Racconto di Diego Bonomo
Espressione. L’utilizzo e l’importanza del dialogo in un racconto.
Stamattina, sono rimasto colpito dalle chiacchierate mattutine dei romani, di diverse generazioni.
Passando davanti a un bar, vedo il barista uscire, si ferma sulla soglia, si accende una sigaretta, sospira e gira lateralmente la testa. C’è un signore anzianotto seduto al tavolino, i due si guardano, alzano il mento in segno di saluto e cominciano:
Barista: «Ahó.»
Anziano: «Ahó.»
«Allora?»
«Eh.»
«Ahó!»
«Tutto a posto?»
«Mah… Si va, te?»
Fa un leggero e breve cenno con la testa, che tradotto significa: “Insomma mica tanto, i soliti problemi però, vabbè, diciamo tutto a posto sinnò devo stà da adesso fino a domani mattina a raccontarti gli affari miei per poi sentirmi dire da te la seguente frase: ‘Se… Questo è niente, devi sapé che è successo a me!’”
«E vabbè, oh.»
«Eh…»
Un ragazzo ha appena parcheggiato, esce dalla macchina, il barista lo riconosce alza il braccio per salutarlo:«Ahó, anvedi chi c’è!»
Ragazzo: «Ahóoo, allora?»
Stesso cenno di prima… Poi: «Te chemme disci?»
«Ahó, eh che te dico eeeh, ma vabbè.»
«Mmmh…»
«Eh.»
«E vabbè va, famme rientrà.»
Dal vivo il discorso è stato chiarissimo!
In metro, scena simile, ma con un altro vocabolario e venti anni di meno: salgono due ragazzi e incontrano, credo casualmente, due amici che stavano già sul treno.
«Oh bella, bro’.»
«Bella bro’».
«Che dici, bro’?»
Ripetuto dodici volte (tre per ognuno di loro).
La conversazione continua per i primi due minuti con vari: «And’annate bro’» e «Unaseriedidomanderisposteeaffermazionichefinisconosemprecon bro’.»
Ora, ’sto bro’ è un diminutivo di brother, quindi può essere tradotto come frate’, ma visto che io ero rimasto ai vari ci’ zi’ e appunto frate’, la mia domanda è: dopo bro’, mi devo aspettare che i ragazzi si chiamino uncle?Bella uncle!
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