Racconto di Maria Concetta Naro

(Prima pubblicazione – 8 gennaio 2019)

Lo squillo del telefono fece arrisantare l’appuntato Bellia che, reduce di un pranzo piuttosto pesante a casa della fidanzata, si era quasi appinnicato.

“Caserma dei carabinieri. Appuntato Bellìa.” rispose l’appuntato sobbalzando sulla sedia.

“Patrizia è in fondo a un pozzo in contrada Besara.” biascicò una voce bassa sicuramente distorta dal fazzoletto con il quale aveva provveduto a coprire la cornetta.

“Chi parla?” chiese l’appuntato, ma il click che seguì alla sua domanda gli fece capire che la comunicazione era stata bruscamente interrotta.

“Maresciallo!” urlò Bellìa, mentre si precipitava a rotta di collo nell’ufficio del maresciallo che da circa quindici giorni conduceva le indagini per la scomparsa di una ventiquattrenne del paese che appunto si chiamava Patrizia.

“Hanno chiamato! Telefonata anonima! Hanno detto che Patrizia è in fondo a un pozzo in contrada Besara!” disse concitato Bellìa.

“Calma, Bellìa! Calma! Dimmi tutto senza urlare e più lentamente!” sentenziò Testaquatra, comandante della locale stazione dei carabinieri.

“Hanno telefonato! Telefonata anonima! Patrizia Mancuso è in fondo a un pozzo in contrada Besara.” scandì l’appuntato, asciugando il sudore che gli imperlava la fronte.

“Oh, mio Dio!” esclamò il maresciallo. “Povera ragazza! E’ quello che temevo!”

Attaccarono il registratore e risentirono più volte la registrazione della telefonata sperando di riuscire a captare qualche indizio che potesse fargli individuare la provenienza o l’autore della telefonata.

“Niente! Nè rumori né voci! Bellìa, predisponi per andare sul posto!” ordinò Testaquatra.

Subito, si organizzò la spedizione e in breve tempo la zona indicata dalla telefonata anonima fu circondata.

“Quanti pozzi ci sono in contrada Besara?” chiese il maresciallo al comandante della locale Polizia Municipale.

“Ce ne sono tre, maresciallo! In un paio d’ore credo che si potranno perlustrare tutti!” rispose il comandante.

“Bene! Possiamo cominciare!”

La campagna era silenziosa e fredda.

Il maresciallo fu pervaso da un brivido mentre pensava al triste risvolto che quell’amara vicenda stava prendendo.

 

Erano passati solo quindici giorni da quando, la mattina della vigilia della Befana, ricevette in caserma la visita di Alfio Mancuso.

“Buongiorno, marescià! Mi scusassi per l’ora, ma siamo preoccupati! Mia figlia ieri sera non è rientrata a casa!” disse con voce tremante. “Mia figlia non torna mai tardi e stanotte non abbiamo chiuso occhio!”.

“Mancuso, mi racconti tutto dall’inizio!” esclamò il maresciallo. “Di chi stiamo parlando?” chiese.

“Marescià, sto parlando di Patrizia, me figlia! Ieri pomeriggio è uscita verso le cinque e non è tornata più” precisò. “Sugnu sicuru che le è successo quarchi cosa ladia, marescià!”

“Non giunga a conclusioni affrettate, Mancuso!” disse Testaquatra. “Era fidanzata la ragazza?”

“Marescià, mia figlia ha 24 anni. Chi nni sacciu? Puo’ essere!” rispose e si asciugò un lacrima che era riuscita a scappare nonostante si trattenesse e cercasse di fare l’omu.

“Truvatimilla, ppi carità!” pregò il povero padre.

“Signor Mancuso, può darsi che la ragazza sia con qualche amica o con qualche amico. E’ troppo presto per parlare di allontanamento forzato o di altro! Dobbiamo aspettare 24 ore! Vada a casa e stia tranquillo! Può darsi che la vedrà rientrare quanto prima!”lo rassicurò il maresciallo.

“Macari, marescià! Stamu murinnu di furniscì!” e si alzò porgendo la mano al maresciallo che gliela strinse e l’accompagnò alla porta.

 

I pensieri del maresciallo furono interrotti dalla voce dell’appuntato che sopraggiungeva affannato.

“Marescià, in questo pozzo non c’è nulla!”

