Racconto di Heiko H. Caimi

 

 

Redazione (L) Racconto con finale a sorpresa, come un uomo qualunque con una vita qualunque possa esplodere

– poi tutto torna come sempre, nella quotidianità di una vita vuota.

Leggo. Dormo. Non studio, non mi interessa -> importanza dei libri

– monotonia della vita. Come superarla?

 

Era una notte come tante in paese. La luna nuova tardava a rischiarare le stradicciole e i sentieri tra le case e i campi, e i miei passi erano resi incerti dall’abuso d’alcool che mi ero inflitto quella sera.

“Domani è un altro giorno” mi dissi, citando una di quelle frasi che si fissano nell’inconscio collettivo. Frasi che appartengono a tutti e a nessuno, come i proverbi.

E l’indomani sarebbe indubitabilmente stato un altro giorno, troppo simile a tutti gli altri per destare il mio interesse. Alza la leva, abbassa la leva, alza la leva, abbassa la leva. Le mie giornate si riducevano a questo. Fino a sentirmi macchina io stesso.

E Liana, oh Liana era dolcissima, ma troppo occupata nel suo arrivismo aziendale per sopportare un uomo sfinito, che fa l’amore come una macchina: su con le braccia, spingi coi piedi, dentro il pistone, giù con le braccia, molla coi piedi, fuori il pistone, su con le braccia…

Forse era per questo che desiderava far carriera. Per non diventare come me. E quella sera era alla sua ennesima cena aziendale, con i dirigenti e alcuni colleghi privilegiati, e magari chissà, flirtava anche con i più influenti: la carriera era tutto per lei, la panacea ad ogni male, la soluzione di tutti i problemi.

Per me invece era l’alcool. Dopo il lavoro, se Liana era fuori, una capatina al market, l’acquisto del liquore in offerta speciale, la passeggiata nella notte, tra casa e campi, alla ricerca di una pace circoscritta.

Era tardi quella notte, quando tornai a casa non ricordando affatto il mio tragitto. Come tante altre volte. Tanto Liana non arrivava prima dell’una, delle due. Quella volta però la scorsi, seduta in un’auto sportiva a fianco di un bel ceffo con il vestito da due mila euro, l’aria da splendido e l’odioso ciuffetto che gli sfiorava la fronte. Un dirigente, di sicuro. Si stavano salutando, sotto casa. Beh, non un normale saluto, come una stretta di mano o un bacio sulla guancia. A meno che il serrarsi delle bocche e l’avvilupparsi delle lingue non fosse un nuovo modo convenzionale di darsi la buona notte.

La mia auto era parcheggiata tre vetture più indietro. La raggiunsi, aprii il baule, vi depositai la bottiglia vuota, ne estrassi la chiave inglese. Questo lo ricordo nitidamente. Poi raggiunsi la matassa dei corpi, sempre più vicini, sempre più avvinghiati. Contemplai per un istante il seno scoperto di mia moglie, il capezzolo turgido ad accogliere la lingua dell’uomo. Quindi agii.

La chiave inglese mandò il vetro in frantumi. L’uomo si alzò, si volse verso di me, prima spaventato, poi con sguardo tronfio e arrogante. Lo afferrai per il ciuffo, gli trascinai il collo sul vetro rotto. Mentre mia moglie, terrorizzata, si slanciava dall’auto, correndo inopinatamente verso casa, il dirigente si dissanguava gorgogliando urla disgustose.

Afferrai mia moglie per i capelli mentre cercava inutilmente di infilare la chiave nel portone.

Un’espressione di puro terrore, un seno bellissimo scaraventato fuori dal reggiseno, illuminato dal lampione. Poi fu un attimo. Alza la chiave inglese, abbassa la chiave inglese, alza la chiave inglese, abbassa la chiave inglese. Un movimento semplice, quotidiano.

Oggi è stato un giorno come tanti. Non bevo più, e passeggio un’ora al giorno nel cortile di cemento evitando gli sguardi, le parole e i gesti degli altri. Per il resto del tempo sto in cella.

Leggo. Dormo. Non studio, non mi interessa. Ogni giorno è troppo simile agli altri per destare il mio interesse.

“Domani è un altro giorno”, mi dico. Una frase che dovrebbe essere di speranza. Ma per me è mera routine. Ergastolo, hanno detto. Nonostante io non abbia ragione di uccidere nessun altro. Ma è un sollievo non essere più in fabbrica, e la vita qui non è affatto peggiore, impastata della stessa monotonia.

Eppure, prima di addormentarmi la sera nella lieve luce di luna che attraversa le sbarre, è con amarezza che mi ripeto: domani è un altro giorno.

 

 

 

Da https://www.inkroci.it/racconti-brevi/i-racconti/racconti-brevi-scrittori-emergenti/racconto-breve-di-heiko-caimi.html