Racconto di Imma Carannante

(Seconda pubblicazione)

 

 

Iniziavano i primi freddi e con loro, la nostalgia dei passati inverni, quelli dell’infanzia, il calore del camino acceso e i Natali tutti insieme.

Andrea era stata una bambina fortunata, nata sotto una buona stella, l’amore della sua famiglia e l’adorazione dell’amato padre, l’avevano accompagnata negli anni più importanti della sua vita ed i suoi ricordi erano molto gioiosi, in netto contrasto con la sua vita di adesso e, forse, proprio per questo, molto più felici di quanto fossero stati in realtà.

Guardava fuori dalla finestra dell’ospedale, la neve che cadeva, lenta e immaginava l’ennesimo Natale sola chiusa lì dentro.

Come fosse arrivata lì o come ci si fosse fermata per cinque lunghi anni, non lo ricordava, o meglio le sue erano memorie confuse e tutto quello che le era rimasto di quel tempo, era solo confusione e solitudine.

Qualcuno l’aveva portata in quell’istituto, qualcuno aveva pensato di doverla salvare, qualcuno l’aveva trattenuta in questa vita poco prima che saltasse dall’altra parte, poco prima che saltasse da quel ponte.

A volte, ringraziava quell’angelo, altre malediva quel mascalzone e quel momento, il momento esatto in cui il suo sguardo aveva incrociato quello del suo salvatore; forse, il suo dolore sarebbe finito, forse, per lei non c’era più speranza e quel gesto, altruista e caritatevole, ora le sembrava inutile e vano.

La neve cadeva silenziosa, senza far rumore, copriva tutto, gli alberi, le foglie, le panchine del parco davanti alla casa di cura e Andrea sapeva che, anche questo Natale, sarebbe rimasta lì, senza un regalo, senza una visita, senza un sorriso.

Non aveva nessun dubbio che sarebbe andata così, ogni 25 dicembre, come ogni giorno di ogni anno che aveva passato in quell’ospedale.

Della sua famiglia non aveva più notizie, da quando suo padre era mancato, tutto era cambiato, la mamma si era chiusa in un dolore sordo e silenzioso, le sorelle vivevano in città diverse, inghiottite dai mille impegni e dalle nuove vite che erano riuscite a costruirsi, lontane dalla città natale.

Lei ci aveva provato. Si, ci aveva provato tante volte, aveva cambiato città, amori, amicizie, ma ogni tentativo era andato peggio di quelli precedenti, lavori sempre meno adatti a lei, uomini che le avevano tolto ogni illusione di poter trovare, prima o poi, quello giusto, di poterlo trovare l’amore, quello vero, l’amore per lei, era solo una fantasia e nella sua fervida immaginazione, Andrea si era rifugiata, per sconfiggere tutto il suo dolore.

Quando andava a scuola, quella fantasia l’aveva salvata, le era servita per scrivere storie e per raccontarsele, anche; sperava che potesse esserle utile anche da grande, ma da adulta, quell’immaginazione, quel suo essere fuori dal mondo, era diventata una malattia e, forse, per questo era rinchiusa in quel palazzo, a guardare la neve, dalla finestra.

Non sarebbero più bastate le mille storie che continuava a leggere nei tantissimi libri che aveva trovato in biblioteca e che, ormai, riempivano la sua stanza. Questo Natale le serviva qualcosa di reale, qualcuno da toccare, da abbracciare, ma non ci sperava, per la speranza, ci vuole coraggio e lei, l’aveva perso da un po’.

Continuò a guardare il parco che si tingeva di bianco, pensò che sarebbe stato bello uscire e farsi coprire dalla neve che, sempre più fitta, veniva giù; pensò che sarebbe stato semplice, lasciarsi morire sotto quella neve, ma non lo fece, non uscì, se ne andò a dormire e aspettò che arrivasse il giorno seguente, che arrivasse un altro Natale, triste, solo e malinconico.

Si svegliò di un umore insolito, negli ultimi giorni si era trascinata dal letto alla poltrona, con gesti meccanici, senza alcuna voglia di farlo, mangiava e dormiva, dormiva e mangiava in un susseguirsi ciclico, senza alcuna volontà.

Quella mattina di Natale il sole splendeva già alto quando lei aprì gli occhi ed una luce entrò dalla sua finestra.

L’infermiera Adele era passata per le medicine, come ogni mattina e Andrea le aveva sorriso, non le aveva mai rivolto parola, prima d’ora, non solo a lei, non ricordava di aver parlato con nessuno in tutto quel tempo, ma quel giorno le era uscito dalla bocca un flebile, timido: “buongiorno”.

E fu per quello, forse, che, quando Adele entrò nella camera di Andrea, le disse con un sorriso enorme, una luce che illuminò tutta la stanza: “Andrea, sbrigati a prepararti, c’è una visita per te! Ah, dimenticavo… Buon Natale!”