Articolo di Alessio Torelli

 

Fëdor Dostoevskij

11 novembre 1821, Mosca, Russia

9 febbraio 1881, San Pietroburgo, Russia

 

Ero in aeroporto ed ero in anticipo, ma non avevo niente per passare il tempo durante il volo. Il mio amico mi aveva consigliato di leggere un certo Dostoevskij. Anche se non ne sapevo niente, già dal nome mi appariva pesante, mi veniva alla mente un’incudine vecchia e polverosa rinchiusa da anni in una soffitta.

Ma c’era una libreria e ho preso “Le notti bianche”, forse solo per darmi un tono da intellettuale con me stesso.

E da quel giorno si è aperto un mondo e sono andato avanti a leggere le sue opere. Ma ancora ne ho di strada da fare, perché Dostoevskij …si, è difficile e a volte pesante. Lo ami, ma fa male, è l’autore del magone al cuore, della riflessione interiore più profonda, non riesci a leggerlo tutti i giorni.

Avete presente quell’emozione che si prova quando ci si identifica col personaggio di un libro? Quando ti senti scavare dentro fino in fondo, quando senti che qualcuno sta tirando fuori da un pozzo i pensieri che avevi cercato di nascondere agli altri e a te stesso?

E allora sì, io voglio scavare e tirare fuori tutto quello che sono.

E a chi mi dice che sono triste perché lo leggo, rispondo che sono triste perché sofferente, perché voglio scavare nel mio cuore, nel mio inconscio e in tutto ciò che c’è da conoscere su di me.

Mettiamo da parte la paura e prendiamo Dostoevskij per mano, lasciamo che ci accompagni per le strade di San Pietroburgo alla ricerca di noi stessi, in questo affannoso cammino che durerà tutta la vita.

Facciamolo tutti! Non sappiamo se avremo il coraggio di arrivare fino in fondo, ma prendiamo quella pala e scaviamo, non smettiamo mai di farlo, anche quando il sudore si confonderà con le lacrime sul nostro viso, non smettiamo mai di porci delle domande. Forse saremo tristi, ossessivi, ma pensanti. Forse avremo provato a dare un senso al tutto, forse avremo amato di più la vita di chi le domande non se le è mai poste o non se le pone più.

Oggi ricorrono duecento anni dalla sua nascita e allora: Auguri Dostoevskij, e grazie di tutto!

 

Da Delitto e Castigo:

«Dove mai ho letto che un condannato a morte, un’ora prima di morire, diceva o pensava che, se gli fosse toccato vivere in qualche luogo altissimo, su uno scoglio, e su uno spiazzo così stretto da poterci posare soltanto i due piedi – avendo intorno a sé dei precipizi, l’oceano, la tenebra eterna, un’eterna solitudine e una eterna tempesta –, e rimanersene così, in un metro quadrato di spazio, tutta la vita, un migliaio d’anni, l’eternità, anche allora avrebbe preferito vivere che morir subito? Pur di vivere, vivere, vivere! Vivere in qualunque modo, ma vivere!… Quale verità! Dio, che verità! È un vigliacco l’uomo!… Ed è un vigliacco chi per questo lo chiama vigliacco.»