Racconto di Pietro Da Pontelungo (Pietro, Ferrari)

 

Questa era solito raccontarla, a veglia, il vecchio rettore di Grappoli buon’anima. E, ogni volta, ci aggiungeva una frangia nuova per renderla più interessante e terminava, invariabilmente, il racconto, facendo un po’ di morale ai suoi ascoltatori.

Taddeo era un brav’uomo; ma era un bietolone che credeva a tutto. E più erano grosse e più le credeva.

Ecco che cosa gli capitò una volta.

Taddeo, un giorno, andò alla fiera di S. Genesio, a Filetto, per comprare un asino.

Questa fiera, come sapete, è la più famosa di quassù e si tiene in una grande spianata di castagni, sulla fine di agosto. Vi accorre, da ogni parte, gran folla di gente; un po’ per farvi acquisti, ma più per divertirsi. Vi si danno specialmente convegno giovanotti in cerca di avventure e ragazze da marito. Soprattutto, vi si mangia e vi si beve allegramente, sia nelle osterie improvvisate dentro le «frascate», che sono recinti di frasche, sia nelle merende imbandite, all’ombra dei castagni, dalle numerose comitive. Vi trionfano tortelli, salumi e galletti arrosto. E la baraonda dura fino a mezzanotte.

Ma a Taddeo non importava di tutto ciò. Egli notò solo che alla fiera c’erano molti asini, tanto che rimase a lungo incerto sulla scelta. Finalmente, ne adocchiò uno che faceva al caso suo; e, dopo aver molto tirato sul prezzo (dovete sapere che Taddeo era anche avaro) finalmente lo acquistò.

Taddeo condusse l’asino fuori della fiera, lo inforcò a pelo e tranquillamente s’avviò per tornarsene a casa. Non aveva mai posseduto un asino come quello! Era una bestia bella d’aspetto e salda di gambe, dal passo elastico e svelto e, per giunta, docile alla voce e alla mano. Taddeo ne era proprio contento.

Giunto, sul far della sera, all’osteria del Ponte, si fermò per berne un bicchiere. Sentiva proprio il bisogno di bagnarsi il becco, dopo il gran caldo di quella giornata!

Scese dall’asino, lo legò a un albero poco discosto ed entrò nell’osteria. Ordinò un bicchiere, poi un altro, poi un altro ancora; e mentre i bicchieri si succedevano, Taddeo faceva all’oste, che era suo amico, le lodi dell’asino e della sua scelta.

Due mariuoli, che l’avevano fiutato a volo e che l’ascoltavano da un tavolo vicino, uscirono fuori e, veduto l’asino legato all’albero, decisero di rubare la bestia a Taddeo e, per giunta, di prendersi beffa di quel famoso babbione. Detto, fatto.

Tolsero la cavezza all’asino e mentre uno dei due portava via la bestia, più docile che mai, l’altro infilò la sua testa nella cavezza, al posto di quella dell’asino, e attese l’uscita di Taddeo.

Quando Taddeo uscì dall’osteria, un po’ brillo per i molti bicchieri bevuti e dopo che si era già fatta notte per il molto tempo da lui perduto a fare le lodi dell’asino, potete immaginare la sua meraviglia nel trovare, legato all’albero, al posto dell’asino, un uomo in carne e ossa. Stava per gridare e chiamare aiuto, quando l’uomo dalla cavezza, con voce contraffatta, lo supplicò:

— Per amore di Dio, tacete, buon uomo! Vi dirò la verità. Io non ero un asino; ma un uomo condannato a prendere, per un certo tempo, la forma d’asino, a sconto dei miei peccati: perché, purtroppo, ero un gran bestemmiatore! Ed è successo che, proprio quando voi eravate nell’osteria a discutere con l’oste, è scaduto il tempo della mia penitenza; ed io sono tornato ad essere quello che ero. Ma, ora, tocca a voi slegarmi dall’albero e darmi, finalmente, la liberazione.

Taddeo si fece il segno della croce e, senza fiatare, tolse la cavezza all’uomo, che lo ringraziò e gli disse, con uno strano tono di voce, che gli fece gelare il sangue nelle vene:

— Ed ora, buon uomo, non parlate con nessuno di quanto è accaduto!

E Taddeo mantenne la parola.

L’anno dopo, Taddeo tornò alla fiera di S. Genesio per comprare un altro asino. Girò in lungo e in largo, per la fiera; e non trovò una bestia che facesse al caso suo.

Ad un tratto ebbe un sussulto.

No, non s’ingannava!

L’asino, che aveva comprato l’anno prima era là legato ad un albero, con la testa bassa e con gli occhi semichiusi. Taddeo gli si avvicinò e lo guardò a lungo, perplesso. Poi, si chinò sulla bestia, come per osservarla meglio e, dopo essersi assicurato che nessuno potesse udirlo, accostò la bocca ad una delle sue grandi orecchie e disse piano:

— Dsè la verità, galantom: avè forsi arbiastmà?

L’asino, così parve a Taddeo, tirò un profondo sospiro e accennò di sì con la testa: l’uomo era ricaduto nel suo peccato!

Allora, Taddeo, chinandosi ancora verso l’orecchia dell’asino, gli sussurrò con una punta di malignità:

— Non parlerò, con nessuno; ma, scusate, questa volta non vi compro più!

E un po’ impressionato del caso, un po’ soddisfatto per essersi vendicato del cattivo acquisto, fatto l’anno prima, si allontanò e fece ritorno a Grappoli. E, questa volta, fece la strada a piedi, come era venuto; e senza fermarsi all’osteria del Ponte per berne un bicchiere, malgrado il gran caldo che faceva.

E anche questa volta mantenne il segreto.

Dopo il racconto, il buon rettore di Grappoli, tirava fuori il suo grande fazzoletto rosso e verde, si soffiava rumorosamente il naso e, invariabilmente, aggiungeva:

— Questa non è una storiella. Ma la bestemmia amici miei, è un brutto peccato; e chi bestemmia, meriterebbe, davvero, di essere cambiato nell’asino… di Taddeo!

E tutti gli davano ragione.