Racconto di Silvia Marcarini

(Sesta pubblicazione)

 

Ted Wallace aveva l’abitudine di picchiarmi nello spogliatoio della scuola. Al primo colpo cadevo sempre a terra come una grossa pera matura, vicino alla punta metallica del suo stivaletto di cuoio che aveva l’ingrato compito di calpestarmi la mano, insignificante mozzicone di sigaretta. Le poche volte che riuscivo a reggermi in piedi parevo un rigido spaventapasseri, in balia degli artigli vendicativi di un grosso rapace anche se il mio strazio era comunque reale. Dolori fisici pungenti oltrepassavano gli strati più profondi della carne sino a penetrarmi le ossa. Per mesi e mesi fui la sua distrazione preferita. Venni a sapere che lui stesso aveva avuto suo malgrado un aguzzino, oscuro burattinaio del mondo, che mai gli svelò volto e nome, ma che riuscì a piegare per sempre ai suoi scopi.

Ci volle un po’ di tempo perché capissi la serie di eventi che coinvolsero il mio nemico. Tutto iniziò una fredda mattina di primavera quando m’imbattei in Wallace nel bagno del liceo mentre era con un ragazzo del secondo anno.

«Cosa vuoi Trevor? Se non esci subito di qui, ti riempio la faccia di botte!» inveì contro di me con tono minaccioso.

Spettatore anonimo, rimasi per un istante ammutolito e immobile.

«Come stai Jim?» chiese a quel ragazzo pallido come un cencio.

«Male. Ogni notte rivivo quel giorno, l’esplosione. I sogni mi sembrano così reali……perfino l’insopportabile sensazione di bruciore alla pelle che ci assillava. Mi sveglio quando l’immenso fungo di calore straziante si leva alto nel cielo ammantando ogni cosa con la sua ombra di luce. Quanto vorrei non essere mai stato in Nevada.»

All’improvviso, Ted si rattristò. Quelle parole evocarono un insormontabile dolore.

Con un gesto maldestro diede al ragazzo una piccola boccetta di vetro contenente una polverina color bianco iridescente. Mi sorpresi per un istante a pensare, era forse la polvere di fata dell’Isola che non c’è? Guardandola però non sembrava avere proprio nulla di magico; eppure Jim, la pagò profumatamente con un mazzetto di dollari freschi di stampa. Avevo sentito abbastanza da rischiare un altro pestaggio. Così me ne andai sbattendo con rabbia la porta del bagno.

Pensai a mio padre, all’istante in cui tutto cambiò, quando un’industria farmaceutica gli offrì un’ottima opportunità lavorativa. Quel giorno, un rappresentante della Eracles Pharmaceutical Company venne da noi per concordare il trasferimento di papà. Rimanemmo esterrefatti dinanzi alla stravaganza di quell’individuo. Un uomo così bizzarro l’avevo visto soltanto disegnato nelle pagine dei fumetti di supereroi. Portava folti basettoni neri e una lunga chioma corvina che a tratti offuscava la mezzaluna dei suoi enigmatici occhi. Trovai molto singolare l’abbigliamento dell’ospite: un gilè di seta blu con taschino da cui spuntava la catenella di un orologio a cipolla, pantaloni che sembravano larghi sacchi di juta e orrendeinfradito di pelle nera. Sul braccio destro faceva capolino fra le pieghe della pelle lo strano minuscolo tatuaggio: “緣分”. Il suo vivido color fuoco urtò il gusto estetico di mia madre.

Allorquando gli offrimmo del tè, prima di sorseggiare la fumosa bevanda, l’uomo con la tazzina si esibì in strani rituali tanto da farlo apparire un vecchio sciamano.

Nella sua stravaganza, il Dr. Wu Ling si rivelò essere una persona molto speciale. Il genio folle per cui la Eracles divenne una delle più importanti società farmaceutiche nazionali.

Così lasciammo Baltimora per trasferirci nello Utah.

Nella nuova scuola, mi sentii un naufrago smarrito fino a quando non conobbi Sally Moore.

Adoravo quei suoi capelli raccolti nella lunga coda di cavallo che a ogni sua mossa oscillava a mo’ di pendolo dorato.

Sapevo dell’intima amicizia che aveva con Ted, una storia ormai vecchia di cui non amava parlare.

Inaspettatamente un giorno Sally m’invitò alla fiera estiva di Cedar City; l’incredibile notizia mi fece sussultare nel banco di scuola suscitando la curiosità dei compagni di classe.

All’appuntamento si presentò con una camicetta a scacchi, jeans arrotolati sulle caviglie e un paio di ballerine cremisi. Sebbene soffrissi di vertigini, mi convinse ad andare con lei sulla ruota panoramica delle meraviglie. Dall’alto la città sembrava un brulicante formicaio d’individui ed io dopo tanto tempo mi sentivo di nuovo felice. Quando scesi da quell’infernale marchingegno, tutto il mondo girava vorticosamente; barcollavo come un ubriaco eseguendo gli stessi movimenti disarticolati di Bonzo, la scimmia intelligente di Hollywood. La mia andatura però non aveva alcunché di sapiente, piuttosto suscitò tanta ilarità nella signora che vendeva mele caramellate vicino alla giostra.

Improvvisamente gli occhi marroni di Sally incrociarono i miei. Mi baciò.

Come un idiota le chiesi perché l’avesse fatto. «Avrei voluto conoscerti prima, Trevor» disse, ma in quel momento non capii il significato delle sue parole.

Quella fu la prima uscita a due di tante altre. Sbocciò un sentimento nuovo fra noi. Qualcuno lo avrebbe forse chiamato amore.