“Allora spostiamoci in quello che c’è nel fondo di Turi Farruggia.” ordinò il maresciallo.

“Ci dobbiamo sbrigare prima che faccia buio”.

E fu proprio prima che il buio scendesse a coprire col suo velo cose e persone che una voce ruppe il silenzio.

“Qua c’è qualcosa! Presto, si vede qualcosa in fondo al pozzo!”

In fondo al pozzo c’era il corpo martoriato e completamente nudo di Patrizia che venne imbracato e riportato in superficie dove, adagiato su una barella e coperto da un lenzuolo bianco, stava per essere caricato sull’ambulanza, quando un grido disumano, echeggiò nel silenzio di quel freddo pomeriggio di gennaio.

“Figlia mì, chi ti ficiru?” urlò una donna che, correndo e a stento trattenuta dal marito, si fiondò sulla barella piangendo e urlando.

Quella sera a casa dei Mancuso si pianse la morte di una figlia uscita per una passeggiata e mai più ritornata.

 

Quel pomeriggio, Patrizia si era preparata con cura. Le piaceva un ragazzo e sperava di incontrarlo.

Non era bellissima Patrizia. Era piuttosto grassoccia e non aveva riscosso mai tanto successo coi ragazzi che preferivano quelle magre, ma lei non aveva mai smesso di sperare. Prima o poi l’avrebbe trovato l’amore e questo ragazzo che aveva conosciuto da qualche settimana al bar aveva mostrato un certo interesse nei suoi confronti e lei aveva cominciato a sognare.

Mise anche un po’ di profumo. Glielo avevano regalato per Natale. Non era un profumo molto costoso, ma aveva una profumazione gradevole che le piaceva molto.

Era un pomeriggio freddo e le strade erano deserte: la gente era rintanata in casa a giocare a carte e a godersi gli ultimi giorni di vacanza prima che ricominciasse la scuola.

Nell’aria si sentiva ancora l’atmosfera natalizia:le luminarie e il grande albero di Natale che era stato allestito davanti al palazzo municipale era ancora addobbato.

Si aspettava la Befana, ultima festa natalizia.

Quando la macchina si fermò vicino a lei, Patrizia sperò fosse Daniele e quando lo vide al volante della sua macchina, il cuore le fece una capriola.

“Ciao, Patrizia! Che piacere vederti!” le disse il giovane abbassando il finestrino.

“Ciao, Daniele” riuscì a dire la ragazza mentre le sue gote si imporporavano di rosso.

“Che fai?” le chiese. “Vuoi venire a fare una passeggiata con me?”

“Non so!” rispose la ragazza. “non mi va di salire in macchina”.

“Dai! Acchiana! Fa freddo! Dai che non ti vede nessuno!” insistette il ragazzo.

Patrizia si guardò intorno e, vedendo la strada deserta, pensò che in fondo non ci sarebbe stato nulla di male a fare una passeggiata in macchina con lui.

Così salì in macchina.

“Dove andiamo?” chiese mentre la macchina sfrecciava verso la periferia del paese.

“Devo dire una cosa ad un amico e poi ci fermiamo da qualche parte per ascoltare un po’ di musica e fare quattro chiacchiere. Ma rilassati! Nenti ti fazzu!” le disse Daniele vedendo che la ragazza era molto tesa.

Quando la macchina si fermò, Patrizia ebbe appena il tempo di rendersene conto che due ragazzi che lei non conosceva, aprirono le portiere posteriori e saltarono in macchina.

“Ciao, bella!” le dissero.

“Daniele! Chi sono? Perchè li hai fatti salire in macchina? Falli scendere!” urlò.

“Ma dai! Sono amici miei! Sono Fabio e Lucio! Non sei gentile!” rispose il ragazzo prorompendo in una grassa risata.

Anche i due ragazzi si misero a ridere sguaiatamente.

“Chi fa ti scanti? Si scanta a carusa!”

Patrizia cominciò ad avere paura.

“Fammi scendere!” urlò. “Voglio scendere!”

La macchina intano si stava velocemente allontanando dal centro abitato, mentre Patrizia che aveva cercato inutilmente di aprire la portiera dell’auto per scendere, fu bloccata dai due ragazzi che da dietro la tenevano ferma impedendole di urlare.

