Racconto di Lucia De Bortoli

(Decima pubblicazione – 30 ottobre 2020)

 

Redazione – Alle 22:39 del 9 Ottobre 1963, una catastrofe in parte annunciata. Protagonista di questo racconto breve è la forza distruttrice, l’acqua.

 

 

Quieta per milioni di anni mi sono fatta largo tra rocce e terra, lenta e inesorabile ho scavato montagne rispettando ogni pietra e sasso, li ho dolcemente accarezzati levigando al mio passaggio le loro rughe. Ho attraversato pascoli rigogliosi dissetando radici di alberi che mi sfioravano e rinfrescando cantori volanti.

Pigra e taciturna d’estate quando il sole più mi cercava, indomita ed esuberante in primavera corroborata dallo sciogliere della neve.

Sono arrivata fino a questo piccolo canale, scorro silenziosa tra i campanacci delle mucche al pascolo, trai richiami dei pastori e l’abbaiare dei loro solerti cani.

Sento in lontananza un coro di bambini che si dirigono verso casa e cantano tutti insieme, le loro voci risuonano nella valle fino ad entrare nella mia riva più profonda. Voci soavi e spensierate riecheggiano fino a sparire, forse per sempre, e lasciare un vivido e triste ricordo. Ora il vento risuona tra i rami la loro canzone e il bramito dei cervi stona tra il coro delle mucche.

Intoccabile seguo il mio corso, ma oggi qualcosa è cambiato: stese sulle mie sponde non ci sono più ragazze sognanti inebriate da parole d’amore ma solo rombo di ruspe, cigolio di camion, fruscio di cemento e colpi di ferro che rimbombano ovunque.

La terra sussulta, gli alberi oscillano, gli animali osservano muti il nascere di un enorme muro grigio che divide, interrompe, spacca, lacera e poi distruggerà la valle.

Per un po’ sono libera di passare, continuo il mio corso tra cinguettii inconsolabili e stridori di insensibili penne che decidono un tragico futuro.

Sono trascorsi quattro anni, io quaggiù e gli uomini lassù sopra quel muro, in fila come corvi.

Mi fermano, mi imbrigliano, mi alzo e lenta raggiungo pendii mai toccati, mentre ora quieta riposo la mia corsa.

La terra romba, gli alberi piangono, gli animali si sfiatano dalla paura.

Io placida, muta, ingabbiata, racchiusa e bloccata da questo muro assisto al mio ultimo terrificante spettacolo. È notte, la luna educata spettatrice illumina il ruggito della montagna, il tonfo nell’acqua e la mia onda maestosa. Sono finalmente libera e sono grande, enorme, incontrollabile.

Mi levo in aria, fluttuo, un lampo illumina il mio grande momento, la nera quiete al di là del muro mi aspetta.

Arrivo a sfiorare la luna, le mie gocce sono le sue lacrime, poi ad un tratto un rombo.

Tutto avviene in pochi minuti, sento dentro di me un frastuono di rumori, crepitio di alberi e rami rotti, fragore di rocce, schianto di mattoni.

Sono diventata un unico grande boato che riempie la valle e si mescolano urla, pianti disperati, corpi nudi e molli come bambole di stoffa, poi mute grida.

Ora la natura tace, la luna attonita illumina il vuoto, io ritorno quieta come un tempo, ma attorno a me ora c’è solo il silenzio.

Il silenzio della morte.

-°-

https://www.ilviaggiodianna.net/