Col passare dei giorni però mi accorsi che Sally stava diventando sempre più magra e pallida, quasi eterea; notai in lei quei tremori alle mani tipici di alcuni anziani che prima non aveva; finché mi decisi a chiederle un briciolo di verità.

«Sally, che ti succede?»

«Non credo capiresti. Trevor, è meglio se ne stai fuori.»

«Non stai bene. A volte sembra ti manchi il respiro» dissi allarmato.

«Va tutto bene, te lo giuro» mi rassicurò, ma l’odore di uova marce del suo alito raccontava ben altra storia.

«Posso fare qualcosa?»

«Ho bisogno di Wallace. Sai procura quella roba…»

A quel punto, mi ricordai di Ted nel bagno.

«Pure tu Sally. Perché ti stai riducendo così?»

«Non ho voglia di darti spiegazioni.»

«Cos’è quella sostanza? Droga?»

«È un farmaco! Stupido che non sei altro» disse risentita.

Non avevo altra scelta. Se volevo aiutare Sally avrei dovuto affrontare il mio nemico. Dalla scrivania di papà presi in prestito duecento dollari e le chiavi dell’auto.

Ted abitava in una piccola fattoria appena fuori città. Al confine della proprietà, un campo di granoturco era sferzato da un forte vento e i fusti del mais sembravano un esercito di spettri in procinto di scagliarsi contro un invisibile nemico. Sul piazzale era parcheggiata una Buick rossa che avevo già visto altrove. Un gruppo di irritanti galline si riversò inaspettatamente in strada. Avrei forse preferito intrattenermi con loro ma purtroppo sapevo che avrei dovuto affrontare il loro “benevolo” padrone. Bussai. Ted aprì la porta stupefatto della visita.

«Guarda chi si vede. Hai perso la strada di casa?» domandò in tono ironico.

«Ho bisogno del tuo aiuto.»

«Puoi scordartelo. Sparisci!» esclamò.

All’improvviso, giunse alle sue spalle una voce famigliare.

«Wallace smettila. Fallo entrare!» intimò il Dr. Ling.

Fui sorpreso di trovare il famigerato dottore nella casa dell’insopportabile energumeno che mi fece accomodare accanto sé sul divano del soggiorno. Non riuscii a smettere di domandarmi perché il Dr. Ling conoscesse Ted.

«Sono venuto per Sally. Ho bisogno di quel farmaco…» dissi titubante.

«Non mi dire, la tua amichetta sta male!» rispose Ted con tono divertito.

«Esattamente.»

«Mi dispiace ma ne sono rimasto a corto. Chissà! Ripassa tra qualche mese e forse…» replicò sgarbato come al solito.

In preda all’ira gli lanciai i duecento dollari sul tavolino di legno che stava davanti a noi.

«Questo è tutto quello che ho!» sbraitai.

«Ehi amico, non scaldarti in questo modo. Credi di essere tanto importante per Sally. Io, penso proprio di no. Ti ha mai raccontato di quando siamo andati con Jim e Geena a Las Vegas per spassarcela un po’?»

«No, non ne so nulla» risposi con rammarico.

«Ne ero sicuro. Vedi, quella che doveva essere una semplice bravata si è trasformata in qualcos’altro. Quando nei pressi di St. George, un uomo in divisa con l’inganno ci convinse a partecipare ad un esperimento scientifico con altre persone del posto. Non voglio dilungarmi, ti basti sapere che alla fine una forte detonazione fece letteralmente tremare la terra. Sembrava che il sole esplodesse nel deserto. Tutto fu avvolto da un bagliore accecante e da un caldo opprimente. Il terrore s’impadronì delle nostre anime. In preda al panico, rimanemmo inebetiti senza saper cosa fare…»

«E tutto questo che c’entra con quel farmaco?» domandai.

«Purtroppo quello non fu solo che l’inizio. Dopo qualche settimana non stavamo bene. Avevamo tutti gli stessi sintomi. La diagnosi era chiara: radioattività. Iniziarono a imbottirci di pastiglie allo iodio, ma quelle caramelle per bambini non ebbero l’effetto previsto. Ora, la Eracles, grazie al farmaco del Dottor Ling, ci ha dato forse la possibilità di prolungare la vita o farei meglio a dire di rimandare la morte» disse Ted.

«Già…vendendo a caro prezzo il farmaco che stanno sperimentando!» aggiunsi indignato.

Non feci in tempo ad allontanarmi che sentii la mano del Dr. Ling afferrarmi il braccio.

«Ti darò io quel che cerchi» disse l’uomo. Per un attimo esitai, prima di ringraziarlo. Fu allora che un dubbio s’insinuò nella mia mente e pensai: Quella sostanza ha lo scopo di curare o forse di consumare lentamente anima e corpo? Fingendomi il più possibile indifferente, ricambiai con un cenno di gratitudine la benevolenza del medico e domandai incuriosito: «Dottor Ling cosa significa il tatuaggio sul suo braccio?»

«Yuanfen. Secondo le credenze popolari del mio paese, lo Yuanfen è l’incontro di due persone non destinate a stare insieme. Mi innamorai la prima volta quando ero molto giovane e incontrai la mia Kumiko. La sua famiglia l’aveva promessa in sposa ad un altro e così le vietarono di vedermi. Da lì a poco scoppiò la guerra e il suo matrimonio non fu mai celebrato. Seppi da un contadino del suo villaggio che fu stuprata e uccisa con altre donne nei pressi di Nanchino.»

In quel momento, gli occhi del Dr. Ling si bagnarono di lacrime insieme ai miei. Me ne andai. In mano l’ultimo barlume di speranza che donai a Sally come pegno del mio amore.