Racconto di Giuseppe (Joe) Bonato

(Quinta pubblicazione)

 

Continuo a salire tenace…
La giornata è calda; un caldo ovattato. Mi asciugo la fronte.
Sono solo in quest’ascesa e devo raggiungere la vetta, prima che il vento cambi direzione spirando in basso, prima che faccia buio, per approntarmi il riparo della notte.
So che l‘obiettivo che mi sono prefisso è arduo e ho bisogno di molto coraggio.
Penso tra me: “Forza! Ancora una ventina di metri più in alto e andrà meglio, lassù dietro quello sperone di roccia dovrei trovare un po’ d’ombra e tutto il coraggio che mi serve”.
Aumento il ritmo e mi viene il fiatone; ma proseguo tenace, memore della promessa che mi sono fatto di arrivare alla cima. Ecco che ora mi avvolgo nel ricordo…

Due anni prima avevo coinvolto Renè in quell’avventura, anche se solo un alpinista dilettante, perché non trovavo alcun professionista disposto a venire, ed io, testardo com’ero, non volevo proprio rinunciare a quell’occasione.
Forse era stato uno sbaglio chiedergli questo favore, ma non avevo trovato altra soluzione per esaudire quel mio desiderio pressante e metter pace alla mia inquietudine.
Mi tornano alla memoria quelle immagini come in un film…

Rivedo come stavamo risalendo il Bianco dalla parte francese, quando sorpresi dalla bufera, dovemmo desistere e cercar di tornare al campo base.
Il freddo era intenso e stava calando già la sera: mi accorsi che era stato uno sbaglio. Il periodo scelto per intraprendere quest’avventura non era dei migliori e avevo trascinato anche il mio amico, ora stavamo entrambi rischiando la vita per colpa mia.
Proprio in quel momento mi girai a guardare Renè e lo vidi molto indietro, affaticato in mezzo al turbinio di neve ghiacciata, che non riusciva a seguirmi.
I suoi movimenti erano sempre più lenti, mentre affondava le gambe oltre le ginocchia. All’improvviso crollò. Corsi impacciato, indietro e quando lo raggiunsi mi resi conto che era grave. Respirava a fatica e stava assiderando.
Il vento sibilava gelido sferzando i nostri visi legnosi; non sapevo cosa fare, ero preso dal panico più completo, quando con una flebile voce lui mi sussurrò: “Giuseppe …io sento che a casa non arriverò… Promettimi che ti salverai, che risalirai questa montagna e raggiungerai la vetta per me…”
Io cercavo di rassicurarlo che ci saremmo salvati entrambi, ma nella mia testa amicizia e morte si confondevano.
L’istinto di sopravvivenza mi suggeriva d’abbandonarlo per salvarmi da fine certa, mentre il sentimento d’amicizia m’imponeva di non lasciarlo.
Alla fine, in preda a follia assoluta, cominciai la discesa nella tormenta, quand’era ormai quasi buio con lacrime ghiacciate agli occhi e la morte nel cuore.

Ora mi riprendo dal ricordo di ciò che è successo due anni prima.
Il sole è ancora alto ma coperto da strati di nubi e la temperatura si è notevolmente abbassata. Mi fermo a bere nuovamente un lungo sorso d’acqua ristoratrice, mentre alzando la testa, sorpreso, mi accorgo in quel momento di essere a poche centinaia di metri dalla meta. Un’esplosione d’energia sembra aver contagiato le mie gambe e senza alcuna fatica la raggiungo in breve tempo.
Affondo con forza, nella neve gelata, la piccozza di Renè sulla vetta.
Quel silenzio irreale è rotto solo dal sibilo del vento gelido e dal garrire della bandierina. Lo sguardo corre ora lontano girando intorno all’orizzonte completo, mentre assorto nei miei pensieri tremo dal freddo per la temperatura polare …
Ed ecco che in questo preciso istante lo Spirito del mio amico, che mi è rimasto accanto durante tutta la scalata, si manifesta nel sole abbagliante, che uscendo da dietro le nubi mi avvolge col suo benefico e intenso calore.
Sembra ora sorridermi, mentre ammirando un panorama stupendo, commosso, piango di gioia…