Omaggio a Ian Curtis e ai Joy Division

Racconto di Giorgio Arcari

 

Tu sei voltata dalla tua parte.

Il letto è congelato.

Io, sono congelato.

Chi dei due fingeva di essere già addormentato per non augurare una notte tanto buona quanto ipocrita? Anche adesso che le ore conducono verso l’alba sento nei nostri respiri un sonno fasullo. Non mi stringi, non mi tocchi per parlare, non accendi la luce. Non lo faccio neppure io, non servirebbe più a nulla. Avrebbe più senso che uno di noi si alzasse e svanisse nella notte, che mandasse un amico dopo qualche giorno con un sorriso di circostanza, armato di scatoloni per svuotare di condivisione la nostra vita. Non facciamo neppure questo, attendiamo reciprocamente un passo troppo difficile da affrontare. Restiamo lì, svegli ed immobili, appostati come sentinelle a tener lontani pensieri troppo dolorosi perché li si possa lasciar passare, entrare, esplodere. Sentinelle di due campi nemici.

Non sai dirti mai quando le cose cominciano a finire, anche a guardarsi indietro. Non sai su che giorno del calendario segnare una data, dove segnare l’inversione di tendenza sul grafico di un progetto di vita che misteriosamente smette di produrre utili e comincia a divorare capitale. Soltanto ieri abbiamo parlato di dove andare in vacanza con la voglia e l’entusiasmo di una visita all’obitorio. A ripensarci mi accorgo di aver tenuto nascosti i luoghi che vorrei visitare, perché in quelle immagini assolate tu non ci sei. Sono sicuro che tu hai fatto lo stesso. Non è passato molto tempo da quando progettavamo vacanze con mesi di anticipo, in pieno inverno, spendendo in guide turistiche e mappe più che in biglietti d’aereo, da quando sognare non era mai troppo. Non è passato molto tempo.

Un’eternità.

Si dice che prima del crollo venga il tempo delle frasi di maniera, dei non sei tu, è colpa mia, dei non so cosa sento. A noi non è mai successo. Eravamo difettosi quando ci siamo scelti e andava bene così, eravamo difettosi in modo perfetto. Ora però non sopporto ogni tua singola mancanza come fosse un crimine ordito contro di me, tu non perdi occasione per darmi tutte le colpe. Ladro di anni che ti ho rubato.

Beninteso, non me ne frega nulla di quello che dici. La colpa è tua, lo so bene. Lo so bene?

Un anno fa, sei mesi fa. Che data segnare sul calendario per mettere un punto, per poter finalmente dormire?

C’è un prima che è marcito, ovvio. Marcito fino a diventare la palude su cui questo letto ghiacciato galleggia. Mi ricordo di te in quel prima, che brilli a rendere opaco ogni altro ricordo. Incontrarsi, inseguirsi, notti che non finivano mai e mattinate passate nel dormiveglia, in attesa tremante. Sempre meno il tempo tollerabile da passare lontani, fughe d’amore ad ogni fine settimana. Poi casa, tu ed io, la promessa solenne di non permettere alla routine di mordere forte, di dare ad ogni giorno un motivo per essere ricordato. Siamo due pazzi e siamo immortali, in fondo, come potrebbe mai essere diverso da così?

Quando ha smesso di essere vero?

Un giorno sei tutte le mie fantasie, quello dopo sei la prima a cui le racconto. Quello dopo ancora la tua voglia essere la prima mi irrita come una catena a strozzo. Forse il punto andrebbe messo lì, forse nel momento in cui il tuo “Niente” alla domanda “Che cosa c’è?” ha smesso di significare il desiderio di un abbraccio per diventare un “non mi rompere i coglioni”. Forse. Forse sono vere tutte quelle cazzate sull’uccello del paradiso che si posa solo sulla mano che non lo trattiene, sulla necessità di essere due mondi che si sfiorano e non la fusione pasticciata in uno solo. Forse. Noi però non ci siamo riusciti. Un giorno mi cerchi in ogni angolo e quello dopo ti sono tra i piedi ad ogni passo.

Sospiri.

Lo sai che sono sveglio. Devi essere scomoda in quella posizione, da ore. Vorresti girarti ma non lo fai, anche l’intimità del solo riconoscersi immersi negli stessi pensieri deve esserti tanto insopportabile quanto a me, stanotte. Non piangi nemmeno più, da tanto, tantissimo tempo. La palude ha gelato anche le lacrime.

Dovrei alzarmi, concederti almeno un paio d’ore di sonno, anche se lo prenderesti come l’ennesimo gesto di disprezzo verso di te, non certo di attenzione. Anche se ormai poco di tutto questo ha senso.

Quale data è quella giusta da segnare? Quel giorno che mi hai aggredito per aver cambiato la password di Facebook, quel giorno in cui ascoltavo i rumori della tua doccia mentre sbirciavo frenetico i messaggi sul tuo cellulare.

In fondo dovremmo odiarci, ora che l’amore è fuggito via. Forse tu già lo fai, lo devo ammettere che ti ho dato motivi sufficienti per farlo. Se le cose fossero semplici afferrerei i miei, di motivi, e farei lo stesso.

Non ci riesco. Non ti amo, non ti odio, sento solo questo grande gelo che non ha neppure il merito di tener lontani tutti quei ricordi che mi graffiano come maledizioni felici. Dovrei odiarti, eppure cosa?

Eppure restano le carezze, gli occhi sognanti, i respiri che si cercano. Restano le ore strappate al dominio del tempo per raccontarsi a vicenda. Restano i nugoli di domani ronzanti su fogli di carta strappati chissà dove. Restano bottiglie di vino che non avevano alcun diritto di finire, fotografie mai scattate di luoghi ancora da visitare e fotografie che non serve guardare, se non per sbiadire ricordi molto più vividi. Resta la realtà e restano i ricordi. Resta la voglia di non essere in nessun altro luogo al mondo, viaggi altrove, in infiniti altrove.

Dovrei svegliarti, stringerti, raccontarti che tutte queste cose non sono marcite, non sono gelate, sono lì appena sotto la superficie e basta afferrarle per farle tornare reali e presenti.

Dovrei dirti che andrà tutto bene ma non lo faccio, perché tra tutto ciò che resta qualcosa ora manca, per sempre. Noi.

Noi non restiamo. Abbiamo già preso strade che ci portano a mondi differenti, realtà lontane unite solo da deboli eco di rimpianti che vanno spegnendosi. Un giorno non lontano queste ferite saranno rimarginate, il passato un silenzio ovattato che non sentiremo più. Un giorno anche il più coriaceo di questi spettri felici si stancherà del nostro limbo e si dissolverà annoiato.

Ci saranno nuove notti che vorremmo non finissero mai, nuovi occhi che non potremo smettere di fissare, nuovi corpi caldi sotto le dita. Ci saranno letti e cuori che assicureremo di non far congelare mai. Nuove promesse, nuovi ricordi che scalceranno lontano quelli vecchi. Nuovi per sempre giurati come se non ne avessimo mai infranti altri.

Allora l’amore, l’amore ci farà a pezzi, di nuovo.

-°-

Love, love will tear us apart, again.

https://www.youtube.com/watch?v=zuuObGsB0No