Racconto di Giuseppe Lipparini

 

Avendo subìto una grave delusione in amore, Marco Sani, memore de’ suoi anni liceali, volle trovare l’oblio negli studi filosofici, come Dante dopo la morte di Beatrice. E riuscì a dimenticare, se non in grazia della filosofia, certo per merito del tempo che sana tutte le piaghe. Ma se l’amore e il dolore passarono, gli rimase l’abito del ragionamento e del filosofare. E poiché fruiva di molte migliaia di lire di rendita e non era laureato, egli si chiamò filosofo, e come tale volle avere la bizzarria di iscriversi, nei biglietti di visita e nei registri degli alberghi.

Così un giorno gli ospiti del Grand Hotel di Selvalunga seppero che era capitato fra loro un filosofo. Non ne gioirono, veramente; perché questo genere di animali è noioso quando non è pericoloso. E immaginarono un volto arcigno, una fronte accigliata, e una barba altrettanto lunga che incolta. Dunque le signore risero, quando videro comparire un giovane di trent’anni né bello né brutto, vestito secondo l’ultimo figurino di Londra, irreprensibile nell’abito chiaro inglese. E si rallegrarono in previsione delle venture escursioni, quando la signora Mimì Dolcetti ebbe detto alle compagne di tavola: «Un filosofo, quello lì? Ma se ha una quaranta cavalli meravigliosa!».

Giacché voi sapete che oggi un uomo si giudica non tanto dai suoi milioni quanto dai cavalli vapore che possiede. Colui che va in giro su una quindici cavalli è discretamente ricco; e se i quaranta cavalli indicano una grossa ricchezza, gli ottanta sono addirittura il simbolo vivente e sbuffante del principe o del miliardario.

L’uomo dai quaranta cavalli fu presto l’amico di tutti gli ospiti dell’albergo. Marco Sani era cortese e cordiale, come si conviene a un filosofo che non è obbligato a decantare i vantaggi della povertà. I mariti non erano gelosi di lui, perché per la sua stessa professione lo ritenevano innocuo. D’altra parte, egli non era mai stato fortunato con le donne; e, dopo quell’ultima delusione, egli ne aveva ragionando trovata la cagione. Egli aveva creduto di possedere nelle donne che aveva amate l’ideale della perfezione, e si era umiliato davanti a loro come il credente davanti a un bell’idolo vestito d’oro. E le donne, o non si erano curate di lui, oppure lo avevano burlato. Ora egli sapeva che la donna non vuol essere carezzata, ma dominata; che nell’uomo ella ama soprattutto il maschio e il padrone, e che le femmine più belle sono per gli uomini più ardimentosi.

Senonché, non essendosi più innamorato, egli non aveva ancora potuto sperimentare le sue teorie. Poiché il ragionamento lo aveva assuefatto ad esser cauto, Marco Sani vigilava su sé stesso e resisteva più che mai alle lusinghe crudeli delle donne che cercano di far soffrire gli uomini ingenui. Ma l’aria sottile di Selvalunga lo fece meno forte nei propositi. La sera, nel salone dell’ostello (gli piaceva dire così, benché gli altri ridessero), egli talvolta si chiudeva in un angolo remoto a mirare le coppie che danzavano, e le donne belle i cui seni scollati emergevano dal busto come fiori fragili e odorosi, le cui membra agili si modellavano quasi nude attraverso le stoffe molli delle gonne aderenti. Amare sul serio non voleva più; ma perché una di quelle donne non sarebbe potuta divenire la sua? Avere un’amante graziosa ed elegante, senza complicazioni sentimentali e senza misteriose finzioni sessuali, una donna sana e spregiudicata, contenta a un amante giovane e valido, avida discretamente di lusso e di piacere, inclinata più alla gaiezza che alla malinconia e pronta a credere che la voluttà è un episodio piacevole e desiderabile, ma non tutta la vita….

Ora conviene ch’io vi dica che il filosofo era tratto a concepire così la donna realmente ideale o idealmente reale, non tanto per virtù del suo proprio ragionamento, quanto per merito della signora Mimì Dolcetti, nella quale parevano adunarsi tutte le virtù sognate da Marco Sani in cerca di amore. La storia di Mimì Dolcetti era quella di molte donne; aveva tradito più volte il marito ed era probabile che lo dovesse tradire ancora. Nel momento, ella era disoccupata; tanto disoccupata, che perfino il marito l’aveva lasciata per andare ai bagni termali in collina. Dunque Marco Sani pensò che Mimì Dolcetti sarebbe stata per lui una deliziosa amante, e incominciò la conquista. Avendo pensato che le donne subiscono il fascino dell’uomo forte e coraggioso, egli la portò più volte seco nella quaranta cavalli, sfrenando la macchina a corse folli per le salite e per le discese, infilando le curve a grande velocità e rischiando la pelle dei cani e dei passanti. Spesso la vaga donna gli afferrava il braccio sinistro con un grido; ed egli si volgeva rapido, la guardava, sorrideva con aria di degnazione, e correva più forte.

Un giorno, in una viuzza remota, la macchina ebbe una panna. Ma il filosofo non se ne rammaricò. Il cestino delle provvigioni era colmo, e il luogo era bello. Dalla via un sentiero agevole si staccava, e saliva tra i faggi lungo un ruscello ghiaioso e canterino.

