Racconto di Ray Nelson

 

Alle 8 del mattino, meglio conosciuto in inglese con il suo titolo originale Eight O’Clock in the Morning, è un racconto breve scritto nel 1963 da Ray Nelson e divenuto famoso in quanto ad esso si ispirò il grande regista John Carpenter per il film They Live (Essi vivono).

Radell Faraday Nelson nasce a Schenectady il 3 Ottobre 1931. E’ autore di racconti di fantascienza e vignettista statunitense.

 

 

Alla fine dello spettacolo l’ipnotizzatore disse ai suoi pazienti, “Sveglia.” Accadde qualcosa di inusuale.

Uno dei pazienti si svegliò del tutto. Non era mai successo prima. Il suo nome era George Nada e sbatté le palpebre di fronte alla marea di volti nel teatro, ignaro in un primo momento di qualsiasi cosa fuori dall’ordinario. Poi se ne accorse, sparse qua e là nella folla, le facce non umane, le facce dei Fascinatori. Erano stati lì tutto il tempo, naturalmente, ma solo George era realmente sveglio, così solo George li riconobbe per quello che erano. In un attimo capì tutto, incluso il fatto che se ne avesse dato qualche segno evidente, i Fascinatori gli avrebbero ordinato di ritornare al suo stato precedente, e lui avrebbe obbedito.

Lasciò il teatro, spingendosi nella notte al neon, evitando accuratamente qualsiasi segnale che lo facesse pensare alla pelle verde, rettiliana o agli occhi multipli gialli dei sovrani della terra. Uno di loro gli chiese, “Hai un accendino amico?” George gli diede un accendino, poi se ne andò.

A intervalli, lungo la strada, George vedeva i manifesti appesi con le fotografie degli occhi multipli dei Fascinatori, e vari ordini stampati su di essi, tipo “Lavora otto ore, gioca otto ore, dormi otto ore,” e “Sposati e Riproduciti.” Una TV piazzata nella vetrina di un negozio attirò l’occhio di George, ma lui guardò altrove appena in tempo. Non guardando il Fascinatore sullo schermo, avrebbe potuto resistere all’ordine, “Restate sintonizzati su questa emittente.”

George viveva da solo in una piccola camera da letto, e appena giunto a casa, la prima cosa che fece fu staccare la TV. Tuttavia poteva sentire le TV dei vicini in altre stanze. Per la maggior parte del tempo erano voci umane, ma a volte sentiva il gracchiare strano e arrogante degli alieni. “Obbedisci al governo,” diceva un gracidio. “Noi siamo il governo,” diceva un altro. “Noi siamo tuoi amici, tu faresti di tutto per un amico, vero?”

“Obbedisci!”

“Lavora!”

All’improvviso squillò il telefono.

George tirò su. Era uno dei Fascinatori.

“Ciao,” strillò. “Qui è il tuo responsabile, Capo di Polizia Robinson. Sei un uomo vecchio, George Nada. Domani alle 8 in punto, il tuo cuore si fermerà. Per favore ripeti.”

“Io sono un uomo vecchio,” disse George. “Domani alle otto in punto, il mio cuore si fermerà.”

Il responsabile riattaccò.

“No, non lo farà,” sospirò George. Immaginava perché loro lo volevano morto. Sospettavano che fosse sveglio? Probabilmente. Qualcuno potrebbe averlo segnalato, si era accorto che non aveva risposto come gli altri. Se George fosse stato vivo un minuto dopo le otto di domani, ne sarebbero stati certi.

“Non aspetterò la fine qui,” pensò.

Uscì di nuovo. I poster, le TV, gli ordini occasionali dagli alieni passanti sembravano non avere un potere assoluto su di lui, ma comunque si sentiva fortemente tentato a obbedire, a vedere le cose nel modo in cui il suo maestro voleva che le vedesse. Superò un vicolo e si fermò. Uno degli alieni era lì solo, appoggiato al muro. George camminò fino a lui.

“Muoviti,” grugnì la cosa, mettendo a fuoco George con i suoi mortali occhi.

