguardo a questo luogo magico Che dire? Questa per noi non è la Grande Porta del Pollino ma la porta del Paradiso.