— È cosa di poco – disse Marco Sani dopo aver esaminato il motore – ma, se Lei è d’accordo, io credo che potremmo anticipare la colazione, qui, nel bosco. Poi, a stomaco pieno, potrò lavorare meglio. Le piace così? —

Mimì Dolcetti acconsentì, e approvò la previdenza di Marco, che, quando usciva per le gite, portava sempre seco le cibarie. E si avviò per la prima, mentre un vecchio pastore, che passava, lasciava le pecore per restare a guardia dei quaranta cavalli sulla via. Marco ammirava la massa dei capelli fulvi a cui una discreta dose d’ossigeno dava riflessi di metallo; ma più si compiacque del disegno vigoroso dell’anca che si modellava ardita nel salire; e i polpacci rotondi sulla gamba sottile gli facevano l’effetto che fanno al ghiottone le vivande rare. Ah, veramente ell’era una femmina deliziosa e odorosa; egli ne sentiva il profumo sano e leggero nel caldo della salita. Altro che ideale, altro che poesia e tenerezze vaporose! La felicità gli appariva in forma reale, piena di linee ondulate e ricurve, ricca di muscoli forti e di una leggera pinguedine soave. E pensò che era giunto il tempo di osare.

Sostarono in un pratello circondato dai faggi, rigato dal ruscello chiaro. Un masso quadrato coperto di muschio fu una tavola grata e rustica. La signora si guardò intorno e disse ridendo:

— Sembra un luogo da innamorati! —

Marco Sani sospirò, stendendo le fette di carne fredda sulla tovaglietta:

— Lei dunque, signora, crede nell’amore? —

Mimì Dolcetti afferrò una fetta di vitello, e la morse coi denti bianchi e crudeli; poi rispose masticando:

— Secondo i casi, mio caro amico… Ma troppe volte il gioco non vale la candela….

— È vero, – affermò il filosofo, afferrando l’occasione per il ragionamento da un pezzo preparato –; è verissimo. La maggior parte degli uomini sembrano fatti apposta per rendere insopportabile alle donne l’amore. Il fatto è che essi non si curano di sapere che cosa la donna veramente sia.

— E Lei crede di saperlo? – domandò la bella donna, accavallando una gamba sull’altra, sì che Marco poté ammirare di sbieco una trina morbida sulla calza di seta grigia che lasciava trasparire la morbidezza della delicatissima pelle.

— Forse sì; – affermò con sicumera il filosofo. – E glielo dirò, se Lei me lo permette.

— Sentiamo; – ella consentì, chinandosi verso di lui sino a sfiorargli quasi il volto coi capelli. La bocca sinuosa era a due palmi; perché non chinarsi e afferrarla e suggerla? Ma il demone del ragionamento si era impadronito di lui. E ragionò così:

— Gli uomini hanno il torto di credere che la donna sia una creatura estremamente complicata e difficile. All’incontro la sua psicologia è di una estrema semplicità.

— È verissimo.

— Noi siamo soliti di adornare le donne di ogni più desiderata perfezione, e ci inchiniamo davanti a loro come ad un essere miracoloso e perfetto. L’uomo che desidera una donna, la studia con infinita cautela, cerca di penetrarne il mistero, indaga ogni modo di intenderla e di esserne inteso, e, soprattutto, ha di lei un rispetto che confina con l’adorazione. Allora, accade questo: la donna si illude di essere davvero una creatura superiore, e si circonda di mistero; disprezza l’uomo che le si è reso inferiore, si gonfia di orgoglio e di presunzione, e, per sola e soddisfatta vanità si nega a quella che è la sola e vera ragion dell’amore, ossia al piacere.

— Ma Lei ragiona a meraviglia! – esclamò la signora battendo le mani. Allora il filosofo si infervorò:

— Ora, se noi prendiamo una di queste graziose creature fragili che la nostra immaginazione ha riempite di ogni possibile e più compiuta virtù, noi vedremo che sotto quel viluppo di stoffe rare e di biancherie preziose si nasconde un essere dolce e soave che è desideroso di essere dominato e vinto, di essere afferrato da due braccia robuste e di essere portato là dove nessuna delle stupide convenzioni sociali può giungere più. La donna anela naturalmente ad essere un tutto compiuto con l’uomo che la vuole. Ella non chiede che un atto ardito, il quale non le dia il tempo di ricordarsi della sua perfidia e del suo pudore.

«Gli uomini colti, intelligenti, sensibili si meravigliano spesso perché uomini non belli e non colti abbiano tanta fortuna con le donne belle. E concludono che quelle tali donne sono viziose o traviate e che quei tali uomini sono indegni del bene che si sono saputi conquistare. Ebbene, in questo caso, i veri intelligenti sono i conquistatori. Essi sanno che con le donne bisogna andar diritti allo scopo. Grattate la donna, e troverete… la femmina; la femmina primitiva che vuole essere soggiogata e oppressa. Non ho, forse, ragione? —

Mimì Dolcetti acconsentì. Il velo le era caduto su le spalle, e le scopriva il seno piccolo e sodo, che si alzava e si abbassava dolcemente col respiro. Marco Sani ebbe un brivido nella schiena. Incalzò, mentre il bel volto non si allontanava dal suo:

— Lei mi dà ragione? Anche Lei pensa così?

E perché aveva imparato dai suoi autori che alla teoria deve seguire la pratica, allungò audacemente la mano.

Ma un rumore secco risuonò. Marco si tastò la guancia destra. Uno schiaffo. E Mimì rideva come una matta, e la gola ondulava e i seni balzavano nel riso.

— E perché, allora, mi dava ragione? – mormorò il colpito, ridendo anche lui, ma verde, anzi, nero.

La signora rise ancora a lungo; poi disse:

— Ragione? Sì, mille volte ragione. Creda, è proprio come dice Lei; noi donne siamo proprio così. Solamente, non bisogna dircelo prima….