George sentiva la sua consapevolezza vacillare. Per un attimo la testa rettiliana svanì nella faccia di un amabile vecchio ubriaco. Di natura l’ubriaco è amabile. George prese un mattone e lo ruppe sulla testa del vecchio ubriaco con tutta la sua forza. Per un momento l’immagine si sfocò, poi il sangue blu-verde gli colò sulla faccia e la lucertola cadde, contraendosi e contorcendosi. Un momento dopo era morta.

George trascinò il corpo nell’ombra e lo perquisì. C’era una piccola radio in una tasca e un curioso coltello e una forchetta modellati in un’altra. La piccola radio disse qualcosa in una lingua incomprensibile. George la posò accanto al corpo, ma prese le posate.

“Io non posso scappare,” pensò George. “Perché combatterli?”

Ma forse poteva.

E se avesse potuto risvegliare gli altri? Valeva la pena provarci.

Camminò per dodici isolati fino all’appartamento della sua ragazza, Lil, e bussò alla porta. Lei venne ad aprire in accappatoio.

“Voglio che ti svegli,” disse

“Sono sveglia,” rispose lei “Entra.”

Lui entrò. La TV era accesa. Lui la spense.

“No,” disse. “Io intendo realmente sveglia.” Lei lo guardò senza capire, così lui schioccò le dita e urlò, “Sveglia! Il maestro ti ordina di svegliarti!”

“Sei fuori di testa, George?” chiese lei sospettosa. “Sicuramente stai scherzando.” Lui la schiaffeggiò. “Finiscila!” pianse lei, “Comunque, che diavolo stai combinando?”

“Niente,” disse George, sconfitto. “Stavo solo scherzando.”

“Prendermi a schiaffi non è un semplice scherzo!” pianse lei.

Bussarono alla porta.

George aprì.

Era uno degli alieni.

“Non potete fare silenzio?” disse.

Si intravedevano un po’ gli occhi e la pelle rettiliani, e George vide nello sfarfallio dell’immagine un uomo grasso di mezza età, in maniche di camicia. Era ancora un uomo quando George gli tagliò la gola con un coltello da cucina, ma era un alieno prima di toccare il suolo. Lo trascinò dentro l’appartamento e diede un calcio alla porta. “Cosa vedi lì?” domandò a Lil, indicando la cosa simile a un serpente con molti occhi sul pavimento.

“Signor… Signor Coney,” lei sospirò, i suoi occhi si spalancarono con orrore. “Tu… lo hai appena ucciso, come se fosse niente.”

“Non urlare,” la avvertì George, avanzando verso di lei.

“Non lo farò George. Giuro che non lo farò, solo per favore, per amor di Dio, metti giù quel coltello.” Indietreggiò fino ad avere le scapole attaccate al muro.

George vide che era inutile.

“Ho intenzione di legarti,” disse George. “Prima dimmi in quale stanza viveva Mister Coney.”

“La prima porta sulla sinistra in cima alle scale,” disse lei. “Georgie… Georgie. Non torturarmi. Se mi stai per uccidere, fallo in modo pulito. Per favore, Georgie, per favore.”

La legò con le lenzuola e la imbavagliò, quindi perquisì il corpo del Fascinatore. C’era un’altra delle piccole radio che parlava una lingua straniera, un altro set di posate, e basta.

George si diresse alla porta accanto.

Quando bussò, rispose una di quelle specie di serpenti, “Chi è?”

“Un amico di Mister Coney. Lo voglio vedere,” disse George.

“È uscito un secondo, ma tornerà presto.” Si aprì uno spiraglio nella porta, e quattro occhi gialli sbirciarono fuori. “Vuoi entrare ed aspettare?”

“Okay,” disse George, senza guardare gli occhi.

“Sei solo qui?” chiese appena chiuse la porta, dando le spalle a George.

“Si, perché?”

“Gli tagliò la gola da dietro, poi perquisì l’appartamento.”

Trovò scheletri umani e teschi, una mano mezzo mangiata.

Trovò vasche con grosse lumache grasse che galleggiavano.

“I figli,” pensò, e uccise anche loro.

