Racconto di  Matilde Serao

 

Vi era una volta una fanciulla – ohimè quante ve ne furono e quante ve ne sono! – una fanciulla che doveva pacificamente sposare un giovanotto. Costui era un bravo ragazzo, negoziante all’ingrosso di spirito e di zucchero; i suoi buoni amici dicevano che del primo non gliene rimaneva mai in deposito e del secondo troppo, volendo significare, con una ignobile freddura, che era buono e stupido. Viceversa, la fanciulla aveva un professore di lingua italiana che la dichiarava un ingegnaccio; ella leggeva romanzi e parti letterarie di giornali illetterati, assisteva a conferenze scientifiche, storiche e poetiche, spiegava sciarade, era immancabile alle prime rappresentazioni, prendeva viva parte alle discussioni critiche ed inutili che ne scaturivano: insomma una fanciulla moderna, una fanciulla superiore. Qui si comprende che prima di diventar tale, il suo matrimonio col negoziante di zucchero e spirito poteva sembrar logico, ma giunta che fu la superiorità diventava una proposizione assurda; poiché ogni fanciulla superiore che si rispetta, deve sposare un uomo illustre o morire zitella. I genitori che amavano molto la loro figliola, si persuasero di questa profonda verità e licenziarono il fidanzato; egli pianse per un’ora, si disperò per tre giorni, fu malinconico per una settimana e finì per sposare la figliuola di un negoziante in legname. La storia non aggiunge se ebbero lunga prole, ma all’onesto lettore è lecito supporlo.

Intanto la fanciulla cercava il suo uomo illustre e, dopo mille difficoltà, ne trovò uno; difficoltà non già per la scarsezza del genere, poiché a sentire i contemporanei, siamo nell’epoca delle grandezze, – ma ella ne voleva, una vera, autentica, bella e buona. Quello che scelse era, come al solito, sorto dal nulla, perché una celebrità che si permettesse di non sorgere dal nulla, sarebbe una falsa celebrità; aveva combattuto con la miseria, la fame ed il freddo, gioconda compagnia della sua giovinezza: come gli altri entrò in camera per la porta piccola del giornalismo e portandovi due qualità opposte, la pazienza e l’ardire, riuscì a conquistare un nome ed un posto nella schiera militante. Poi gli si volsero sempre favorevoli gli eventi, per lui accaddero miracoli inauditi; gli editori pagavano, i suoi libri arrivavano alla sesta edizione, la critica lo carezzava, la gloria gli cascava addosso, sua vita natural durante. Tentò la politica, questo grande spegnitoio delle intelligenze artistiche, e fu tanto fortunato da uscirne vivo e vincitore. Quando una sua interpellanza era annunziata, il Ministero faceva l’esame di coscienza, gli avversari affilavano i ferruzzi delle risposte, le tribune si affollavano di ascoltanti: un portafoglio gli era stato offerto, aveva avuto lo spirito di rifiutarlo. Gli giungevano onorificenze, gradi, titoli, croci da tutte le parti: egli accettava tutto con serenità olimpica e rimaneva un uomo illustre, osservato, studiato, discusso, commentato e sempre applaudito dal pubblico.

Come la fanciulla poté vederlo, conoscerlo, portarselo in casa, persuadere i parenti sarebbe lunghissimo il narrare: giorno per giorno, per la parola matrimonio, si disperdono nell’oceano della vita torrenti di diplomazia femminile. Certo non fu lieve impresa fare la conquista di quell’eterno trionfatore, perché egli si amava troppo per amar molto qualcun altro; ma la giovanetta era ricca, bella, elegante, sapeva a memoria i libri di lui e ne recitava qualche brano, con un grazioso sorriso di ammirazione; era un’adorazione perpetua degli atti, delle parole pel grande uomo; i genitori con la loro adorazione parevano chiedere umilmente l’onore di tanto parentado: lo adoravano gli amici di casa, lo adoravano i servi, egli si inebriò di quell’incenso, si commosse allo spettacolo di tanta brava gente ai suoi piedi; scese dal trono della sua grandezza e si lasciò strappare un benevolo consenso.

