Racconto di Carlo Dore jr
(Seconda pubblicazione)
Chi era Michele Salvati?
Se lo chiedono in tanti, ora che il suo corpo riposa sotto una lapide nel vecchio cimitero di Bonaria, rivolta a ovest, in modo tale da poter avere davanti sempre tanto cielo e tanto tramonto, come piaceva a lui. In modo tale da poter avere sempre per sé quella costante alternanza di azzurro, nero e grigio sul profilo della città vecchia.
Chi era Michele Salvati?
Se lo sono chiesto le persone che accompagnavano la bara al suo funerale: qualcuno piangeva, qualcuno fissava il vuoto, qualcuno contava i passi che separavano quel momento inutilmente solenne dalla normalità di una giornata qualsiasi.
Chi era Michele Salvati?
Io lo so, ma non posso dirlo a nessuno, per non rompere la promessa che ho fatto a un uomo in marcia verso la morte. Ma ho deciso di dirlo a te, perché a quell’uomo ho anche promesso che avrei fatto in modo che tu, solo tu, non ti dimenticassi di lui.
Michele Salvati era tante cose: tante cose e nessuna. Era uno scrittore, un professore di letteratura, un musicista, un giornalista. Ma in fondo, era un sognatore: uno che sfidava il mondo solo per sentirsi importante; o forse, uno che sfidava il mondo per non sentirsi solo.
Finché non ha conosciuto te.
Mi sembra di vederlo, il povero Michele: davanti all’Università, con la borsa piena di documenti, l’immancabile ipod nelle orecchie, magari mentre canticchia un’aria di Verdi cercando nelle tasche del loden blu le chiavi della sua Lancia sgangherata. Forse stava pensando a un articolo da scrivere, o forse a un Teatro da visitare, o a un libro da leggere.
Mi sembra di vederlo, mentre il suo sguardo incrocia il tuo: lui che sgrana quegli enormi occhi azzurri, il suo cuore che cessa di battere, appena intravede un sorriso attraversarti il volto.
Povero Michele, forse aveva capito che in quel preciso momento stava iniziando a morire. Sì, perché il tuo viso ha cominciato a emergere dalle pagine dei suoi libri, a intrecciare le righe dei suoi articoli, a incarnarsi tra le note delle opere, a ispirare ogni suo pensiero.
Lo osservavo, a volte, quando credeva di essere solo, seduto alla scrivania, o col naso in aria nel bel mezzo di una strada, perso nella contemplazione del cielo al tramonto. Lo vedevo, mormorare quasi inconsciamente il tuo nome: Anna, Anna, Anna.
Sì, Michele Salvati era un sognatore: il problema è che il suo sogno sei diventata tu e solamente tu.
Non era bravo a parlare, Michele: e forse ha commesso l’errore di provare a parlarti attraverso i suoi libri, i suoi articoli, la sua musica. Forse ha commesso quell’errore, perché sapeva che, seduto davanti a te in uno di quei bar in cui vi siete visti mille volte, le parole gli sarebbero morte in gola, travolte da una valanga di cortesi, insignificanti luoghi comuni. Sì, Michele, usava i suoi libri, i suoi articoli, la sua musica quasi per gridare: “Anna, esisto anch’io!”, ma quelle parole gli morivano in gola, e tu ti giravi sempre dall’altra parte.
E poi, ti ha visto con Roberto: presa per mano in una strada buia, il classico bacio sotto il lampione, due occhi azzurri che tagliano l’oscurità dietro il vetro di una finestra aperta, prima di riempirsi di lacrime.
Michele era un sognatore: solo che il suo sogno era spezzato per sempre. Non scriveva più, non leggeva più, la musica del suo ipod perdeva significato giorno dopo giorno. Michele stava morendo, e io non riuscivo a fermarlo.
Pioveva, il giorno in cui hai dato una festa per il compleanno di Roberto nella nuova casa che avete preso insieme, con annessa diretta social. Pioveva, quando mi hanno chiamato dall’Università per dirmi che Michele non si era presentato a lezione. Pioveva, mentre correvo verso casa sua: la luce accesa alla finestra, le chiavi di riserva prese dal mazzo nella borsa, lo studio pieno zeppo di libri, Verdi che inondava la stanza, Michele riverso sul pavimento, la fronte zuppa di sudore gelato.
Pioveva, quando mi sono chinato su di lui nel tentativo di rianimarlo, pioveva quando mi ha detto le sue ultime parole: “non dire a nessuno che il mio sogno mi ha spezzato”; “fai in modo che non si dimentichi di me”. Poi ha mosso ancora le labbra, senza emettere altri suoni. Ma io sapevo cosa voleva dire: Anna, Anna, Anna.
Quando l’ambulanza è arrivata era già tutto finito. È rimasto solo il funerale, e quella tomba esposta a ovest: tanto cielo e tanto tramonto. Come piaceva a lui.
Ma io te lo volevo dire, chi era Michele Salvati: era un professore di letteratura, un giornalista, un musicista. Ma soprattutto, un sognatore: che trovava in te il sogno che lo ha spezzato.
Ora che lo sai, magari un giorno guarda anche tu quel cielo e quel tramonto: troverai due occhi azzurri, e un cuore che ha cessato di battere. A quel cielo e a quel tramonto regala un sorriso: Michele saprà che non lo hai dimenticato.
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