C’erano anche due pistole, di un tipo che non aveva mai visto prima. Ne scaricò una per errore, ma fortunatamente aveva il silenziatore. Sembrava sparare piccoli dardi velenosi.

Impacchettò la pistola e quante più scatole di dardi poteva e tornò nell’appartamento di Lil. Quando lei lo vide si contorse con terrore senza speranza.

“Calma, dolcezza” disse, aprendo la sua borsetta, “Voglio solo prendere in prestito le chiavi della macchina.”

Prese le chiavi e scese le scale fino alla strada.

La sua auto era ancora in sosta nella stessa area comune nella quale l’aveva sempre parcheggiata. Lui la riconobbe dall’ammaccatura nel parafango destro. La prese, la avviò, e iniziò a guidare senza meta. Guidò per ore, cercando disperatamente una via d’uscita. Accese l’autoradio per vedere se riusciva a mettere su un po’ di musica, ma non c’erano altro che notizie ed erano tutte su di lui, George Nada, il maniaco omicida. L’annunciatore era uno dei maestri, ma sembrava un po’ spaventato. Perché dovrebbe esserlo? Cosa potrebbe fare un uomo?

George non fu sorpreso quando vide il blocco stradale, e svoltò in una strada laterale prima di raggiungerlo. Nessuna scampagnata per te, signorino George, pensò tra sé.

Hanno appena scoperto cosa abbiamo fatto all’appartamento di Lil, quindi staranno cercando l’auto di Lil. La parcheggiò in un vicolo e prese la metropolitana. Per qualche ragione, non c’erano alieni in metropolitana. Magari erano troppo sofisticati per queste cose, o magari solo perché era notte tarda.

Quando finalmente uno entrò, George uscì.

Salì in strada ed entrò in un bar. Uno dei Fascinatori era in TV, e ripeteva in continuazione, “Noi siamo vostri amici. Noi siamo vostri amici. Noi siamo vostri amici.” La stupida lucertola sembrava spaventata. Perché? Cosa potrebbe fare un uomo contro di loro?

George ordinò una birra, poi improvvisamente lo colpì il fatto che il Fascinatore in TV non sembrava avere più alcun potere su di lui. Lo guardò di nuovo e pensò, “Deve credere di potermi dominare per fare questo. Il minimo accenno di timore da parte sua e il potere di ipnotizzarmi è scomparso.” Mandarono la foto di George sullo schermo della TV e George si rifugiò in una cabina telefonica. Chiamò il suo controllore, il Capo della Polizia.

“Pronto, Robinson?” domandò.

“Sono io.”

“Sono George Nada. Ho capito come svegliare la gente.”

“Cosa? George, un attimo. Dove sei?” Robinson sembrava quasi isterico.

Riattaccò e pagò e lasciò il bar. Sarebbero risaliti probabilmente alla sua chiamata.

Prese un’altra metropolitana e andò in centro.

Era l’alba quando entrò nell’edificio che ospitava il più grande degli studi televisivi della città. Chiese all’usciere e prese l’ascensore. Il poliziotto davanti allo studio lo riconobbe. “Ma, tu sei Nada!” ansimò.

A George non andava di spararlo con la pistola a dardi avvelenati, ma doveva.

Ne dovette uccidere diversi altri prima di entrare nello studio, compresi i tecnici di turno. Fuori c’erano un sacco di sirene della polizia, grida eccitate, e passi di corsa sulle scale. L’alieno era seduto davanti alla telecamera e diceva “Noi siamo vostri amici. Noi siamo vostri amici,” e non vide entrare George. Quando George gli sparò con la pistola ad aghi si fermò semplicemente in mezzo alla frase, seduto lì, morto. George gli si avvicinò e disse, imitando il gracchiare alieno, “Sveglia. Sveglia. Guardaci per come siamo e uccidici!”

Fu la voce di George che la città sentì quel mattino, ma era l’immagine del Fascinatore, e la città si svegliò davvero per la prima volta e iniziò la guerra.

George non visse abbastanza per vedere la vittoria finale. Morì per un attacco di cuore esattamente alle otto in punto.