Un’adorazione meritata: pensava la sposina. Un uomo di genio nulla ha di somigliante con la turba degli altri esseri piccoli e comuni: egli vive in una sfera elevata, circonfusa di luce. Il portamento altero della testa; la noncurante disinvoltura della persona; lo sguardo ora fisso sulla terra, ora perduto nel cielo, sempre profondo; la sprezzatura artistica dei capelli, il solco della fronte, il senso di mistero dei vari sorrisi, la piega ironica del labbro, tutto rivela la razza degli eletti. Nessuno come lui sa entrare in un salone, inchinarsi, richiamare su di sé tutti gli sguardi, essere il centro dell’attenzione, dominare tutta la riunione. Tutto quello che egli dice, ha un senso riposto che talvolta sfugge ai profani; spesso egli dice cose molto semplici, che ognuno sa, ma v’imprime un suggello d’originalità elegante: la sorridente modestia con cui parla di sé stesso, la bonomia con cui accoglie i giovani principianti, quella velatura di disprezzo, con cui tratta gli avversari, la calma con cui affronta la discussione ed il subitaneo scoppio dell’idea, sono tutte cose che completano la sua grandezza. Egli ha la singolare potenza di dare un aspetto poetico anche ai nostri prosaici abiti moderni: il petto della camicia sembra nebuloso. I guanti hanno una tinta soave ed indefinibile, la stessa marsina acquista delle linee artistiche – viene la voglia di chiedere se quest’uomo pranzi, beva e dorma come il resto dell’umanità. Come deve essere sublime nel momento dell’ispirazione! E nell’amore! Essere la moglie di quest’uomo, portare il suo nome, possedere il suo cuore, dividere la sua gloria: ecco la felicità delle felicità».

Distacco alcune noterelle dal giornale della giovane sposa.

Viaggio bellissimo. Guglielmo a Roma mi ha parlato delle antichità romane, a Firenze delle repubbliche italiane, a Bologna dell’Università, dappertutto di arte e di estetica. In un viaggio di nozze! …

Gli amici di Guglielmo finiranno per irritarmi. Lo circondano sempre, lo assediano, non me lo lasciano un sol momento; con me, poi, o mi inganno o usano una cert’aria compassionevole che mi dà sui nervi; ve ne è uno specialmente che quando va via, non manca mai di dirmi: «Vi raccomando il grand’uomo». E l’altro giorno, mi disse con un tono sentimentale: «Fatelo felice, signora, fatelo felice, perché la storia ve ne chiederà stretto conto». Domando io se la istoria deve ficcare il naso in certe cose…

Siamo a casa. Guglielmo ha quattro librerie, moltissimi libri che sono ammirati dai visitatori, ma egli non legge mai. Io credeva che studiasse almeno cinque ore al giorno, mi ingannavo, avrà studiato prima.

Orribile, orribile! Egli porta un berretto da notte con un fiocco rosa, col pretesto di conservare l’arricciatura dei capelli!

Egli restava ore intiere nel suo gabinetto da toilette e ciò stuzzicava la mia curiosità, – ammesso che marito e moglie sono la stessa cosa, non vi è indiscrezione a vedere che cosa fa l’altra metà di sé stesso; ho posto l’occhio al buco della serratura. Egli studia davanti allo specchio: gli ho visto provare una dozzina di sorrisi ed otto pose diverse….

Nei momenti d’ispirazione mio marito somiglia tal quale uno stupido. E guai ad entrare allora in camera sua! È scortese, ineducato, vi manda via con certe parole…

Egli pranza benissimo. Vuole sempre dei grandi pezzi di carne sanguinolenta, che gli danno l’aria di un cannibale che squarta un cristiano. Venitemi un’altra volta a discorrere dell’ambrosia dei poeti!

Sono otto giorni che mio marito passeggia per la casa, declamando un discorso che improvviserà alla Camera. Non andrò a sentirlo: a momenti lo pronunzio io il discorso, tante volte l’ho inteso ripetere.

Il segretario di mio marito…

Questa politica mi obbliga a fare moltissime cose che mi dispiacciono. Adesso sono obbligata a far visita alla signora Zeta, una donnina gentile, troppo gentile; taci lingua, che ti darò un biscotto! Lo so, noi siamo esseri deboli, ma almeno salvare le apparenze! Ed è moglie di un uomo politico; non ha dunque imparato nulla alla scuola di suo marito?

Sono furiosa, Guglielmo riceve delle lettere amorose da signore incognite, che lo amano pei suoi libri; quando gli ho fatta una scena, mi ha risposto, con la solita freddezza: «Cara mia, sposandomi dovevate saperlo, sono gli incerti della posizione!». Me li chiama incerti! Una di queste sfrontate gli scrive: Sono sicura che vostra moglie non comprende la vostra grandezza. Vorrei che questa signorina lo vedesse col suo berretto da notte!

Il segretario di mia moglie….

Guglielmo fa una corte assidua alla moglie dell’ambasciatore. Se gli dite nulla, vi risponde che è per ragion politica; anzi l’altro giorno mi raccomandò di lasciarmela fare dall’ambasciatore marito: così le potenze rimangono in equilibrio e la pace Europea è assicurata. Non già che mi dispiaccia mettere nella lista mia anche l’ambasciatore – ma egli è così noioso, così noioso…

Guglielmo non può accompagnarmi ai bagni. Va a fare un viaggio diplomatico, dove non posso andare anch’io. Pazienza, mi rassegnerò.

Grandi uomini… Ammirarli sì, sposarli mai…