“Buona! Fa’ la brava! Ahi ! Puttana! Mi ha dato un morso!” disse tenendosi la mano che Patrizia aveva addentato con tutte le sue forze. “Mi muzzicà!”

Intanto Daniele aveva fermato la macchina vicino ad un casolare abbandonato.

“Cà precisu jè!” disse Daniele che scese dalla macchina, corse ad aprire la portiera e fece scendere la ragazza che cercava di divincolarsi.

La spinsero con forza dentro e la buttarono su un vecchio giaciglio dove, come belve affamate, le si avventarono sopra.

La ragazza cercò con tutte le sue forze di resistere, ma i tre animali ebbero la meglio e, dopo averla completamente denudata, la violentarono ripetutamente.

“Lasciatemi! Vi prego! Aiutatemi!” urlava, ma nessuno poteva sentirla.

Lei continuò a lottare finchè uno dei tre gli diede un pugno che la stordì e la fece rimanere inerte e svuotata sullo sporco giaciglio ad assistere come spettatrice al banchetto del suo corpo.

Quando tutto finì, la fecero alzare e completamente nuda, la trascinarono fuori, tremante, e, incuranti delle sue lacrime e del suo dolore, la costrinsero a risalire in macchina.

“E ora cchi facimu?” chiese Daniele agli amici che, soddisfatti, fumavano.

“Non la possiamo lasciare andare! Questa buttana nni denuncia! Ora te lo dico io dove ti devi fermare! Canusciu un pustu adattu!”

Quando vi giunsero, fecero scendere la ragazza che piangeva e tremava come una foglia e la spinsero verso un vecchio pozzo.

“Che facciamo?” chiese Daniele, ma Fabio afferrò la ragazza che cercava di divincolarsi e la scaraventò senza alcuna pietà dentro al pozzo.

“Che cazzo fai?” urlò Daniele. “Ma sei pazzo?!” si affacciò all’imboccatura del pozzo, accese l’accendino e vide che Patrizia giaceva in fondo al pozzo e si lamentava.

“E’ viva! Non è morta! E ora che facciamo?” urlava Daniele portandosi le mani alla testa.

“Ora me la vedo io!” esclamò Lucio che cominciò a scaraventare massi giù nel pozzo tentando di colpire la ragazza che, ancora viva, si lamentava.

Poi Fabio prese dei giornali che si trovavano in macchina, vi appiccò il fuoco usando l’accendino e buttò la palla incendiata nel pozzo sperando di dar fuoco alla povera ragazza che intanto aveva smesso di lamentarsi.

“Non si muove più!” disse Daniele guardando in fondo al pozzo “Amuninni!”

Risalirono in macchina velocemente e tornarono in paese.

“Amuninni al bar che ho sete!” disse Fabio e Daniele fermò l’auto davanti al bar Sport.

Entrarono. Solo Daniele mostrava di essere leggermente scosso, ma gli altri due ordinarono da bere e bevvero come se nulla fosse.

 

Patrizia non era morta, purtroppo. L’impatto con il fondo del pozzo le aveva spappolato il fegato, ma non l’aveva uccisa.

Un dolore lancinante al fianco le fece aprire gli occhi, mentre il freddo intenso le provocava un tremore che le faceva battere i denti e la faceva lacrimare.

“Oh, mio Dio, aiutami!” mormorò mentre cercava di togliersi di dosso le pietre e i calcinacci che quegli animali le avevano buttato addosso.

Cercò di urlare, ma non riuscì ad emettere nessun suono.

“Chi mi aiuterà? Forse torneranno! Certo che torneranno! Non mi lasceranno qui a morire…non sono bestie!” pensò mentre il freddo, sempre più intenso, le paralizzava le membra e il cervello…

“Mamma, aiutami tu! Non lasciarmi!” implorava. “Prendimi in braccio, mammina e cullami come quando ero piccola”.

Intanto l’emorragia interna, causata dallo spappolamento del fegato, la faceva sentire sempre più debole.

“Mamma, finalmente sei venuta! Ti aspettavo…ho freddo, mamma! Scaldami tu! Abbracciami e fammi sentire al sicuro!” disse la povera ragazza, mentre uno strano torpore si impadronì del suo corpo e le fece chiudere gli occhi per sempre.

Fu così che si concluse la vita di Patrizia, fu così che il freddo fondo di un pozzo umido divenne la sua ultima culla.